La storia (di Una Boccata d’Arte) è questa: ciascun artista, entrando in connessione con il borgo, la sua tradizione e i suoi abitanti, mette in relazione la propria ricerca personale con le peculiarità del luogo, realizzando un intervento inedito composto talvolta da più opere diffuse.
Storie da Una Boccata d’Arte, ci anticipa Bruno Barsanti, Direttore di Fondazione Elpis, «è un incontro dedicato a sei progetti dell’edizione 2023 di Una Boccata d’Arte che hanno lasciato un’ulteriore traccia, in forma di immagine in movimento o di prodotto editoriale, oltre il termine della manifestazione. Si tratta di un momento di confronto tra artisti e pubblico, a partire dalla proiezione dei video di Simone Carraro, Raffaela Naldi Rossano e Raghad Saqfalhait – affiancati dalle pubblicazioni realizzate da Arianna Pace, Mattia Pajè e Benjamin Jones. Immagini, suoni e parole ci riporteranno tra i vicoli semi-abbandonati di Pietracamela in Abruzzo, dove Simone Carraro ha dato vita alla Sagra della Lucertola, per poi spostarci al centro della Sardegna, tra le varie manifestazioni del mitologico gongilo e i canti ipnotici del coro femminile di Belvì “convocato” da Raffaela Naldi Rossano. Andremo poi a Travo, in val Trebbia, seguendo gli scavi e le indagini di Raghad Saqfalhait sulle argille e sulla montagna in perenne movimento, mentre Arianna Pace ci parlerà di un albero monumentale, il pino domestico di Rivello, il più grande della Basilicata. Ascolteremo da Mattia Pajè le idee progettuali, utopiche o concrete, di tutti i 76 abitanti di Toscolano per il loro piccolo borgo in Umbria e voleremo in Trentino con le fotografie a doppia esposizione di Benjamin Jones, alla scoperta del paese che ha dato i natali ad Alcide De Gasperi, Pieve Tesino».
In attesa di guardare le opere video e di sfogliare le pubblicazioni abbiamo approfondito con Bruno Barsanti il valore dell’incontro e del viaggio e il futuro di Una Boccata d’Arte, e con gli artisti Arianna Pace, Benjamin Jones e Simone Carraro cosa resta e cosa si rinnova della loro opera.
Bruno, ogni storia è un viaggio e ogni viaggio è un incontro. Storia, viaggio e incontro hanno assunto con Fondazione Elpis e Una Boccata d’Arte una portata etica e civica, oltre che estetica. Possiamo considerarli strumenti di ricerca? Che tipo di strumenti sono e come concorrono alla mediazione tra realtà e rappresentazione?
«Questa è una domanda che andrebbe posta anche e soprattutto alle artiste e agli artisti. Per alcuni il viaggio può essere uno strumento di ricerca a tutti gli effetti, se accompagnato da osservazione e ascolto profondi e da un atteggiamento di apertura verso una condizione temporanea di spaesamento. Per definizione il viaggio è propedeutico all’incontro (e allo scontro) e di conseguenza all’emergere di una o più storie. A volte è necessario fare un passo indietro e rimanere in attesa, in altri casi certe situazioni e certe dinamiche vanno cercate attivamente, quasi forzate. Il viaggio è uno strumento potentissimo quando produce un confronto tra visioni e prospettive, esterne e interne. Nel nostro caso, più che le rappresentazioni di un luogo ci interessano le dinamiche relazionali che siamo in grado di generare attraverso il lavoro degli artisti».
Una Boccata d’Arte è una storia che dura da quattro anni. Come affronta il cambiamento, della società, delle persone, dei luoghi, e le sempre nuove sfide? E, ancora, come evolverà?
«Il 2024 è un anno importante per Una Boccata d’Arte. Stiamo lavorando alla quinta edizione e al raggiungimento di un traguardo che quattro anni fa sembrava impensabile: 100 progetti realizzati, 100 artiste e artisti e 100 borghi coinvolti in 5 anni. Senza dimenticare che circa un quarto di questi interventi sono diventati permanenti. Siamo partiti nel 2020 in piena pandemia, gli artisti hanno fatto i primi sopralluoghi con le mascherine al volto e i paesi deserti per il coprifuoco. Non abbiamo mai smesso di interrogarci, anno dopo anno, sul senso profondo di questo progetto un po’ folle e su come si possano perfezionare meccanismi e processi che per loro natura sono molto complessi e influenzati da un numero elevato di variabili. Ci confrontiamo di volta in volta con luoghi e ambienti diversissimi tra loro cercando di mantenere a fuoco quello che da sempre è l’aspetto centrale di Una Boccata d’Arte: la capacità di mettersi in ascolto e di costruire un dialogo che possa dare vita a prospettive inedite, a qualcosa di nuovo e inaspettato sia per chi abita nei paesi coinvolti, sia per gli artisti invitati. È interessante vedere come, pur essendo “stranieri” in partenza, gli artisti vengano progressivamente accolti dalle comunità locali. In questo senso Una Boccata d’Arte è un pensiero in costante evoluzione, un progetto che spera di innescare reazioni e relazioni spontanee e virtuose nel tempo e nello spazio che occupa».
Arianna, Benjamin e Simone, vi propongo di considerare la presentazione nei termini di present-azione: cosa resta e cosa si rinnova della vostra opera?
AP: «001/H348/PZ/17 è il codice di censimento che identifica il Pino Domestico di Rivello – il più grande di tutta la Basilicata – come Albero Monumentale. La ricerca-azione con/su un “monumento verde” è stata per me e continuerà ad essere per gli abitanti, una forma del “prendersi cura”. Si crea quindi una nuova relazione uomo – albero. La tutela di quest’ultimo diventa modello di partecipazione attiva per la comunità territoriale e può suscitare un nuovo dibattito, una forma di rispetto verso l’identità del paese di cui il Pino è parte integrante».
BJ: «La speranza per queste opere è che, pur parlando alla storia di Pieve, ci sia un’apertura tale che lo spettatore possa ritrovare la propria vita e le proprie esperienze in esse riecheggiate; un senso di connessione individuale con i molti altri con cui condividiamo la vita, al di là della distanza e dell’esperienza del tempo che passa. Questo è ciò che si rinnova a ogni incontro, dove la propria proiezione diventa parte dell’opera. Ciò che rimane sono i vari cicli naturali rappresentati, coerenti al di là dell’arco di una vita individuale».
SC: «Quello che resta dell’esperienza abruzzese nella mia “azione-presente” sono senza dubbio l’atto performativo e la costruzione di oggetti sonori: mezzi espressivo che ho avuto modo di sperimentare grazie all’intervento per BA2023. Citando Marius Schneider in La musica primitiva sappiamo che in tutti i miti, compreso quello più scientificamente appagante del Big Bang, la prima manifestazione percepibile dell’invisibile è legata ad un suono. Dall’abisso primordiale del non essere si apre una fenditura da cui spira un grido, generatore delle prime immagini in movimento. Non è un caso che i riti primaverili di rinascita siano strettamente legati agli strumenti a percussione, emulatori del battito vitale. Alla mia ricerca sul rapporto uomo-paesaggio, si aggiunge quindi la matrice simbolica della percussione, evocatrice ancestrale di una vitalità imprevedibile e sotterranea in netto contrasto con l’ordine tecnico e geometrizzato alla quale ci sottoponiamo».
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