Dalla Sardegna con determinazione

di - 8 Dicembre 2013
Ho sempre lottato per poter sperare di cambiare il mondo, in ogni caso continuo a lottare per poter cambiare almeno la speranza. Nel mio territorio d’origine, il Sulcis, si nasce e si muore lottando. La mia Isola è chiusa e ostile, permalosa e bellissima, anche quando ti uccide con i veleni portati da quelle industrie che volevano, appunto, portare speranza, ma che hanno finito per insegnare a lottare: il paradosso è che dalle mie parti ancora si lotta per continuare a morire.
Dalla lotta, e dalla sopravvivenza, ho imparato che si arriva a conquistare qualcosa solo se l’azione è chiara, forte, sintetica e si muove verso un obbiettivo preciso. Non vado d’accordo con un certo modo di fare arte che prende a pretesto il mondo (e la speranza) semplicemente per giustificare la produzione di un’opera, rinunciando così a tutta una potenziale carica politica, morale e sociale che l’arte (e l’artista) contemporanea ha proprio nelle sue stesse radici storiche ed estetiche. Il risultato è che in questa finzione dell’azione politica e sociale anche l’opera rischia di divenire un semplice, anzi, un complicato pretesto, che alla fine non fa che aumentare, invece che diminuire, le distanze tra l’opera, l’artista e le sue buone intenzioni d’interazione sociale. L’uomo albero ad Istanbul, il Tank Man di Tienanmen, hanno compiuto un gesto chiaro, forte, sintetico, che si è mosso verso un obiettivo preciso.
Verso un preciso obiettivo indeciso.
Con il semplice gesto, chiaro, forte, sintetico, di rimuovere la porta del Wilson Project Space, ho di fatto aperto lo spazio a chiunque volesse utilizzarlo, in qualsiasi modo, in qualsiasi ora del giorno e della notte.
Il mio diario, con Dario Lino (Costa)
– Ventisette Novembre, ore 18,30.  Lo spazio è aperto, vuoto, bianco, lasciamo, giusto per l’inaugurazione, le porte adagiate su una parete, con le chiavi inserite nella serratura.
– Ventotto Novembre. Nello spazio aperto, vuoto, bianco, l’unica presenza, in un angolo del pavimento, è quella dei volantini con l’indirizzo e-mail del blog (http://aperto-wps.blogspot.it/) che invitano a mandare le immagini del passaggio dei nuovi “inquilini”.
Nello spazio da questo momento può succedere qualsiasi cosa, anche niente, in ogni caso nulla è stato concordato: uno poteva decidere di utilizzarlo un giorno ad una certa ora, per una certa cosa, e per assurdo tutti sarebbero potuti arrivare in quello stesso momento, magari per fare la stessa cosa.
In ogni caso la porta non c’è più, chiunque potrebbe portarsi via, danneggiare o riscrivere quello che un altro decide di lasciare.
– Ventinove Novembre. Non sappiamo chi e quante persone siano passate davanti o siano entrate senza fare nulla. Finalmente sul blog è documentato il primo intervento: una piccola riproduzione di un quadro di Morandi, un vaso di fiori.
– Trenta Novembre. La stampa è ancora lì, i muri si sono riempiti di segni e disegni, ci sembrano tutti bellissimi; non credo sarei riuscita a realizzarli in maniera così spontanea, e soprattutto senza la mia presenza fisica! Sul davanzale della finestra c’è un cartone della pizza.
– Un, due, tre, Dicembre. A vederla ora, a metà dell’opera(zione), sembra una bellissima mostra, così colorata, underground, poetica. In questi giorni qualcuno ha utilizzato lo spazio per restaurare un tavolo, alcuni docenti dell’Accademia hanno portato i loro studenti, ed anch’essi hanno lasciato le loro tracce espressive, soprattutto sulle pareti. Qualcuno ha lasciato uno zaino pieno di quaderni di scuola, altri oggetti-opera sono disseminati ovunque, dalle pareti al pavimento.
– Quattro Dicembre. Il fatto che gli oggetti, le opere e gli interventi siano ancora tutti lì e che stiano rispettosamente insieme, ci da la sensazione che il mio gesto non abbia intaccato la sacralità di un project space dedicato alla ricerca ma che anzi ne abbia aumentato l’aura: possibile che a nessuno sia passato per la mente di portarsi via qualcosa?
Io e Dario aspettiamo giorno per giorno, ora per ora,  i nuovi passaggi, le nuove immagini,  ansiosi di nuove emozioni, di altre immaginazioni, di sentire di avere intorno tante persone che sentono la necessità di esprimersi, di partecipare, di fare comunità.
Non abbiate paura, io, Dario, non ne abbiamo avuta.
To be continued.
*tutte le immagini: courtesy Eleonora De Marino

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  • Mi pare che il suo lavoro sia infantile e simile a quello di tanti principianti, segno che anche i critici in Italia sono ad un livello molto basso

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