Delle catastrofi e delle ricostruzioni. Secondo Cyprien Gaillard

di - 16 Novembre 2012

La storia delle civiltà si erge sulle colonne di catastrofi, in bilico tra distruzione e ricostruzione; tutti gli imperi un giorno o l’altro sono destinati a perire: “polvere siamo e polvere torneremo”. C’è una mostra a Milano che affronta la rovina come rivelazione di una riscrittura della storia in chiave antimonumentale, iconoclasta in cui monumenti, ruderi di torri e grattacieli, fortezze e bunker, architetture moderniste, periferie degradate e devastazioni prodotte da bombardamenti e da catastrofi tracciano un viaggio immaginario visionario nel tempo. Da Occidente a Oriente cambiano la cultura, la lingua, le tradizioni, la religione, riti e costumi, ma in comune abbiamo la distruzione e cumuli di rovine che danno senso e diritto di ricostruire ciò che prima abbiamo distrutto.

Cyprian Gaillard (1980), trentaduenne, parigino trasferito a Berlino, dove vive e lavora, cresciuto a skate tra i graffiti delle periferie di Parigi e di San Francisco, musica elettronica, viaggi e libertà, sembra aver assorbito ed elaborato il pensiero “flâneur” di Walter Benjamin che ha educato le generazioni successive a vivere la città e le sue architetture come un paesaggio diffuso. Scrive il filosofo: «Non sapersi orientare in una città non vuol dire molto. Ma smarrirsi in essa, come ci si smarrisce in una foresta, richiede tutta un’educazione» (Walter Benjamin, Infanzia Berlinese).

Come si esprime questa “educazione”? Lo scoprite varcando l’entrata della imponente Caserma XXIV Maggio di Milano, ex panificio militare progettata nel 1889 e inaugurata nel 1897. Questo importante monumento di archeologia industriale, nell’ex distretto militare edificato in una zona borghese, vicino al Parco Sempione, tra via Mascheroni e Vincenzo Monti, originariamente denominato Quartiere delle Milizie, per la prima volta è accessibile ai civili. Il merito è della Fondazione Trussardi e di Massimiliano Gioni, curatore delle mostre promosse dalla Maison che di anno in anno ci fanno riscoprire il patrimonio storico architettonico di Milano, individuando luoghi abbandonati o dimenticati per riconsegnarli ai cittadini attraverso mostre di arte contemporanea sempre gratuite. Quanti di voi si sono scordati Pipilotti Rist ospitata al cinema di via Manzoni o l’irriverente Paul McCarthy a Palazzo Citterio, zona Brera?

Là dove prima si produceva pane (dal 1898 al 1957) per i militari e per i milanesi durante la seconda Guerra Mondiale – noterete forni conservati intatti distribuiti nelle sale dell’edificio, incastonati nelle pareti turchesi e altre tracce che svelano l’originaria funzione dell’architettura – ora si sforna un’estetica delle rovine, sublime e decadente. Qui Gaillard, romantico-concettuale, bel tenebroso, fotografato da Terry Richardson, pluripremiato che ha già esposto nei più importanti musei internazionali e ha partecipato a biennali, espone un archivio di immagini (video e collage di foto) in cui ogni dettaglio è un tassello della storia e della memoria.

Nella prima sala vedrete Gates (2012) frottage realizzati sui tombini di Los Angeles. Nella seconda sala New Picturesque (2012) con forni a vista, dove troverete cartoline in bianco e nero con immagini di antichi castelli ricoperti da carta strappata che nascondono e insieme svelano forme. Nella terza sala aleggia un’inquietante atmosfera postmoderna nel video The Lake Arches (2007) che racconta di un gioco di ragazzi ripresi mentre si tuffano in uno specchio d’acqua ignorandone la profondità, uno riemerge con il naso rotto e sanguinate. Sullo sfondo alla scena l’edificio di Ricardo Bofill a Saint Quentin-en-Yvelines, nella periferia di Parigi, sottolinea un clima apocalittico di decadente bellezza. Nelle due sale successive vi perderete nell’istallazione dal titolo emblematico Millions intro Darkness (2012), composta da teche di grande formato realizzate per la mostra. I tavoli contengono reperti di vario tipo disposti con rigore scientifico: decine d’immagini in bianco e nero, provenienti da archivi quotidiani americani che ricostruiscono la storia scandita da catastrofi e conflitti. Nella sala successiva il video Pruitt-Igoe Falls (2009) in cui vedrete l’abbattimento di un edificio di Glasgow, in Scozia, accanto allo scroscio imponente delle cascate del Niagara, in un visionario skyline urbano, che sembra rielaborare l’estetica del Ruinismo e ispirata ai Capricci del Piranesi.

Il percorso prosegue con Geographical Analogies (2006-2011), una serie di tavoli simili a teche adottati dai musei di storia naturale e di archeologia, che raccolgono polaroid scattate dell’artista nei cinque continenti e disposti a gruppi di nove, in cui Gaillard classifica e censisce immagini simboliche, accostandole per analogie e contrasti a immagini e paesaggi sublimi: è un atlante del mondo che trasuda di estetica del sublime. Chiude il percorso espositivo il video Real Remnants of Fictive Wars V (2004), ultimo di una serie di cinque brevi azioni girate in pellicola 35mn in cui l’artista fa esplodere degli estintori industriali di paesaggi scelti. Starete lì davanti a una balaustra di un castello e improvvisamente apparirà una nuvola di fumo che sembra cancellare e al tempo stesso svelare la silente compostezza del paesaggio.

Fa da coro wagneriano della mostra e si espande dalla prima all’ultima sala il brano Prelude (Dragged), una rielaborazione del preludio del L’ora del Reno di Wagner, la prima delle quattro opere che costituiscono la tetralogia L’anello del Nibelungo realizzata per la mostra dalla band americana dei Salem. Questo suono ipnotico vi trascinerà dentro un’atmosfera inquietante, sospesa tra l’alba e il tramonto in cui non si capisce se ci si trova prima o dopo la tempesta.

Il lavoro di Gaillard avrebbe entusiasmato Gordon Matta Clark, tra i fondatori dell’An architecture Group di New York, esperto nell’arte del “contrappunto antimonumentale” e nella decostruzione, il cui interesse verte sul “fallimento dell’architettura non la promessa dell’architettura”. Gaillard progetta opere in cui la distanza di unità percettiva tra il passato e il presente viene fagocitata da un agglomerato di immagini, video e suoni che visualizzano il suo pensiero sulla fine della storia, della civiltà moderna, in cui l’architettura, il reperto di un città grandiosa o di una periferia, la natura trascrivono un memoriale mai scritto di un viaggio fuori dalla storia.

Jacqueline Ceresoli (1965) storica e critica dell’arte con specializzazione in Archeologia Industriale. Docente universitaria, curatrice di mostre indipendente.

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  • Una mostra interessante ma anche molto melanconica, questo guardare al passato giĂ  con stanchezza di un giovane brillante artista trentenne...

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