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21
febbraio 2015
Di nuovo nel mondo capovolto di Escher
Progetti e iniziative
Dopo Roma, è la volta di Bologna. C’è ancora tempo quindi per viaggiare tra i giochi ambigui dell’artista olandese che tanto piaceva ai fricchettoni. E uscirne più confusi di prima
Chiude in bellezza domenica, con più di 200 mila visitatori e 150 mila prenotazioni di gruppi, la mostra di Escher che per l’ultima settimana resta aperta fino a mezzanotte, al Chiostro del Bramante. E dal 12 marzo è a Palazzo Albergati di Bologna.
150 opere, provenienti in gran parte da collezioni private e dalla Fondazione Escher, dimostrano come questo genio matematico abbia saputo superare le asprezze della geometria e le enigmaticità della filosofia attraverso un uso fuori del comune di interpretazioni ottiche e di paesaggi paradossali.
È complesso Escher, ecco perché il Chiostro del Bramante e Arthemisia Group, attraverso diversi giochi e pannelli didattici, hanno provano a coinvolgere tutti (riuscendoci a quanto pare), offrendo la possibilità, anche ai più piccini, di appassionarsi a una figura totale della conoscenza umana.
Il percorso espositivo avviato al piano inferiore con un’infilata di opere dalle tonalità più cupe fotografa “l’anima nera” di Escher e la sua passione rivolta, anzitutto, al paesaggio montano. Le prime opere in esposizione sono vedute delle località più sorprendenti della Calabria: Rossano, Pentedattilo, la piramidale Morano, oltre che lo splendido castello a picco sul mare di Scilla e poi Tropea. Tutta la regione, da sempre geograficamente inospitale, viene attraversata a dorso di mulo e messa nero su bianco sulle sue tavolette (a volte molto minute).
Ma non solo il sud e la Sicilia (il duomo di Monreale), anche Roma, la Roma notturna. Girovago nel buio delle strade, Escher disegnava portandosi dietro una lampadina, tanto da incuriosire la gente del luogo.
Poche saranno le stampe sull’Urbe, nonostante abbia vissuto qui per lunghi anni: una xilografia del Colosseo in bianco e nero, una splendida quanto pericolosa vista da Castel sant’Angelo, S. Maria del Popolo (che sono già forme di tassellatura) e un’inquadratura un po’ bislacca dentro san Pietro (è noto che aveva ottenuto il permesso di disegnare nella Basilica ma, a sorpresa, sceglie un cornicione pericolante mettendo a rischio la sua vita). Il primo soggiorno qui da noi è pensato dai genitori per curarlo da problemi di natura psichica. Quello decisivo si svolgerà però più avanti, tra 1922 e 1935.
Ma non è l’Italia l’unica fonte di ispirazione per l’artista. C’è anche la Spagna di Cordoba e Granada con la sua fortezza araba, l’Alhambra, e il decoro moresco del 1936. Il curatore, Marco Bussagli, precisa «Non ci sono due Escher. Il 1936 non è l’anno di non ritorno, non segna una frattura nell’arte di Escher, come si è sempre creduto». O perlomeno molte suggestioni che dopo il viaggio in Spagna prenderanno spessore, erano già state anticipate, forse inconsapevolmente. Perciò la mostra è anche il risultato di questa ricerca. (Alcuni aspetti non trattati prima e che riguardano scene bibliche del Duomo di Siena, per esempio, sono incredibilmente vicini agli “oggetti impossibili” della fase più matura).
Il mondo di Escher indaga i procedimenti del paradosso, dell’alterazione visiva, metodi che hanno come conseguenza una visione altra della “realtà”. Così i luoghi visitati non sono una semplice cartolina del ricordo. L’incisore olandese si confronta sempre, con i temi dell’universo della geometria, spazio e infinito e quindi con il tempo e l’eternità. Ha a cuore gli effetti delle ombre cinesi e i vasi di Rubin, le continue metamorfosi di oggetti e esseri animati, si mette con diverse modalità a intendere la percezione ottica che è fenomeno quanto mai di aria olandese, ma che attraversa anche artisti più contemporanei come Vasarely e l’Op Art, in mostra in un confronto diretto.
Attraverso un percorso interattivo la retrospettiva interseca molte discipline: la cristallografia (il fratellastro era geologo, in prestito alcuni cristalli dall’Istituto di Mineralogia di Roma) le leggi della Gestalt e la musica, soprattutto quella di Bach. Affiorano nelle sue opere diversi linguaggi artistici passati e presenti, come i rimandi simbolisti e divisionisti in Rossano e Morano; di poetica futurista in Giorno e notte. Anche Balla non è così distante né Depero o Pellizza da Volpedo che può aver visto alla GNAM, magari scortato da Federico Hermaninn (allievo di Venturi e funzionario delle Belle Arti).
E allora, Roma gli resta così fortemente impressa, anche quella di Andrea Pozzo o l’anamorfosi di Trinità dei Monti con le false prospettive e le più estreme alterazioni, che poi realizzerà con questi modelli, l’opera Relatività nonché Altro mondo II del 1947. Vero capolavoro è il Belvedere. C’è un cenno di medioevo e una citazione da Bosch. Il cappello della figura che sale le scale è identico a quello del personaggio di spalle nelle nozze di Cana fiamminghe.
L’uomo Escher, che visse tra allegria (sembra fosse molto divertente) e depressione, si definiva un “laico curioso”. A dispetto di ciò indagava in maniera del tutto spirituale la realtà che lo circondava, attento agli aspetti più misteriosi, si rivolgeva alle stelle con il naso all’insù. Frainteso dagli hippies, che vedevano nelle sue opere presupposti per esperienze psichedeliche, Escher si chiedeva “Che cos’è la cosiddetta realtà? Che cos’è questa teoria se non un’illusione splendida ma primordialmente umana?”
Pur pubblicando senza permesso le sue opere, sono stati proprio i figli dei fiori a sdoganare Escher e forse a renderlo così celebre. Nell’opera Rettili, ci vedevano allusioni all’uso della cannabis indiana (un pacchetto di cartine per sigarette JOB, usate per le canne). Le foglie al centro della litografia Balconata (non presente in mostra) hanno qualche somiglianza con quelle della marijuana. Ma Escher era del tutto lontano da quel tipo di messaggio, tanto che rifiutò per due volte la richiesta dei Rolling Stone di utilizzare la copertina per una delle loro cover. L’arte di Maurits Cornelis Escher apre sì “Le porte della percezione” ma in modo del tutto differente!
I suoi puzzle sono una vera e propria sfida alle capacità percettiva di chi li osserva tanto che le sue opere hanno interessato da un certo momento in poi (dopo la mostra tenutasi in concomitanza con il concorso di matematica) più il mondo della geometria che la critica d’arte. La mostra al Chiostro del Bramante che sta per chiudersi, ha voluto rendere conto di tutto questo e ha mostrato quanto il panorama mentale dell’artista fosse contemporaneo e quanto dovrebbe interessare soprattutto il mondo dell’arte. La mostra, inoltre, è stata l’occasione di vedere da vicino le opere perché Escher non è presente nei musei! E, più di tutto, quello che balza agli occhi è che la mostra non risponde affatto gli interrogativi per cui si era è aperta, ma li ripropone in modo ancora più coinvolgente.
In questo universo bizzarro e complicato, Escher non può che intrigare il suo pubblico fornendo un altro pretesto per domandarsi ancora: cos’è la vita? La realtà che vediamo è solo una delle possibili realtà? Possiamo trasformarla, come fanno gli artisti, a nostro piacimento? alterandola magari con una sfera o una forma o una scala infinita come quelle di Escher? Domani provate ad entrare nella “sfera” di Escher. Che mondo vedete? È un mondo alla rovescia? Entrando nella sala dagli specchi magici con finti aerei bianchi., quante volte vedete impressa la vostra immagine? Qual è reale e quale no? Che cosa provate a camminare là dentro?
Buon viaggio!