30 maggio 2019

Di osservazioni e di colore

 
Incontro con Ettore Spalletti in occasione della sua “Ombre d’azur”, a Villa Paloma di Monaco. Celebrando con l’arte la potenza e il mistero del paesaggio d’Abruzzo

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La linea dell’orizzonte è una traccia visibile che intercetta la densità atmosferica, il riflesso dorato del sole, il suono del vento, nelle sale di Villa Paloma – Nouveau Musée National de Monaco. Fondamentalmente per Ettore Spalletti (Cappelle sul Tavo, Pescara, 1940) a cui è dedicata la personale “Ombre d’azur, transparence”, curata da Cristiano Raimondi (fino al 3 novembre). Si tratta di un momento di pura contemplazione che viene restituito all’osservatore in tutta la sua intensità. 
Presenza e assenza si rincorrono sulle distese di colore che – strato dopo strato, abrasione dopo abrasione – conferiscono un’identità specifica alle pitture-sculture, in gran parte realizzate negli ultimi due anni proprio per questa mostra. Altre, tra cui Disco (1981), Paesaggio, favola (1990), Così com’è, fonte (2006), Orizzonte dorato (2011), Colonna persa, bianco (2000), Colonna persa, rosa (2000), Eludere i sogni (2016), Caro Rietveld (2016) e Sirente-Velino, (2016), appartengono a momenti precedenti.
In particolare, la foglia oro dei dittici più recenti svela una preziosità che va al di là del suo valore intrinseco: in questa serie di paesaggi assume una valenza simbolica che è il manifesto della poetica stessa di Spalletti. Sulla tavola di legno, o sulla centina, la traccia d’oro che illumina l’impasto di colore è l’evocazione del paesaggio marino di Pescara. «L’idea è che, passeggiando sul lungomare di Pescara, si vede prima la sabbia, poi la linea del mare, poi un’altra che può essere un’ombra o il riverbero del mare sull’atmosfera», afferma il curatore. Anche il profilo del Velino è ritratto con la polvere di pastello sulla carta. 
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Ettore Spalletti Ombre d’azur, transparence – Installation view at Nouveau Musée National de Monaco – Villa Paloma – Photo Werner Hannappel, VG-Bildkunst Bonn 2019

L’Abruzzo è una regione dell’Italia centro-meridionale, ancora oggi in parte sconosciuta, che conserva tesori straordinari: la forza primordiale della natura (dal mar Adriatico al massiccio del Gran Sasso, del Sirente-Velino e della Majella alla Marsica) così come la potenza di una cultura antichissima di cui è un’icona il leggendario Guerriero di Capestrano. Citazioni presenti, direttamente e indirettamente, nell’opera di Ettore Spalletti che ha sempre mantenuto un rapporto privilegiato con la sua terra. 
È una dichiarazione d’amore quotidiana, quella dell’artista, che si esprime nella condivisione di uno spazio che è intimo e allo stesso tempo pubblico, in cui i luoghi cari – dalla casa di Spoltore o di Pescara allo studio a Cappelle sul Tavo, alle chiesette e abbazie come la chiesa di Santa Maria del Piano di Loreto Aprutino, alle cime delle catene montuose – sono elementi imprescindibili della sua pratica artistica. 
Immagini che scorrono fluide nel bellissimo documentario di oltre un’ora Ettore Spalletti, Ombre d’azur, transparence, realizzato dalla regista Alessandra Galletta (LaGalla23 productions, Milano) e presentato in anteprima a Monaco. Un lavoro particolarmente significativo all’interno del percorso espositivo di Villa Palona, grazie al quale il pubblico può entrare in punta di piedi nel mondo dell’artista. 
Il film si apre e si chiude proprio con l’immagine di Spalletti sull’altopiano di Campo Imperatore: una figura minima davanti all’imponenza del massiccio del Gran Sasso. La regista, specializzata in produzione d’arte, la definisce una monografia video, spiegando che si tratta del risultato di un lungo processo, realizzato partendo dalle conversazioni con Spalletti e il suo entourage (la moglie Patrizia Leonelli, l’assistente Azzurra Ricci ed altri personaggi tra cui la nipote Benedetta Spalletti, Lia Rumma, Germano Celant) durante i numerosi soggiorni abruzzesi. 
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Ettore Spalletti Ombre d’azur, transparence – Installation view at Nouveau Musée National de Monaco – Villa Paloma – Photo Werner Hannappel, VG-Bildkunst Bonn 2019
«Negli anni mi sono accorta che il lavoro di Ettore Spalletti è molto frainteso – spiega Alessandra Galletta – alcuni lo associano al minimalista americano, altri ai monocromi di James Turrell o a certi lavori di Anish Kapoor. In effetti ci sono delle affinità, però nel lavoro di Spalletti c’è quella differenza italiana del paesaggio, del cielo, della tradizione secolare della pittura che difficilmente viene colta, sia da un pubblico non italiano che italiano. Ho pensato che il documentario fosse la forma adatta per raccontare questa simbiosi che lui vive con il paesaggio. Ma non è un documentario costruito, piuttosto è un racconto. Pian piano sono entrata nei suoi affetti. Era importante che ci fossero anche immagini del suo studio che è un po’ la sua sacrestia. L’immagine dell’artista a Campo Imperatore suggerisce anche il suo modo di stare nel mondo, nell’arte. Un modo contemplativo che egli riporta nella sua pittura. Farlo passeggiare in quello spazio immenso senza nulla – solo cielo e nuvole – mi sembrava bello. L’idea è sua. È un posto del suo cuore dove l’artista va ad ispirarsi».
Ordine, perfezione, controllo e una ritualità ben definita (fiori freschi inclusi) appartengono al quotidiano di Spalletti che ama definirsi un pittore antico. Anche il senso di accoglienza è presente. Il suo colore, un impasto di pigmento, polvere, calce, gesso, acqua ed altri ingredienti si espande nello spazio, assorbe la luce e s’indurisce come la pietra antica, restituendo gli azzurri dell’atmosfera, i rosa dell’incarnato. Opere avvolgenti che parlano di armonia e amore, proprio come quello che provava la mamma dell’artista per suo marito. «Mio padre era un uomo bellissimo e mia madre riempiva d’amore tutti quegli spazi che lo circondavano – ricorda Ettore Spalletti quasi sussurrando – Lei occupava tutto lo spazio d’amore e lui era completamente paralizzato». Alla sua infanzia appartengono anche altri ricordi, come quello subito dopo la guerra – «Sono nato nel ’40 e a quei tempi c’era la povertà. Le ragazze del mio paese per farsi le labbra e le gote rosse (nel parlare Spalletti mima il gesto con le sue bellissime mani dalle dita lunghe fotografate anche da Gianni Colombo) mettevano una carta rossa nell’acqua che si tingeva, poi si passavano l’acqua colorata sulle labbra e sulle gote». Un altro ricordo: «impazzivo quando mia madre, che era ricamatrice, entrava nella mia stanza e vedendo i miei lavori dava un nome ai colori: il rosso pettirosso o il grigio perla». Parole calibrate, preziose come i momenti che evocano. «Sono un perditempo, non faccio altro che osservare», afferma Ettore Spalletti.
Manuela De Leonardis

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