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19
luglio 2008
DUE PER TUTTI, TUTTI PER DUE
Progetti e iniziative
Provinciali, e orgogliosi di esserlo. Fabio Cavallucci e Andreas Hapkemeyer svelano la gestazione di Manifesta 7, ne analizzano il know-how e si lasciano andare a stime e previsioni. Lodando soprattutto la "santa alleanza" tra Trento e Bolzano...
Quando e come è partito il processo che ha portato Manifesta in Italia?
Andreas Hapkemeyer Per quanto mi riguarda, sono amico di Hedwig Fijen dal ‘93. Da allora avevamo più volte parlato di collaborazioni. Poi nel 2004, anche con Fabio Cavallucci, la cosa ha iniziato a diventare sempre più concreta, fino alla candidatura ufficiale della regione. Inoltre, vi era la circostanza favorevole della presenza di due italiani nel board di Manifesta: Francesco Bonami e Massimiliano Gioni, entrambi ex-curatori di edizioni passate.
Fabio Cavallucci Nel 2003 era stata fondata Across, l’associazione che raccoglie una quindicina di istituzioni artistiche tra Trentino, Alto Adige e Tirolo austriaco. A quel tempo si parlava di realizzare una grande iniziativa in comune, ma per una serie di ragioni non ci si è mai riusciti. Nel maggio del 2004, quando stava per inaugurare Manifesta 5 a San Sebastian, città gemellata con Trento, ci venne in mente che potevamo cercare di sfruttare questa grande biennale. Così partimmo alla volta di San Sebastian, io, Andreas Hapkemeyer e l’allora assessore alla cultura del Comune di Trento. Il resto è stato un lungo lavoro di convincimento, nei confronti degli amministratori delle due province e soprattutto della Fondazione Internazionale Manifesta.
La comunicazione. La sensazione è che sia cominciata in ritardo rispetto a un evento così importante. Qual è stata la strategia, se c’è stata?
A.H. La comunicazione è stata avviata in tempi corretti, per la precisione nel luglio 2007. Piuttosto la quota del budget dedicata è stata contenuta rispetto all’obiettivo primario del Comitato di Manifesta 7, cioè ristrutturare e rendere agibili ben quattro sedi espositive, che in futuro rimarranno patrimonio della comunità locale.
F.C. A dire il vero credo che ci sia stato ritardo su tutto. Certo la vicenda della cancellazione di Manifesta 6 a Nicosia non ha giovato. La decisione di scegliere il Trentino Alto Adige come sede per il 2008 risale al giugno del 2006, quando il board si è riunito a Basilea, l’annuncio ufficiale all’ottobre dello stesso anno. Il comitato si è definitivamente insediato solo nel maggio del 2007. Poco più di un anno per realizzare una grande biennale è un tempo davvero limitato. Inoltre, la burocrazia italiana non aiuta: i membri della Fondazione e i curatori si sono trovati con sorpresa di fronte a una miriade di cavilli e complicazioni che probabilmente non si aspettavano. Devo dire che purtroppo è abbastanza normale: ricordo ancora di aver visto a Venezia nel 2001, alle tre di notte del giorno precedente la vernice della Biennale, il grande Harald Szeemann attaccare le ultime fotografie con le proprie mani… Quanto alla comunicazione, non direi che non sta funzionando, ma oggi ha tempi stretti: di Manifesta si parlerà, ma solo a ridosso e durante la mostra.
Mi dia un numero: quello dei visitatori che si aspetta.
A.H. Il nostro obiettivo è di superare i centotrentamila visitatori di San Sebastian, che però, è bene ricordarlo, era a ingresso gratuito.
F.C. Se Manifesta si fosse aperta a giugno, ci si poteva aspettare di superare ampiamente i centotrentamila visitatori di San Sebastian. Aprendo alla fine di luglio il grosso della comunicazione arriva a ridosso dell’esodo vacanziero, quindi fa scendere la capacità d’attrazione. Credo che arrivare intorno ai centoquarantamila potrà essere un ottimo risultato, ma mi accontenterei anche di superare i centomila. Non dimentichiamo che stiamo parlando di arte contemporanea di ricerca, non di Impressionismo o di Surrealismo.
Come ha risposto il territorio alla biennale?
A.H. Bene, perché tutti volevano essere coinvolti. Da parte del pubblico interessato alla cultura l’attesa è grande. Anche gli artisti hanno mostrato molto interesse e un buon numero degli italiani in mostra è della zona. Per non parlare delle associazioni culturali, che hanno risposto in massa aderendo ai Parallel Events.
F.C. All’inizio il territorio ha risposto con qualche riserva, anche sul versante politico. Il Trentino e l’Alto Adige sono province aperte, ma spesso diffidenti quando il sistema non riesce ad avere il pieno controllo di qualcosa. Però la piattaforma dei Parallel Events, che ha coinvolto centinaia tra istituzioni, associazioni, artisti, è servita molto anche a superare lo scetticismo.
Come si sono rapportate le amministrazioni provinciali con questo evento, letteralmente “straordinario” rispetto alle loro competenze?
A.H. Prima di tutto le due province si sono “alleate” per presentare la candidatura della regione. Le due amministrazioni hanno investito un totale di tre milioni di euro e la più grande collaborazione si è avuta proprio sulla ristrutturazione degli spazi, che, ci piace pensare, in futuro potrebbero essere riutilizzati per l’arte contemporanea.
F.C. A livello di persone direi con una dedizione sovrumana che non ha nulla a che fare con il luogo comune del dipendente pubblico svogliato e assente. Certo le strutture restano in gran parte inadeguate rispetto alla necessità di prendere decisioni rapide e di agire in modo snello.
Come si sono rapportati, invece, gli esponenti del mondo produttivo, politico e culturale locale?
A.H. L’interesse di tutti è stato fondamentale. Basti pensare che alcuni imprenditori hanno appoggiato anche le fasi più pratiche della preparazione di Manifesta, mettendoci a disposizione molte strutture di cui avevamo bisogno. Inoltre è stato incessante anche il dialogo con il Museion e il Mart, che spero godranno di un ritorno di immagine e soprattutto di un successo di pubblico proprio grazie a Manifesta e ai visitatori che verranno in regione fino a novembre.
F.C. A parte i diretti interessati, gli assessori alla cultura e qualche imprenditore appassionato d’arte, non c’è stato ancora un coinvolgimento largo. D’altra parte vale per tutta l’arte contemporanea. Ma le cose cambieranno…
Qual è stata la maggiore difficoltà nell’organizzazione?
A.H. Far nascere dal nulla una struttura che cresce velocemente, parla più di quattro lingue, si muove su quattro sedi nell’arco di centocinquanta chilometri, con tre team curatoriali di tre nazionalità diverse… ho reso l’idea?!
F.C. Non c’è stato qualcosa di realmente difficile… Diciamo che ci sono state molte operazioni faticose, come il meccanismo dei processi decisionali, con riunioni dove spesso non erano del tutto chiari i compiti e le responsabilità di ciascuno. Comprensibile, in un’organizzazione messa in campo così in fretta. Su un altro versante, invece, c’è stato anche qualcosa di molto facile, come ottenere attenzione da parte dei curatori sull’arte italiana. Senza spinte o imposizioni: semplicemente sollecitandoli a conoscere alcune situazioni in giro per la Penisola. Alla fine sono stati invitati più di trenta italiani, tra artisti, architetti, intellettuali. E direi che di questi tempi è un successo di cui possiamo essere fieri…
Cosa lascerà Manifesta 7 dopo la chiusura?
A.H. Prima di tutto, come ho già detto, gli spazi. Poi il cosiddetto “know-how”, l’esperienza accumulata dallo staff “arruolato” su base locale. Ci sarà poi un lavoro attento e capillare del dipartimento didattico, che si concentrerà proprio sulla comunità. E di nuovo vorrei sottolineare che, mi auguro, Manifesta 7 sarà un’occasione di rafforzamento delle realtà locali che, dai già citati Museion e Mart alla Galleria Civica di Trento, meritano grande attenzione e indubbiamente rendono l’offerta culturale della regione una delle migliori e più vivaci degli ultimi anni.
F.C. Spero che lasci un maggiore interesse per la contemporaneità, la coscienza dell’importanza della ricerca. Un paese pur ricco di beni culturali come l’Italia rischia di impoverirsi, se non costruisce il suo presente.
Andreas Hapkemeyer Per quanto mi riguarda, sono amico di Hedwig Fijen dal ‘93. Da allora avevamo più volte parlato di collaborazioni. Poi nel 2004, anche con Fabio Cavallucci, la cosa ha iniziato a diventare sempre più concreta, fino alla candidatura ufficiale della regione. Inoltre, vi era la circostanza favorevole della presenza di due italiani nel board di Manifesta: Francesco Bonami e Massimiliano Gioni, entrambi ex-curatori di edizioni passate.
Fabio Cavallucci Nel 2003 era stata fondata Across, l’associazione che raccoglie una quindicina di istituzioni artistiche tra Trentino, Alto Adige e Tirolo austriaco. A quel tempo si parlava di realizzare una grande iniziativa in comune, ma per una serie di ragioni non ci si è mai riusciti. Nel maggio del 2004, quando stava per inaugurare Manifesta 5 a San Sebastian, città gemellata con Trento, ci venne in mente che potevamo cercare di sfruttare questa grande biennale. Così partimmo alla volta di San Sebastian, io, Andreas Hapkemeyer e l’allora assessore alla cultura del Comune di Trento. Il resto è stato un lungo lavoro di convincimento, nei confronti degli amministratori delle due province e soprattutto della Fondazione Internazionale Manifesta.
La comunicazione. La sensazione è che sia cominciata in ritardo rispetto a un evento così importante. Qual è stata la strategia, se c’è stata?
A.H. La comunicazione è stata avviata in tempi corretti, per la precisione nel luglio 2007. Piuttosto la quota del budget dedicata è stata contenuta rispetto all’obiettivo primario del Comitato di Manifesta 7, cioè ristrutturare e rendere agibili ben quattro sedi espositive, che in futuro rimarranno patrimonio della comunità locale.
F.C. A dire il vero credo che ci sia stato ritardo su tutto. Certo la vicenda della cancellazione di Manifesta 6 a Nicosia non ha giovato. La decisione di scegliere il Trentino Alto Adige come sede per il 2008 risale al giugno del 2006, quando il board si è riunito a Basilea, l’annuncio ufficiale all’ottobre dello stesso anno. Il comitato si è definitivamente insediato solo nel maggio del 2007. Poco più di un anno per realizzare una grande biennale è un tempo davvero limitato. Inoltre, la burocrazia italiana non aiuta: i membri della Fondazione e i curatori si sono trovati con sorpresa di fronte a una miriade di cavilli e complicazioni che probabilmente non si aspettavano. Devo dire che purtroppo è abbastanza normale: ricordo ancora di aver visto a Venezia nel 2001, alle tre di notte del giorno precedente la vernice della Biennale, il grande Harald Szeemann attaccare le ultime fotografie con le proprie mani… Quanto alla comunicazione, non direi che non sta funzionando, ma oggi ha tempi stretti: di Manifesta si parlerà, ma solo a ridosso e durante la mostra.
Mi dia un numero: quello dei visitatori che si aspetta.
A.H. Il nostro obiettivo è di superare i centotrentamila visitatori di San Sebastian, che però, è bene ricordarlo, era a ingresso gratuito.
F.C. Se Manifesta si fosse aperta a giugno, ci si poteva aspettare di superare ampiamente i centotrentamila visitatori di San Sebastian. Aprendo alla fine di luglio il grosso della comunicazione arriva a ridosso dell’esodo vacanziero, quindi fa scendere la capacità d’attrazione. Credo che arrivare intorno ai centoquarantamila potrà essere un ottimo risultato, ma mi accontenterei anche di superare i centomila. Non dimentichiamo che stiamo parlando di arte contemporanea di ricerca, non di Impressionismo o di Surrealismo.
Come ha risposto il territorio alla biennale?
A.H. Bene, perché tutti volevano essere coinvolti. Da parte del pubblico interessato alla cultura l’attesa è grande. Anche gli artisti hanno mostrato molto interesse e un buon numero degli italiani in mostra è della zona. Per non parlare delle associazioni culturali, che hanno risposto in massa aderendo ai Parallel Events.
F.C. All’inizio il territorio ha risposto con qualche riserva, anche sul versante politico. Il Trentino e l’Alto Adige sono province aperte, ma spesso diffidenti quando il sistema non riesce ad avere il pieno controllo di qualcosa. Però la piattaforma dei Parallel Events, che ha coinvolto centinaia tra istituzioni, associazioni, artisti, è servita molto anche a superare lo scetticismo.
Come si sono rapportate le amministrazioni provinciali con questo evento, letteralmente “straordinario” rispetto alle loro competenze?
A.H. Prima di tutto le due province si sono “alleate” per presentare la candidatura della regione. Le due amministrazioni hanno investito un totale di tre milioni di euro e la più grande collaborazione si è avuta proprio sulla ristrutturazione degli spazi, che, ci piace pensare, in futuro potrebbero essere riutilizzati per l’arte contemporanea.
F.C. A livello di persone direi con una dedizione sovrumana che non ha nulla a che fare con il luogo comune del dipendente pubblico svogliato e assente. Certo le strutture restano in gran parte inadeguate rispetto alla necessità di prendere decisioni rapide e di agire in modo snello.
Come si sono rapportati, invece, gli esponenti del mondo produttivo, politico e culturale locale?
A.H. L’interesse di tutti è stato fondamentale. Basti pensare che alcuni imprenditori hanno appoggiato anche le fasi più pratiche della preparazione di Manifesta, mettendoci a disposizione molte strutture di cui avevamo bisogno. Inoltre è stato incessante anche il dialogo con il Museion e il Mart, che spero godranno di un ritorno di immagine e soprattutto di un successo di pubblico proprio grazie a Manifesta e ai visitatori che verranno in regione fino a novembre.
F.C. A parte i diretti interessati, gli assessori alla cultura e qualche imprenditore appassionato d’arte, non c’è stato ancora un coinvolgimento largo. D’altra parte vale per tutta l’arte contemporanea. Ma le cose cambieranno…
Qual è stata la maggiore difficoltà nell’organizzazione?
A.H. Far nascere dal nulla una struttura che cresce velocemente, parla più di quattro lingue, si muove su quattro sedi nell’arco di centocinquanta chilometri, con tre team curatoriali di tre nazionalità diverse… ho reso l’idea?!
F.C. Non c’è stato qualcosa di realmente difficile… Diciamo che ci sono state molte operazioni faticose, come il meccanismo dei processi decisionali, con riunioni dove spesso non erano del tutto chiari i compiti e le responsabilità di ciascuno. Comprensibile, in un’organizzazione messa in campo così in fretta. Su un altro versante, invece, c’è stato anche qualcosa di molto facile, come ottenere attenzione da parte dei curatori sull’arte italiana. Senza spinte o imposizioni: semplicemente sollecitandoli a conoscere alcune situazioni in giro per la Penisola. Alla fine sono stati invitati più di trenta italiani, tra artisti, architetti, intellettuali. E direi che di questi tempi è un successo di cui possiamo essere fieri…
Cosa lascerà Manifesta 7 dopo la chiusura?
A.H. Prima di tutto, come ho già detto, gli spazi. Poi il cosiddetto “know-how”, l’esperienza accumulata dallo staff “arruolato” su base locale. Ci sarà poi un lavoro attento e capillare del dipartimento didattico, che si concentrerà proprio sulla comunità. E di nuovo vorrei sottolineare che, mi auguro, Manifesta 7 sarà un’occasione di rafforzamento delle realtà locali che, dai già citati Museion e Mart alla Galleria Civica di Trento, meritano grande attenzione e indubbiamente rendono l’offerta culturale della regione una delle migliori e più vivaci degli ultimi anni.
F.C. Spero che lasci un maggiore interesse per la contemporaneità, la coscienza dell’importanza della ricerca. Un paese pur ricco di beni culturali come l’Italia rischia di impoverirsi, se non costruisce il suo presente.
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Intervista con Hedwig Fijen
a cura di mariella rossi
*articolo pubblicato su Exibart.speciale Manifesta. Te l’eri perso? Abbonati!
dal 19 luglio al 2 novembre 2008
Manifesta 7
Sedi varie – Bolzano, Trento, Rovereto, Fortezza
Orari: da lunedì a domenica ore 10-19; venerdì ore 10-21
Ingresso: € 15
Cataloghi Silvana Editoriale
Info: tel: +39 0461493670; info@manifesta7.it; www.manifesta7.it [exibart]