Se non siete mai entrati nella Scuola Grande di San Rocco, pur passandoci tutti i giorni e magari studiando in una Accademia di Belle Arti, o in una scuola di Design, e magari proprio a Venezia, non sentitevi in colpa. Tanto Tafuri non può più fulminarvi, e siete in ottima compagnia. La prima notizia è che nemmeno il numero uno del MiBACT lo aveva mai fatto. Solo in occasione dei cinquecento anni dalla fine dell’esecuzione dei lavori, Alberto Bonisoli, già direttore della NABA di Milano, ospite istituzionale più importante presente all’evento della prima accensione della nuova illuminazione della Sala Capitolare, in apertura del proprio intervento ha candidamente dichiarato di entrarci per la prima volta e di essere pronto a stupirsi per gli effetti speciali. Seconda notizia, è venuto per l’invito irrinunciabile dello sponsor, perché l’unica via praticabile e auspicabile è la declinazione intelligente della ricerca tecnologica per una fruizione contemporanea del patrimonio artistico, di cui l’Italia è così straordinariamente ricca. La sopravvivenza della Cultura in Italia non dipende dunque dall’identità, ma dalla capacità di trasferire tecnologie e superare l’opposizione fra conservazione e fruizione delle opere d’arte. E in un impeto patriottico Bonisoli ha dichiarato il proprio orgoglio di cittadino italiano, quando gli imprenditori illuminati – è proprio il caso di dirlo – diventano protagonisti di questo processo. Adolfo Guzzini, fondatore dei iGuzzini, ha sponsorizzato la nuova illuminazione della Sala Capitolare, dopo l’esempio di Jaeger Le Coutre che aveva fatto altrettanto con la Sala dell’Albergo, famosa per ospitare una delle crocifissioni più importanti nella storia della pittura. In questa opera di mecenatismo l’imprenditore marchigiano non è solo. A favore dei teleri del ciclo mariano, ospitati al piano terra, è in corso un restauro sponsorizzato da Sky e completamente visibile ai visitatori. Anche se a proposito del ciclo mariano ci sarebbe tantissimo da dire, per ora ci fermiamo qui, diciamo solo che il restauro è solo una parte della vicenda, dato che Sky potrà girare un documentario sulla pittura di Tintoretto nella Scuola Grande. Elemento guida per comprendere Tintoretto sarà proprio la luce.
Luce, sintesi fra disegno e colore. A favore di camera.
Giacomo Robusti oratore in difesa della pittura (1657-1676) ph. Mark Edward Smith
Adolfo Guzzini chiarisce che il core business della sua impresa è l’illuminazione degli ambienti urbani, del retail e delle grandi infrastrutture ovunque nel mondo, mentre i beni culturali in Italia sono uno spazio promozionale per mostrare il massimo grado raggiunto nel design e nelle tecnologie dall’azienda. E a Venezia, dove tutto il mondo passa, è impossibile mancare. Chiarito, grazie a un vero imprenditore, che l’arte è scambio nel senso di dono e non esattamente di mercato, ha descritto il resto delle sue sponsorizzazioni in Veneto. Per esempio, mentre nella Cappella degli Scrovegni, a Padova, un sistema IOT (Internet of Things) garantisce un feedback costante dell’intensità e della temperatura di luce naturale, permettendo ai dispositivi artificiali di regolare di conseguenza l’illuminazione ottimale di tutta la cappella, simulando la luce naturale in ogni punto a ogni ora, qui il tema è stato interpretato in modo diverso.
I committenti, la confraternita di San Rocco, e l’architetto Alberto Pasetti, con lo studio omonimo specializzato in lightening design, hanno interpretato l’illuminazione artificiale come la continuazione del processo creativo e compositivo proprio di Tintoretto, che era solito costruire prima modelli degli spazi per studiare gli effetti di prospettici e la disposizone delle figure, poi lavorare con luci diverse per studiare come integrare lo spazio pittorico nelle cornici dell’architettura, e infine lavorare al vero con vere e proprie scenografie, in cui gli effetti di luce venivano anche essi messi in scena.
Jacopo Robusti detto il Tintoretto, La preghiera nell’orto, olio su tela, 1578-81 (455×538 cm) ph. Mark Edward Smith
Qualcosa che somiglia vagamente a quello che succede nei set di moda e che ogni adolescente emula con i selfie e con i computer. Con la virtualizzazione anche della fruizione delle opere d’arte, il modo di illuminarle diventa cruciale per la loro comprensione, non solo per la loro riproduzione, proprio perché la luce torna per paradosso a essere il mediatore principale di tutti i significati delle opere. Dunque in questo neo-barocco tecnologico l’uso dell’IOT è fondamentale. Per farlo comprendere, la prima accensione non è stato il passaggio da una lampadina accesa a una spenta, ma una vera e propria manifestazione di un fenomeno inerente non solo alla pittura, ma al tema cruciale di tutta la poetica di Tintoretto. Il passaggio dalle tenebre alla luce o, il ruolo di Venezia
Senza addentrarsi una ricapitolazione ingenua e frettolosa di tutta la storia della pittura veneta dal tredicesimo al sedicesimo e diciassettesimo secolo, possiamo dire qui, senza sbagliare, che Tintoretto con il tema della luce è riuscito a trovare una sintesi fra la spinta della tradizione veneta legata agli effetti del colore, e quella romana tutta centrata sul disegno e sulla prospettiva. L’intuizione di Tintoretto che deriva anche dal particolare ruolo di Venezia durante la controriforma, dall’essere stata sede importante per i Gesuiti, – che facevano della partecipazione soggettiva alla rivelazione divina il tema principale, – l’intuizione di questo pittore, dicevamo, è che nel linguaggio proprio della pittura tutto si materializza nel chiaroscuro, per coinvolgere chi guarda attraverso gli effetti luminosi disposti nello stesso spazio prospettico dello spettatore.
Nella spiritualità della Controriforma, il tema dominante è la notte oscura come presupposto per comprendere la luce. Il soggetto che guarda è esso stesso il teatro di volta in volta di una genesi, di una separazione della luce dalle tenebre. Tutto questo avviene in un teatro preciso, reale, fatto di fenomeni la cui contingenza è esattamente il punto di accesso a qualcosa di più grande. Jacopo Tintoretto ne ha fatto il tema di tutti i suoi lavori.
Francesco Pianta, “Allegorie”: Furore
Per questo motivo, la scelta di non appiattire il chiaroscuro di Tintoretto con una luce omogenea di mezzogiorno, ma piuttosto di elaborare un sistema che permettesse sia l’illuminazione discreta, quella per punti dei dettagli, sia una variazione differenziale tanto in intensità quanto in temperatura di colore, è stata una scelta fatta per esaltare il significato di questi teleri. In questo caso, la disposizione dei corpi luminosi è stata studiata per integrare l’architettura e i punti di vista potenziali dello spettatore con lo spazio virtuale delle tele. L’intervento è in definitiva un restauro percettivo, totalmente reversibile ma non per questo neutro, di tutto l’ambiente. Fino a definire una regia luminosa totale dello spazio. Si è trattato anche di un lavoro di restauro dell’impianto precedente, non neutro, dato che era stato realizzato con soluzioni innovative, – la prima volta la luce elettrica in un museo, – nel 1935 da Mariano Fortuny che per l’occasione aveva modificato il design delle sue famose lampade su cavalletto.
La scelta felice di usare una performance per presentare il nuovo sistema, mettendo in scena la teologia della luce raccontata da Tintoretto, ha mostrato tutte le possibilità di questo modo di interpretare l’illuminazione nella conservazione artistica. Imparando da Tintoretto, che credeva veramente con Giovanni Evangelista che la luce e non altro fosse la manifestazione e la natura del divino, più modestamente ricondotti alla realtà da Adolfo Guzzini, possiamo aspettare il prossimo documentario di Sky e decidere finalmente di visitare uno dei cicli pittorici più innovativi, potenti e ispirati mai dipinti. E non aspettare i prossimi cinquecento anni dalla consegna del pittore alla Scuola, dopo una elaborazione la cui narrazione richiederebbe un romanzo e ben più di un documentario.
Irene Guida