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28
settembre 2014
Ecco la musica che crea l’immagine
Progetti e iniziative
William Kentridge è passato come una cometa a Firenze con Paper Music. Con un “cine-concerto” per ri-pensare immagini, tempo e storia. Una narrazione plurale che esplora le differenti relazioni tra suono e rappresentazione. E che fa approfondire il rapporto dell’artista sudafricano con la musica, elemento unificante di un’opera eclettica e multiforme. Da cui affiora un’insopprimibile gioia di vivere
di Elena Magini
Firenze ha ospitato la prima assoluta del ciné concert Paper Music, progetto in itinere di William Kentridge e del compositore sudafricano Philip Miller – suo storico collaboratore sin dal 1993. La composizione, che vede il riarrangiamento musicale di dieci video, di cui quattro inediti, è stata eseguita dal vivo, nella suggestiva cornice del Museo Nazionale del Bargello. E ha visto sul palcoscenico lo stesso Kentridge, accompagnato da tre musicisti, Vincenzo Pasquariello al piano e Ann Masina e Joanna Dudley alle voci.
Così è iniziato Firenze suona contemporanea, festival che si propone di mettere in relazione musica contemporanea, cinema e arti visive. Suggestione primaria di questa settima edizione del festival è il saggio Scolpire il tempo di Andrej Tarkovskij, una riflessione sul tempo e sulla percezione della realtà, combinata a una profonda sensibilità per la dimensione musicale all’interno del discorso filmico.
Dalla fine degli anni Ottanta William Kentridge (Johannesburg, 1955) sviluppa un lavoro eterogeneo e personalissimo, dove immagini in movimento, musica, teatro e elementi scultorei interagiscono, dando vita ad opere in cui la dimensione autobiografica e individuale dell’artista si connette alla storia recente del Sud Africa negli anni dell’apartheid.
Alcuni dei film confluiti in Paper Music risalgono a venti anni fa ed esplorano le dinamiche contraddittorie della società capitalista attraverso un immaginario lirico, nutrito di suggestioni letterarie. Felix in Exile (1994), Tite Table (2003) e Other Faces (2011) ad esempio, tutti realizzati con la tecnica di animazione simultanea a pastello e carboncino, costituiscono un nucleo di opere che, pur realizzate in anni diversi, presentano tematiche e allegorie ricorrenti nel corpus dell’artista. Il contesto socio-politico del Sud Africa, la città di Johannesburg e i suoi sobborghi, il paesaggio africano, le manifestazioni e le lotte, la memoria del colonialismo e la segregazione razziale, si rendono protagonisti di una narrazione fortemente simbolica che, seppur legata alla contingenza sociale sudafricana, diviene una potente metafora dell’intera condizione umana. Oltre all’aspetto di denuncia sociale, il lavoro di Kentridge disvela sempre una dimensione intimista, dove centrale è l’interrogativo etico sulla figura dell’artista, ma anche la riflessione su tematiche esistenziali, come la morte, la solitudine, lo scorrere del tempo: una ricerca eterogenea ma allo stesso tempo profondamente coerente, portata avanti attraverso l’uso consapevole di materiali e tecniche e coltivando una profonda attenzione per l’interazione, all’interno del lavoro, tra immagine e elemento musicale.
Soprattutto il disegno d’animazione è divenuto negli anni cifra stilistica di Kentridge; come è noto l’artista non accosta un disegno all’altro, ma è solito impiegare un solo foglio, cancellando l’immagine precedente e facendo emergere via via nuovi disegni. La particolarità dell’operazione risiede nel processo di manipolazione dell’immagine su una medesima superficie: un susseguirsi di cancellature e segni in cui la traccia del disegno precedente si fonde con il successivo. La sedimentazione del tratto, il continuum visivo dato dalla trasformazione incessante delle immagini, costituiscono una sorta di materializzazione della memoria, evocazione del tempo, del cambiamento e della transitorietà.
La riflessione pluriennale condotta da Kentridge sul concetto di temporalità, sulla trasformazione e la permanenza di segni e narrazioni, non si limita alla sola tecnica disegnativa ma trova negli anni una profonda rielaborazione anche attraverso l’impiego dell’elemento sonoro. The refusal of time (2012), installazione concepita per Documenta XIII e riproposta prima in una mostra al MAXXI e poi per Paper Music, ne è un esempio significativo: prevede la commistione di videoproiezioni e scultura, orchestrate da metronomi giganti proiettati sulle pareti. Qui la componente temporale è trattata come un oggetto materiale che si espande e si contrae, osservabile e manipolabile nelle sue forme; la musica diviene lo strumento grazie al quale il tempo assume una stringente fisicità: attraverso accelerazioni, tagli e spostamenti, l’elemento sonoro agisce come dispositivo di destrutturazione e ricomposizione del reale, al pari della giustapposizione dei disegni all’interno di un collage.
Risulta evidente come la musica sia negli anni un elemento di indagine preferenziale all’interno dell’opera di Kentridge, per la capacità di veicolare l’immaginario poetico dell’artista e per la sua qualità di connettere la rappresentazione e la sua percezione esterna. È protagonista in Paper Music, dove l’elaborazione e la giustapposizione di lavori già esistenti con pezzi inediti nasce dall’ascolto delle musiche e dalla successiva decodificazione e reinterpretazione del motivo originale. Lo stesso Kentridge, per definire il progetto, parla di “nuove musiche per vecchi disegni. Musiche recenti per film recenti. Nuove musiche composte per film ancora da realizzare”. L’equivalenza tra immagine e impulso sonoro è manifesta nella nuova suite di opere concepita per il progetto: un accostamento di disegni astratti e frasi frammentate tratte da lezioni e conferenze – le Norton Lectures, tenutesi ad Harvard nel 2012- montate su pagine dell’Oxford Dictionary fino a divenire una partitura visiva dove colori, parole e suoni scorrono, giustapponendosi in una sorta di flip book.
In tutti i lavori dell’artista immagini in movimento e suoni si alimentano a vicenda: l’interazione tra le due forme linguistiche muta l’usuale percezione del lavoro, la musica non costituisce quindi un commento sonoro ai disegni, ma ne modifica i modi della visione, divenendo grammatica e sintassi dell’immagine. Ritornare nuovamente su musiche già composte, sviluppando inedite relazioni e innesti, può costituire allora un corrispettivo sonoro dell’operazione effettuata da Kentridge a livello disegnativo: la germinazione di forme, il continuo avvicendarsi di figure, la caratteristica di sedimentazione e ritorno presente nei suoi lavori trova un analogo nella rielaborazione condotta a livello musicale: un’operazione metamorfica e progressiva di indagine sulla realtà e sui modi della sua percezione, ottenuta mediante l’uso della musica.