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06
febbraio 2016
El Greco, genio inimitabile. Molto italiano
Progetti e iniziative
Di scena a Treviso la mostra sul pittore nato a Creta, che ha lavorato a lungo in Spagna, ma che è stato influenzato dalla pittura veneta. Amato da Picasso, Monet e Pollock
La mostra su El Greco italiano, fortemente voluta da Andrea Brunello di Kornice e promossa da Cassamarca di Treviso, è il frutto di 50 anni di studi di Lionello Puppi, il maggiore esperto sull’artista e di un notevole team scientifico (Boccaglini, Donati, Lovati, Paphiti, Lobefaro). La rassegna ricca di spunti inediti, dal confronto del cartone picassiano delle Demoiselles d’Avignon ai due Bacon (in anteprima mondiale) ha attirato numerosi consensi e qualche critica. Oltre a un programma di concerti di musica antica e un probabile lancio del film al cinema, idee che vivacizzano Treviso anche nei mesi più tranquilli, la retrospettiva ha il pregio di vedere riunite tutte, o quasi, le opere del pittore cretese nel passaggio in Italia, avvenuto tra il 1567 e il 1575. Ma non solo. Prestiti importanti (Budapest, Parigi, Frederikssund) e nuove attribuzioni ne fanno un appuntamento imperdibile nella bella città medievale dai portici sui canali. E sei poi salta fuori anche qualche retroscena, il set è servito.
Esposto lungo il canale con la Sirenetta che bagna la Casa dei Carraresi (la sede espositiva prontamente restaurata per l’occasione) il percorso è cronologico e inizia con una proiezione, inedita in Italia, del regista Smaragdis, che apre subito sul tema: la lunga parabola italiana del genio El Greco. «L’Italia- sostiene Puppi- era rimasta silenziosa rispetto alle mostre di Spagna e Grecia per il centenario» e questa iniziativa diventa una «scommessa impossibile» non solo perché “reimmette l’icona nello spazio del racconto” (come sostiene Massimo Cacciari), l’arte bizantina con quella italiana, ma anche perché fa vivere a Treviso un secondo Rinascimento.
L’operazione espositiva, infatti, avviene in concomitanza di altre aperture, come il museo Bailo e la mostra di Escher a Santa Caterina, e mira ad accendere i riflettori su una città come Treviso spesso fagocitata da Venezia e che non offre un monumento-simbolo come Verona con l’Arena ma che ha una vocazione turistica di tutto rispetto e un passato di mostre non indifferente (Canaletto, L’800 veneto, Venezia ‘900 da Boccioni a Vedova). Con un fascino tutto suo, alla Cà dei Carraresi, si mostra un lato davvero unico a queste coordinate geografiche.
Il titolo della mostra “El Greco. Metamorfosi di un genio”, allude alle vibranti trasformazioni di cui il suo stile risentirà in seguito al passaggio italiano, per Venezia anzitutto e poi a Roma. Il curatore Lionello Puppi afferma che si è arrivati a un punto cruciale su El Greco. Il pittore a Madrid si illude di essere il prediletto di Filippo II, ma non sarà così e allora si trasferisce a Toledo. Ma prima di questo viaggio passerà per l’Italia, un Paese che lo cambierà radicalmente. Poco lusinghiero nei confronti dell’Italia e di Michelangelo, ne pagherà lo scotto e sarà presto fuori dalle grazie delle famiglie nobili. Abbandonata, ma mai del tutto, la tradizione bizantina dei primi esiti (San Demetrio, il Polittico di Ferrara, nella prima sezione) già con l’altarolo per il “Miles Christi” (di Modena, ritrovato per caso in un armadio della Galleria Estense) si rivela l’influenza dei veneti e in particolare di Tiziano. La prospettiva della costruzione e i colori brillanti non potevano che restargli impressi, tanto che poi li richiamerà in uno dei pannelli dell’altarolo. Ma non è solo Tiziano a incidere su un cambiamento del pittore di icone, sarà poi la volta di Tintoretto con le sue figure allungate e i virtuosismi di Jacopo Bassano. È Venezia per lui la scintilla di un nuovo fuoco creativo. La Flagellazione di Cristo è infatti messa in relazione con l’Allegoria del fuoco di Jacopo Bassano (1581-84 da Montecarlo). Il bellissimo Soplòn (manca quello di Capodimonte) con il Ragazzo che accende la candela dal Palazzo Reale di Genova.
Nella seconda sezione, il racconto inizia dal 1570, quando approda a Roma. La Guarigione del cieco che ritrae il profilo delle Terme di Diocleziano e di Alessandro Farnese (grazie al quale arriva nell’Urbe) è un guizzo nel mistero prima del ritorno in Spagna.
Accanto ai quadri romani due lettere autografe: una è di Giulio Clovio, una raccomandazione e serve per ammetterlo a vivere presso i Farnese, l’altra di due anni dopo, è quella in cui El Greco protesta per essere stato cacciato da quella stessa casa! Dopo la breve protezione del cardinale, non si hanno più tracce certe di lui in Italia. Paradossalmente, con l’iscrizione all’Accademia di San Luca, ricominciano le mille peripezie del pittore che con ogni probabilità si reca in Umbria dove lascia un ciborio (del 1573) ora al Museo di Bettona (individuato per primo da G. Lovati). Questo lavoro su cinque pannelli (di cui abbiamo già parlato qui) conferma la paternità attribuita al cretese.
Dopo la ricca sezione veneziana e quella romana, la penultima sperimenta in modo originale una via crucis. Con il Cristo in croce di Venusti (da collezione privata), il modello bronzeo di Giacomo della Porta (quindi michelangiolesco) e il crocefisso di Giambologna, El Greco sviluppa nuove tecniche (nell’olio su rame, da collezione privata) e soprattutto iconografie originali che si ripercuotono sugli sviluppi successivi spagnoli. Prova questa, di quanto l’Italia non fu solo una parentesi ma anzi un laboratorio di idee. Forme spettrali che nell’intrico dei corpi non sono così distanti dai mostri di Bacon o dalla distruzione delle forme di Picasso dell’ultima sezione. Il cartone preparatorio delle Demoiselles infatti, non serve solo da volano alla prossima mostra a Treviso (“Cantiere Picasso”), ma testimonia un influsso profondo del genio cretese sull’arte contemporanea e le Avanguardie storiche. Non solo Manet e Pollock si ispireranno alle sue idee ma Picasso stesso parlerà di Dominikos come l’unico vero cubista prima di lui. E se le due crocifissioni atee di Bacon fanno ancora scandalo, permettono forse di spingere oltre il dibattito. In primis sulla croce, tema quanto mai attuale, e poi sul disagio esistenziale dell’artista che sussiste in qualunque epoca si trovi a vivere.
Uno dei capolavori dell’esposizione, oltre al Soplòn, è senz’altro l’enigmatico Ritratto di gentiluomo eseguito, secondo l’iscrizione, nel 1570 e protagonista di una vicenda molto controversa. Negli anni Trenta del secolo scorso, il dipinto apparteneva a Julius Priester, importante industriale ebreo di Vienna. In seguito all’annessione tedesca dell’Austria del 1938, quando Priester fuggì da Vienna, tutta la sua collezione di opere, compreso questo ritratto, fu sequestrata dalla Gestapo nel 1944 nell’ambito delle espropriazioni operate dai nazisti ai danni degli ebrei. Solo alla fine della seconda guerra mondiale, si avviò un’indagine per recuperare i dipinti che mancavano all’appello. Il caso era difficile perché il catalogo indicava una provenienza incompleta e fuorviante e lui non era menzionato. La provenienza erronea serviva senz’altro a mascherare l’identità del dipinto e impedirne il recupero. Il dipinto finalmente rintracciato nel 2014, quando fu apertamente messo in vendita a New York, fu restituito ai legittimi proprietari solo nel marzo 2015, è ora in mostra.
Non è secondario sapere che quello di El Greco è un mercato fiorente, alimentato da una domanda che cresce sempre più. Chissà che la mostra non muova altri collezionisti e curiosi verso il genio greco? Il dipinto San Giuseppe, per esempio, venduto nel 2012 e attribuito a lui solo due anni dopo, successivamente fu battuto da Sotheby’s per 2.741.000 dollari!
La retrospettiva trevigiana non solo riapre pagine critiche sulla probabile frequentazione della bottega di Tiziano da parte di El Greco, ricercando le tracce nel suo girovagare in Italia, ma dà nuovo impulso alle presunte attribuzioni al pittore riaccendendo così l’appetito dei collezionisti. Ma prima di tutto quello che la densa rassegna sottolinea, è quanto la poetica di El Greco sia segnata sulla linea della via occidentale, mettendo così in secondo piano le origini dell’antica Bisanzio. Un pittore, un genio dissonante e inimitabile quindi sempre più italiano.
Anna de Fazio Siciliano
accanto ad attribuzioni generose di lavori provenienti da collezione privata, alla mostra va dato il merito di porre all’attenzione opere di particolare importanza, spesso racchiuse in musei lontani dai grandi circuiti. Oltre alla serie di ‘crocefissioni’ dalla sensibilità contemporanea, notevole la Santa Maddalena Penitente e il Salvatore benedicente