Eroico, drammatico Baselitz

di - 3 Aprile 2017
È certamente una mostra che vale la pena vedere “Georg Baselitz. Gli eroi” allestita a Roma, in Palazzo delle Esposizioni, fino al 18 giugno 2017. Dopo una Quadriennale, diciamolo pure, non al meglio delle sue potenzialità, la grande sala colonnata torna a respirare, riacquisendo quella godibilità visiva che l’affastellamento di opere e l’accentuata frammentazione degli spazi avevano compromesso.
Qualcuno potrebbe obiettare che con un artista del calibro di Baselitz (Deutschbaselitz, Sassonia, 1938) è facile imbastire una buona mostra. Ma il grande nome in tutto questo non c’entra o, meglio, c’entra poco. A decretare il successo della rassegna, infatti, è sì la qualità intrinseca delle opere, tutte notevoli ma non imprevedibili per quanti conoscono il lavoro dell’artista tedesco, ma è l’allestimento a fare la differenza, semplice e arioso, che alla ridondante complessità dello spazio dominato dal giallo-bruno delle poderose colonne centrali contrappone la regolare sequenzialità delle opere, ben ripartite in microsezioni tematiche e tecniche, tra oli e disegni.

Ad introdurre il percorso è un’ampia – e per niente pedante – sezione biografica in cui è tracciata, anche attraverso documenti e testimonianze, la vita dell’artista, dalla formazione iniziata all’Accademia di Berlino est (da cui è espulso per “immaturità socio-politica”) e compiuta all’Accademia di Berlino ovest, emozionandosi in solitaria di fronte alle opere di Jackson Pollock e Philip Guston (l’informale era in quegli anni il linguaggio contrapposto dall’Occidente al realismo sociale sovietico) e leggendo Joyce, Kafka, Musil. Ma la lettura prediletta dell’artista sul crinale degli anni Cinquanta è “Il placido Don” di Michail Aleksandrovič Šolochov, premio Nobel per la Letteratura nel 1965. La guerra civile cosacca trattata dallo scrittore russo lo spinge a rispecchiarsi nel protagonista, Grigorij Melechov, e a riflettere sul suo isolamento, visto come condizione elitaria, mitica, autenticamente eroica. Per Baselitz sono anni di frenetica ricerca interiore. Legge, studia e viaggia molto, tra Kassel, Amsterdam e Parigi con il solo scopo di ricercare la sua strada, quella di una pittura libera, energica ed espressiva, impegnata e tragica.
«Ho sempre trovato il surrealismo affascinante – ha dichiarato molto più tardi l’artista – perché trattava liberamente quello che vedevi e quello che potevi immaginare vedendo. Più o meno in quest’area si collocano le mie figure letterarie degli eroi e dei nuovi tipi… vengono dalla letteratura, e sono dotati di tutti gli attributi che ritenevo importanti per ciò che volevo esprimere. È per questo che, volendo semplificare, li ho descritti come rappresentazioni dei mestieri del Settecento, del Seicento, del Cinquecento… Erano raffigurati al centro del dipinto. Avevano i loro attributi e si vedeva ciò che erano». Nascono tra il 1965 e il 1966, sotto mentite spoglie artistico-letterarie, i suoi eroi, esposti per la prima volta nel 1973 alla Galerie Springer di Berlino ed oggi protagonisti della mostra romana; uomini seduti o in piedi, nerboruti eppure dolenti, con mani più grandi dei volti e occhi spesso rivolti al cielo, quasi in attesa di una grazia. Impugnano attrezzi o bandiere rosse e non di rado hanno un’espressione estatica e speranzosa, ma il loro corpo, sempre pesante e stanco, li inchioda alla terra, in un tragico ed indissolubile rapporto di sofferenza.

La pennellata è tremendamente energica, si veste di terra e di sangue, assecondando una necessità espressiva che si rivela fin da subito impellente e furibonda. Lo si percepisce fin dalla prima e più datata opera in mostra, Feld del 1962, in prestito dallo Städel Museum di Francoforte, in cui già si percepisce la tendenza trasfigurativa dell’artista volta a modificare in chiave espressiva la realtà ma mai ad abbandonarla. Due nudi distesi su un campo verde appaiono deformati, sgraziati, in pose a tratti erotiche. La visione accidentale e ravvicinata e il contrasto tra il rosa dei corpi e il verde scuro della vegetazione accrescono il disagio della visione. Anche nel disegno (e quindi nell’incisione), rappresentato in tre belle e contenute sezioni, il tratto è  vorticoso, continuamente spezzato, e la figura è dolente.
Gli Eroi di Baselitz sono personaggi drammaticamente sospesi tra aggressione e malinconia, tra gesto eroico e trepidazione. In alcuni dipinti del 1966 l’uomo appare moribondo, addossato ad un albero, mentre in altri è definitivamente scomparso. Di lui restano sull’albero le tracce di sangue e i rami spezzati, ultime testimonianze di una tragedia ormai compiuta. Nella sala frontale una grande svastica e figure vagamente hitleriane eseguite tra il 2007 e il 2008 compongono il ciclo Remix, reinterpretando con linguaggio attuale i drammatici dipinti degli anni Sessanta. Nelle ultime sezioni, infine, il corpo è capovolto e fratturato, è divenuto un tutt’uno con il tronco. L’eroe è definitivamente martoriato e diviso. Il dramma è ormai totale.
Carmelo Cipriani

Nato a Terlizzi nel 1980, è giornalista, critico d’arte e curatore indipendente. Dopo la laurea in Conservazione dei Beni Culturali presso l'Università degli Studi di Lecce, si perfeziona sull'Arte del Novecento all'Università degli Studi di Bari. Già cultore della materia in Museologia presso l’Università degli Studi della Calabria e docente a contratto presso l’Accademia di Belle Arti di Vibo Valentia, ha condotto studi specialistici e curato mostre per Soprintendenze, istituzioni e musei.  

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