Mud Art Foundation nasce nel 2006 ed è il naturale proseguimento dell’attività svolta dalla presidente e responsabile Donatella Nani come editrice – dal 1998 fino ai primi anni del 2000 – della rivista “That’s art” e come organizzatrice, nel 2004, della mostra
Cantieri dell’arte. 14 artisti e uno spazio industriale a Milano, presso le ex cartiere Binda, a cura di Angela Madesani.
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L’idea di costituire una fondazione per continuare a occuparmi d’arte rispondeva a un’esigenza di partecipazione, più che all’idea che la città necessitasse di un ulteriore spazio”, afferma Donatella Nani. “
Credo che la Mud Art Foundation si collochi, nel panorama della città, a cavallo tra due mondi: quello dell’arte e della cultura e quello, più profano, della piccola imprenditoria, dal quale provengo e nel quale continuo a vivere”.
Il nome “Mud”,
fango in inglese, vuole caratterizzare il progetto come elemento fecondo, capace di generare occasioni di sviluppo e scambio. La programmazione della fondazione non si svolge all’insegna di un progetto di critica militante o della volontà di assecondare le richieste del mercato, ma del desiderio di “
rispondere a esigenze quando si presentano. Se incontro un progetto interessante al quale mancano le risorse per svilupparsi”, dichiara la presidente, “
cerco, dove posso, di dare un supporto per realizzarlo. È stato così per la pubblicazione del libro di Luca Bertolo, per l’avvio del progetto ‘Biblioteca senza pareti’ e, anche questa volta, si voleva offrire agli artisti scelti uno spazio di tipo museale a Milano con il quale confrontarsi”.
La mostra che segna l’esordio dell’attività espositiva di Mud è
Il più profondo è la pelle, una collettiva che vede la partecipazione di sette artisti: Mario Apone, Jurij Atzei, Alessandro Di Pietro, Gianni Moretti, Daniela Novello, Elisabetta Novello e Daniele Veronesi. “
Il titolo della mostra”, spiega Francesca Fiorella, curatrice del progetto, “
è una frase di Paul Valéry contenuta ne ‘L’Idea fissa’ del 1932. Ciò che sostengo è quindi che la superficie – non intesa come spazio ideale, ma come pelle delle cose – è l’ambito di conoscenza e interpretazione reale a disposizione dell’uomo. Il rimando a una (mai individuata) profondità è qui considerato come alibi per spostare in là o in giù, in un altrove sospetto, la grandezza umana. La qualità umana è nel paesaggio del compiuto”. Gli artisti sono stati scelti fra i partecipanti alla mostra
Coll’action. Nati tra gli anni 70/80, scelti bene in tempi estremi, a cura di Mariarosa Lividori e Giovanna Maulino, a Vercelli.
Daniele Veronesi presenta
Alberi, un cortometraggio sulle modalità percettive che si sviluppa a partire da una serie di disegni che investigano l’assimilazione delle forme naturali a livello mentale; un lavoro incentrato sulle icone.
Elisabetta Novello, con
Filare Terzo, intesse sul pavimento un elaborato arazzo utilizzando la cenere come materiale primario.
Archeologia del contemporaneo_riserve di
Daniela Novello è un’installazione che accosta un pozzo e delle taniche, innescando una riflessione sull’universalità del tema dell’acqua che trascende la dimensione temporale.
Gianni Moretti partecipa con
Settantasette centesimi, un insieme di scampoli di tessuto tagliati e sovrapposti, dai quali emergono delle sagome, concentrandosi sulle dinamiche percettive.
Equus asinus di
Alessandro Di Pietro è un serrato corpo a corpo tra l’opera e lo spazio che la ospita, che s’ispira al graffito di Alessameno, abbandonandone tuttavia la carica blasfema in favore di un’indagine sull’identità e la spazialità.
a(C)/corto di
Jurij Atzei è un’installazione costituita da sette colonne di gusci d’uovo con il loro albume utilizzato come collante, che vuole mettere in atto una riflessione sulle pratiche di manipolazione della natura.
Mario Apone, infine, con
18125 crea un’opera in grado di sollecitare molteplici modalità percettive, in cui convergono diverse discipline artistiche, dal disegno alla scultura, dalla pittura all’installazione.
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Il criterio di selezione”, afferma la curatrice, “
è stato unicamente quello della qualità della ricerca e della curiosità per il lavoro che gli artisti scelti avrebbero realizzato con a disposizione uno spazio ampio di tipo ‘museale’. Il titolo e il testo che accompagna le opere in catalogo sono quindi da considerarsi come risposta alle opere proposte piuttosto che come concetto motore del progetto”. Il tipo di approccio messo in campo è quindi “
più vicino alla ricerca teorica che all’affermazione critica. Ricerca che non sempre è possibile alimentare all’interno di strutture votate al commercio, come le gallerie, più attente, forse per necessità, al potere legittimante del critico piuttosto che ad altri tipi possibili di collaborazione”.
I progetti della fondazione per il futuro devono convivere con la spada di Damocle del budget, come ci conferma Donatella Nani: “
Quello del budget è un tasto dolente. Più volte mi sono chiesta come sia possibile avere un aiuto. Avendo una cultura imprenditoriale sono abituata a fare tutto da sola ed è un vero peccato perché si riducono le opportunità. Conferire fondi a progetti come questo in Italia è molto difficile. Le persone non credono nella buona fede delle istituzioni culturali non profit, perché troppo spesso sono usate per motivi di tipo fiscale. I fondi pubblici sono già scarsi rispetto alle necessità; noi non veniamo neppure presi in considerazione. Sono già numerosi i progetti che ci piacerebbe sviluppare sia in ambito editoriale che espositivo. Purtroppo è una questione di risorse. Siamo costretti a scegliere e diluire nel tempo le nostre iniziative”.
Nel frattempo, l’appuntamento è per sabato 20 giugno, giorno dello “svernissage”. Dalle 17 alle 22 è infatti previsto un incontro con gli artisti.