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24
ottobre 2016
Fiac chiude, ma non tutta
Progetti e iniziative
Ecco una ricognizione su quello che ancora si può vedere a Parigi. Che nel frattempo si conferma uno dei punti caldi del sistema globale dell’arte
Come negli ultimi anni, anche per questa edizione la FIAC ha esteso la sua presenza nel tessuto urbano di Parigi, città data in forte crescita per il contemporaneo, soprattutto per la presenza di musei autorevoli (come vi raccontiamo anche nel nostro ultimo Exibart onpaper) e di gallerie che hanno saputo rinnovarsi. Fino a novembre, la novità, quest’anno, è concentrata attorno al Grand Palais, luogo dove hanno esposto 186 gallerie provenienti da 26 paesi diversi, ricreando il nucleo centrale dell’Esposizione Universale del 1900, per la quale sono stati edificati i due templi dell’arte, eccezionalmente progettati per non essere distrutti dopo l’evento. Il Petit Palais situato di fronte il Grand, museo che ospita ogni sorta di collezione, dai Primitivi ai capolavori dell’Art Nouveau, ha accolto durante la settimana della manifestazione parigina un nuovo settore battezzato On Site, sponsorizzato dalle Gallerie. La presenza di una selezione di sculture ed installazioni dell’arte attuale, si riallaccia alla destinazione iniziale del Petit Palais, quando, nel 1905, ospitava il Primo Salon d’Automne, spiega il Direttore della struttura, Christophe Leribault, che, accanto a Lorenzo Benedetti, ha curato la mostra.
Petit Palais
Nella cornice suggestiva e per lungo tempo considerata démodé del Museo, si riconoscono il piano forte a coda ricoperto con larghe pennellate di pittura acrilica nera di Bertrand Lavier; i sacchi pieni di carbone sorretti ed incorniciati da lastre metalliche di Jannis Kounellis, che nel Grand Palais espone nuovi lavori nello spazio di Gavin Brown. Collage City di Edoardo Paolozzi, uno dei pionieri della Pop Art, s’inserisce egregiamente nel contesto dell’attualità. Vicino, Benoit Maire arricchisce il linguaggio Dada – cifra comune alla maggior parte degli artisti contemporanei- in modo raffinato e suggestivo. In mezzo alla scenografia dei piccoli oggetti che evocano poeticamente una filosofia dell’esistenza e del trapasso, si riconosce la testa di Socrate, attraversata da un coltello intravisto grazie alla trasparenza del mezzo utilizzato, il sapone. Tanti altri sono i materiali impiegati: legno, noce, marmo, resina, terracotta, cera, conchiglia, vernice, pietra fossile. Della stessa generazione di Paolozzi e Villeglé, Etel Adnan, pittrice e poetessa dispiega i suoi libretti ricoperti di segni ad inchiostro, e colore ad acquarello.
La scultura in marmo di Carrara di Damien Hirst, Anatomy of an Angel, associa iconografia religiosa e studio scientifico, maniera neoclassica e cruda anatomia umana dello scorticato. Guillaume Leblon in Lost Friends, ricorda tempi remoti vestendo le sagome di un cane e di un cavallo di gesso, dalle quali affiora la forma del tessuto che ricopriva gli animali impegnati nelle giostre medievali. Con Out door, Stefan Bruggemann unisce l’impressione contrastante della solidità dell’acciaio inossidabile al movimento imprevedibile, provocato dal vento. Lasciata alla casualità, si è persa la funzione della porta, nell’eventualità che si apra o si chiuda su un non-luogo.
Nel giardino, si nota una sorta di respiratore in bronzo dorato di Jan Fabre, dal titolo esplicito, L’astronaute qui dirige la mer. Rappresentando il primo astronauta belga nelle vesti di direttore d’orchestra, mette in scena l’onnipotenza umana, dai cieli agli oceani. Di fronte, Not Vital presenta Head, due teste minimaliste in acciaio grigio scuro, levigate al punto di riflettere l’ambiente circostante. Vicina, si erge su un mappamondo, L’homme supérieur, di Etienne Béothy del 1928, una scultura esile ed allungata, sormontata da una testa di piccole dimensioni.
In mezzo al piano d’acqua e al verde si dispiega poeticamente una parure discreta dell’artista di Support-Surface, Noel Dolla, composta da collane di palline rosse e bianche discretamente disseminate nel fogliame.
Non poteva mancare l’artista che rappresenta un riferimento obbligato dell’arte contemporanea con un’edizione meno nota, la serie E del 1963, della Boîte-en-valise. Un «auto-museo» portatile confezionato a partire dal 1941, per il quale Marcel Duchamp, utilizzando l’antico metodo della fototipia e del pochoir riproduce in miniatura, senza dicotomia di sorta, gran parte della sua produzione, 68 opere fra pitture, vetri, ready-made e documenti.
Fra Petit Palais e Grand Palais
Per l’occasione, l’avenue Winston Churchill che separa i due edifici, è diventata una « Esplanade » pedonale (secondo la definizione di Jennifer Flay, direttrice della FIAC), vietata alla circolazione delle automobili. Sul suolo la staticità della scrittura si è sostituita alla mobilità dei veicoli. Lawrence Weiner e Jacques Villeglé, che cita Henri Michaux, L’art est ce qui aide à tirer de l’inertie, hanno ciascuno tracciato una frase. Contemporaneo di Paolozzi, Villeglé, che vive e lavora a Parigi, associa al corpo delle lettere bianche dipinte col pochoir, simboli religiosi, esoterici, ma anche politici, alcuni trovati nella strade della città, espressioni delle tensioni attuali.
Più in là, all’angolo del Ponte Alessandro III, Alain Bublex ha installato Le Pavillon des points de vue. Previsto per essere montato temporaneamente nel quartiere della Défense durante i lavori di ristrutturazione, questo Belvedere svolge la sua funzione in mezzo alla città.
Place Vendôme
Dopo Takashi Kawamata, Jaume Plensa, Paul McCarthy, l’artista invitato nel 2016 ad intervenire sulla Place Vendôme è Ugo Rondinone. Per l’occasione, e fino al 10 novembre, riunisce nello spazio diviso dalla colonna omonima, recentemente restaurata, due serie di sculture disposte su una pedana di legno. Come nei Mercati Traianei di Roma, Rondinone ha collocato ad un lato cinque alberi, calchi bianchissimi di ulivi centenari, simboli di pace, che contrastano con la pietra bionda degli edifici circostanti e con il grigio dei cinque uomini di cemento che occupano l’altra parte della Place. Le due serie di sculture hanno in comune la riconoscibilità, l’albero da una parte, una silhouette umana dall’altra, ma nel loro aspetto abnorme. È una riconoscibilità spiazzata dall’evocazione della pietrificazione degli elementi naturali e umani. Il bianco esalta le difformità del tempo imposte agli alberi. Le forme totemiche delle figure umane evocano un’altra era e/o un altro pianeta. Mentre gli alberi sembrano, congelati, puntare al cielo con i loro rami vigorosi e ridondanti, gli uomini di pietra, primitivi e robotici, dall’altezza che non supera il primo piano degli edifici, appaiono ridotti all’essenziale.
Museo Eugène Delacroix
Anche gli spazi di piccole dimensioni possono diventare luoghi privilegiati da FIAC. Quest’anno, il Museo Delacroix ospita per la prima volta, fino al 1° novembre, un artista attuale, Stéphane Tidet, con due opere. L’ultimo rifugio dell’artista romantico dell’Ottocento è diventato un riparo per la scultura installata dal giovane francese. In mezzo all’atelier, un’opera di dimensioni importanti occupa il centro della stanza. L’assemblaggio a forma di sputnik con tavole di cedro, From Walden to Space – Chapter II/ The Hut, integra uno strumento di musica elettronica che emette suoni registrati, dalla voce dei cosmonauti agli echi che sembrano provenire dallo spazio siderale. Una sorta di telescopage fra un riparo elementare, appartenente alla vita nel bosco e il programma Mercury Seven che mandò uomini nello spazio.
Giardino delle Tuileries
Dal 2006 la FIAC è associata al Domaine del Louvre e delle Tuileries, per presentare, grazie anche alle gallerie, sculture ed installazioni. Quest’anno, fino al 10 novembre, sono presenti una ventina di opere di quasi altrettanti artisti. Garden photography di Ignasi Aballi’, Not yet Titled di Joe Bradely, Y40 – autorépliquant di Berdaguer & Péjus, Attraction fatale di Gloria Friedmann, Les Géants di Jacques Julien, Kopf und Korper di Michael Sailstorger, Delta di Colin Snapp.
In mezzo al viale centrale, Eric Baudart dispone tre cumuli composti dalla sovrapposizione di sommiers, le strutture metalliche dei letti, talvolta grigie talvolta arrugginite. La composizione trasforma il materiale ingrato di Cubrikron in un groviglio molto suggestivo di forme leggere ed aere. Evoca anche leggerezza Rêve englouti di Noel Dolla che, nel grande bacino d’acqua prospicente la Place della Concorde, ha disposto, ironicamente, a triangoli, una serie di palle bianche sormontate da una piuma rossa. Sopra una scalinata, si alza una bandiera sulla quale è stampata un capigliatura, Les cheveux di Claude Closky. All’ingresso del Jeu de Paume, ci sono altre due bandiere, questa volta poggiate sul suolo e di metallo, GIVE MORE SKY TO THE FLAGS di Mircea Cantor.
A queste installazioni e sculture si aggiungono, lungo la rue de Rivoli alcune strutture architettoniche, un’altra al lato opposto. Quella, suggestiva, accogliente nella sua semplicità minimalista ed economica del designer Ron Arad, The Armadillo Tea Pavillion, richiesta dall’associazione Revolution precrafted come proposta per mettere al riparo persone in difficoltà. Accanto, la storica e notevole Ecole de Bouqueval di Jean Prouvé, edificata nel 1949 con le sue ben note strutture ad U capovolte. Destinata alla distruzione, è stata comperata dalla galleria che coglie l’occasione per presentare l’organismo originario della scuola ad eccezione di una successione di vetrate inserite da Jean Nouvel all’interno dei portici metallici per dare più luce a tutta la costruzione.
Al lato opposto, l’installazione del berlinese Thomas Klipper dal titolo esplicito A Lighthouse for Lampedusa, richiama fortemente la nostra attenzione sull’attualità drammatica. Un’impalcatura precaria e fragile costruita con pezzi di tessuto plastificato provenienti dalle imbarcazioni gonfiabili, ottenuti dall’artista malgrado difficoltà amministrative, con le quali i migranti arrivano sulle spiagge di Lampedusa, intervallati da fotografie stampate su pvc che rendono esplicito il lavoro proposto. L’intento è di dare luce ad una vera cultura umana giungendo concretamente alla creazione di un centro di scambi culturali fra le diverse popolazioni coinvolte.
Rimangono poi le grandi mostre aperte in occasione di Fiac, di cui vi abbiamo già informato: Grazie ad un notevole lavoro diplomatico, la Fondazione Vuitton accoglie fino al 20 febbraio 2017 la Collezione, riunita per la prima volta, di Serguei Ivanovitch Chtchoukine (1854-1936), grande amatore dell’arte dell’avanguardia della seconda metà dell’Ottocento e dell’inizio del XX secolo. Alla qualità eccellente delle opere presentate si associa la scoperta, entusiasmante anche per i professionisti del settore, di capolavori per lungo tempo inaccessibili al pubblico.
Ci sono poi Cattelan (“Not Afraid of Love”) all’Hotel de la Monnaie (fino all’8 gennaio) e Tino Sehgal al Palais de Tokyo (“Carte Blanche”, fino al 18 dicembre). I quattro finalisti del Prix Marcel Duchamp, Yto Barrada, Ulla von Brandelburg, Barthélémy Toguo e Kader Attia, vincitore del premio, stanno invece al Centre Pompidou fino al 20 febbraio.
Michèle Humbert