Una evidente volontà di non considerare la chiusura della Biennale come un autunno durante il quale cadono tutte le foglie, sembra animare la simultanea apertura di ben cinque mostre alla casa dei Tre Oci a Venezia. Percorsi che si intersecano fra sale e tematiche diverse, quasi un tentativo di rimescolare le carte, fra passato della immagine fotografica, e non solo fotografica, e la contemporaneità; fra ritratti, ambienti e dimensione del tempo, come avviene nelle tre mostre organizzate da un sodalizio veneziano di lunga tradizione: il circolo fotografico “La Gondola”. Merita però ripercorrere con ordine le diverse proposte espositive, anche per poter poi avere la libertà di curiosare fra i molti materiali presenti.
Il tono generale di questo appuntamento pare essere quello del piacere di guardare la fotografia, un invito al visitatore non solo a seguire le diverse fila tematiche, ma a generare un proprio itinerario, un proprio andirivieni fra autori noti e meno noti, fra situazioni e situazioni. Interrogandosi egli stesso, come fanno molti degli autori esposti, sul senso di questo straordinario strumento che ha moltiplicato esponenzialmente le modalità di rappresentare i più diversi aspetti della realtà. Lasciandoci il dubbio, come insinua Italo Zannier, se davvero sia il mondo quello che vediamo ripreso dai più diversi punti di vista, o solo quella magnifica, ‘folle’, illusione di realtà, che chiamiamo fotografia.
È proprio Zannier a scompaginare le carte sul tavolo (e sulle pareti), proponendo un itinerario, da lui definito “anche didattico”, in un alternarsi di sequenze che ricordano le collezioni di uno specializzato gabinetto di curiosità. La fotografia di documentazione (scientifica, antropologica) e i ritratti di ‘come eravamo’, grafiche d’epoca e sperimentazioni autoriali di epoche diverse, le prove di una estetizzazione del mezzo che insegue l’effetto pittorico e la durezza di certe immagini di cronaca. Un susseguirsi lungo le pareti senza soluzioni di continuità, senza cesure che dividano nettamente le serie di immagini. “Il vento folle della fotografia” è un esercizio di finezza, il divertimento di uno studioso che non perde negli anni il piacere di raccogliere, analizzare e ricombinare le immagini, allo stesso tempo veleno e antidoto di un’epoca afflitta, ancora Zannier, da “Iconismo”.
Sempre di un passato riletto oggi, e di un luogo, Capri, non meno icona di quello che fa capolino fra le vetrate dei Tre Oci – viene da pensare che l’intento di Denis Curti nel riproporre a Venezia l’esito di una collaborazione con la Fondazione Capri sia stato proprio quello di lavorare su luoghi comuni dell’immaginario collettivo, facendoli convivere/collidere – sono testimonianza le serie distinte di lavori di Olivo Barbieri e di Francesco Jodice. Intente a rileggere appunto l’isola campana, lungo le tracce lasciate da uno dei personaggi che di Capri hanno interpretato il mito in età moderna: il pittore, utopista e pacifista, Karl Wilhelm Diefenbach.
Per “Suggestioni capresi 100 anni dopo Diefenbach”, Olivo Barbieri elabora l’immagine fotografica in maniera estremamente decisa, e fra descrizione e simulazione di realtà la differenza non è più avvertibile. Forse questo è il modo più adeguato per poter rappresentare oggi luoghi letteralmente usurati dalla loro nomea: i Faraglioni, la grotta Azzurra. Riattualizzando, per così dire ‘in vitro’, grazie ad una raffinata tecnica di ripresa e riproduzione, una visione di quel che poteva essere un sentire simbolista fra Otto e Novecento.
Francesco Jodice lavora sui tempi di esposizione, su una estrema selezione degli ambienti ritratti e una rarefazione degli elementi che li descrivono (rocce, boscaglia, i celeberrimi scogli immersi in una luce e in un mare ‘mai visti’). Nella composizione a dittico di alcuni lavori di Jodice, anche in questo caso, non è comunque soltanto la ‘realtà’ dei luoghi ad essere ritratta. Piuttosto il loro abbinarsi alla imprevedibile descrizione di quei medesimi luoghi offerta da una fotografia che riprende lo sgranarsi del colore nel craquelure o che amplifica qualche particolare dei dipinti di Diefenbach. Ritrovando così, nelle pieghe della materia della pittura, il senso sublime e minerale di un paesaggio come stratificazione e sedimentazione. Brevi frasi accompagnano le immagini proposte da Jodice. Frasi ancora leggibili prima di venire inghiottite dall’inchiostro nero che viene coprendo la pagina dei libri da cui sono tratte: “Ho veduto ogni cosa, adesso, quindi, non si tratta più di cosa ho veduto, ma di come l’ho veduto”.
Si sale lungo le scale e l’intero secondo piano è dedicato alle tre mostre – “Time”, “L’immagine sospesa” e “Persone” – organizzate dal circolo La Gondola, fondato verso la fine del 1947 e alle cui attività quale hanno partecipato, fra gli altri, Berengo Gardin, Fulvio Roiter, Elio Ciol, Giuseppe Bruno. Il circolo veneziano incarna la passione per la fotografia come pratica condivisa anche da coloro che non necessariamente ne faranno poi una professione a sé stante, ma che non per questo fanno venir meno la voglia di sperimentare, e la capacità di confrontarsi con i maestri. “Persone” è la selezione di un importante lascito di fotografie, dove possiamo ritrovare intensi ritratti di Robert Rauschenberg, Italo Calvino o Milena Milani. “L’immagine sospesa” è dedicata ai lavori dei tre vincitori del Porfolio 2013, premio organizzato dal Circolo, e infine “Time” vede la partecipazione, anche in questo caso dovuta ad una selezione avvenuta all’interno del Circolo lungo l’arco di un anno, in incontri periodici, di ventotto fotografi che presentano i loro lavori intorno al tema del tempo, a volte con esiti particolarmente incisivi. Come nel caso, ma non è davvero l’unico, dello special guest di questa sessione, Joe Oppedisano.