Fragile per sempre. E altre storie

di - 5 Maggio 2012
“Fragile per sempre” è l’ossimoro che dà il titolo all’ultimo dei tre incontri espositivi dedicati al contemporaneo a Palazzo Incontro, promossi dalla Provincia di Roma in collaborazione con il CIAC di Genazzano (fino al 18 maggio).
Tre mostre, curate da Claudio Libero Pisano, che hanno posto l’attenzione su differenti tematiche del presente dell’arte, senza la pretesa di dare risposte, anzi con l’obiettivo di porre dubbi, interrogativi, sollecitare a soffermarsi sulla condizione umana e sul possibile significato dell’arte oggi a partire dal crollo del senso umano di onnipotenza fondato sulla materialità. Attorno ai tre focus sono stati individuati di volta in volta autori che per diverse strade sono arrivati ad incrociare i temi trattati.
“Fragile per sempre” è un percorso strutturato attorno ad una riflessione sulla natura materiale e simbolica della ceramica e del vetro. La materia connota di sé tutto ciò che compone, a livello fisico e di significato, e l’arte ne fa da sempre una nota costante del proprio linguaggio. In altre parole, i materiali hanno una loro propria specificità che incide anche l’arte e che giustifica una mostra che gira attorno a questi elementi.
Ceramica e vetro, materiali fragili, eppure potenzialmente imperituri. Una condizione duplice di debolezza e di forza. Esistere e resistere, continuare a lungo, dove però un segno contrario basta a rompere l’incantesimo. Vita e non vita giocati su un filo sottile, affidato a leggi imperscrutabili, uno stato che rimanda con naturalezza alla condizione degli uomini. Luci accese sulla peculiare fragilità della materia per dimostrare che riconoscere di essere fragili in un mondo a sua volta frangibile, forse permette di ripristinare un equilibrio perduto. In mostra otto artisti: Simone Bertugno, Gianni Dessì, Jacopo Mazzonelli, Laura Palmieri, Antonio Rovaldi, Donatella Spaziani, Ivana Spinelli, Antonello Viola. Per ognuno, il materiale impiegato non è unicamente un mezzo per realizzare il lavoro, ma parte attiva del significato dell’opera.
Ma tutto era iniziato lo scorso anno, tra il 9 novembre e il 10 dicembre con “Non è facile”, invito a superare il primo livello di empatia visiva di taluni episodi dell’arte per immergersi in interrogativi che stanno sopiti appena sotto la pelle della realtà. Lavori inediti di Kiki Smith, Nancy Spero, Alberto di Fabio, Simone Cametti e Caterina Silva, molto gratificanti a livello retinico per colori e forme, hanno fatto da palestra al saper guardare, sopra e oltre la superficie delle opere e delle cose.
Dal 15 marzo al 16 aprile è stata poi la volta di “Paesaggi Complicati”. E di nuovo, a ribadire un segno comune ai tre appuntamenti, l’esposizione pare essersi generata a partire da una riflessione attorno al titolo del progetto. Paesaggi complicati sono gli spazi del vissuto che l’uomo riempie di sé,  piattaforme proiettive dei propri stati interiori che finiscono per diventare luoghi percepiti, che esistono per come sono sentiti e pensati. Ad agire è un flusso continuo e reciproco tra il dentro della mente e il fuori della natura, quella vera, che continua imperscrutabile ad esistere con la sua logica extra-umana e che a sua volta lancia segnali, incide, si muove.
“Paesaggi Complicati” è stato il tentativo di indagare questo dialogo conflittuale e irrisolto tra uomo e ambiente, interiore e fisico, ascoltando la voce di tre artisti molto distanti tra loro: Gioacchino Pontrelli, Guy Tillim, Guido Van Der Werve e altrettanti modi di sentire il tema ed interpretarlo con i differenti linguaggi di video, pittura e fotografia.
Ha aperto e chiuso l’allestimento Guido Van Der Werve, olandese, con due video che raccontano l’utopia umana di dominare la natura, dove questa e l’uomo paiono sfidarsi in un gioco di prove di forza estreme che coinvolgono e ipnotizzano lo spettatore, attore a sua volta degli esperimenti in atto. L’esito di questa sfida è suggerito ma non palesato, il compimento è così lasciato a chi guarda. Gioacchino Pontrelli è intervenuto con segni acrilici colorati su fotografie realizzate in spazi esterni, costruiti e naturali. Proiettando astrazioni interiori sui luoghi riconoscibili della realtà condivisa, li incide con il proprio stato. Uno scambio in entrata e uscita, lo stesso palesato nella grande tela esposta in mostra a fianco del lavoro fotografico.
Infine, Guy Tillim, sudafricano, ha presentato l’estratto di un intenso lavoro fotografico, esposto per la prima volta alla Fondazione Cartier-Bresson di Parigi. Una serie di scatti in contesti urbani di diversi stati sudafricani tra il 2007 e il 2008, con una tecnica molto raffinata del tutto a fuoco che crudelmente non risparmia nessun dettaglio del campo di ripresa. Più di un reportage sui contesti post-coloniali del Sud Africa, il lavoro è la testimonianza di un viaggio dell’anima dentro paesaggi cittadini desolati, dove la presenza assente dell’uomo fa da eco al senso di smarrimento e all’attesa di un tempo sospeso.
Al termine del ciclo, i cataloghi di ciascuna delle tre mostre saranno raccolti in un unico cofanetto a cura di Livello4 Editrice.

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