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Francesco Arcangeli, appunti per un museo reale: 60 opere al MAMbo di Bologna
Progetti e iniziative
Allestita come in una preziosa quadreria tra gli ampi spazi della Project Room del MAMbo di Bologna, la serie armoniosamente scandita in ordine crescente di circa 60 opere scelte da Francesco Arcangeli, dagli incarichi di consulenza da parte del Comune di Bologna tra il 1949 e il 1958, alla direzione della Galleria d’Arte Moderna tra agosto 1958 e il gennaio 1968. Opere raramente esposte, di cui apprezzare anche il consistente recupero conservativo, che riescono a far cogliere in un solo sguardo il disegno museologico di Arcangeli, congiuntamente al suo fondamentale e innovativo orientamento storico-critico.
L’esposizione chiude la programmazione del progetto Tramando, Francesco Arcangeli tra la Pinacoteca e la Galleria d’Arte Moderna di Bologna, comprensiva di un ciclo di conferenze tenutesi in collaborazione con la Pinacoteca Nazionale di Bologna, in occasione del cinquantesimo anniversario della morte di Arcangeli. Curata da Uliana Zanetti con il contributo di Lorenza Selleri, la mostra ha inaugurato il 31 ottobre 2024 e sarà fruibile fino al 6 gennaio 2025.
In particolare, si nota una certa attenzione alla scansione cronologica delle opere, illustrativa di quel concetto di “tramando” che vede congiunti il primordio e la modernità, secondo affinità inconsce tra condizioni di vita diverse nel tempo e nella storia, ma accomunate dall’urgenza irripetibile di un loro sentire interno e vitale. Il trauma della Seconda Guerra Mondiale segna un punto di non ritorno da cui nasce una vibrazione più profonda nel rapporto con le cose, accantonato il sogno del ritorno al paradiso perduto di una classicità percepita innegabilmente come inattuale. Ponendo la base critica nell’Ottocento, e diversamente da Roberto Longhi, Arcangeli vede piuttosto nel Romanticismo affinità sostanziali col sentire proprio dell’arte Informale, di cui propone una estesa introduzione nelle lezioni tenute a partire dal 1967 presso la cattedra di Storia dell’arte che era stata del suo maestro.
Un’esposizione che ha quindi come fulcro l’attività critica di uno storico dell’arte, ricerca che non ha potuto prescindere da un’attenta analisi degli archivi. A dispetto della scarsità di risorse disponibili, Arcangeli riuscì ugualmente nell’intento di trasformare un’istituzione provinciale in museo di “dignità almeno nazionale”. Le acquisizioni guardavano a fenomeni di tendenza come l’Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, la Quadriennale di Roma, gallerie di privati e artisti di cui godeva anche una conoscenza approfondita e diretta. Esemplare il caso pur controverso di Giorgio Morandi, di cui viene ora esposto il gruppo di otto opere su carta, tra disegni e acqueforti, costituenti il primo nucleo della collezione del Museo Morandi.
Si parte così con un paesaggio romantico di anonimo francese che il critico sperava di poter attribuire a Géricault, quindi Giovanni Dupré e Luigi Bertelli, il post impressionismo di Carlo Corsi, una matita su carta di Gustav Klimt e la veduta urbana newyorkese di Athos Casarini. Seguono le atmosfere rarefatte di Virgilio Guidi, Vasco Bendini e Sergio Romiti. Il nucleo centrale è dedicato “all’ultimo naturalismo” dell’Informale, con Alberto Burri, Antoni Tàpies, Rafael Canogar, Emilio Scanavino, e la frangia “padana” di Pompilio Mandelli, Mattia Moreni, Ennio Morlotti, Ilario Rossi, Sergio Vacchi. Quindi i maestri degli anni Sessanta, ormai conclusasi formalmente l’esperienza Informale, Graham Sutherland, il monumentale Comizio di Renato Guttuso, un grigio olio su tela di Roberto Sebastian Matta. Sempre nel contesto di quegli anni le opere di Pier Achille Cuniberti, Franco Francese, Piero Giunni, Mario Nanni, Concetto Pozzati e Maurizio Bottarelli, mentre testimoniano i nuovi corsi artistici i lavori di Getulio Alviani, Enrico Castellani, Gianni Colombo e Lucio Saffaro.
Insieme davvero ricco e variegato che sintetizza l’originale concezione della “modernità” maturata da Arcangeli tra gli anni Cinquanta e i Sessanta, dove nel cortocircuito del rapporto tra uomo e natura si delinea un vero e proprio “senso del due”. Artista e critico sono allacciati a qualche cosa di vago, una «Polarità fra quello che si vede direttamente e quello che si può intuire attraverso ciò che si vede direttamente»: solo il concetto e l’anelito dell’idea.