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27
ottobre 2014
Franco Fontana Total Color
Progetti e iniziative
Come si possono definire i paesaggi che il fotografo emiliano ci propone dagli anni Sessanta in poi? Finti, impossibili? E invece sono veri. Iperveri. Sembrano surreali per quell’inconfondibile ricerca sul colore che Fontana ha realizzato e che l’ha reso famoso. Colori saturi, abbaglianti, carichi di una definitezza quasi geometrica. Ora questi scatti sono in mostra a Roma. E, come sempre, protagonista è il paesaggio. E il colore
“Fiumi azzurri e colline e praterie/ dove corrono dolcissime le mie malinconie/ l’universo trova spazio dentro me…”. Strofe prese in prestito da Lucio Battisti che ci trasportano nei paesaggi di Franco Fontana (Modena 1933). Un viaggio metaforico come lo sono quei paesaggi mentali che il fotografo modenese realizza dagli anni Sessanta. Le nuvole sospese nel cielo azzurro, l’albero accarezzato dal vento nel nulla della campagna, colline ondulate, orizzonti marini che si perdono nell’eternità.
Azzurri, marroni, verdi, gialli… incroci, innesti che vibrano di colore al ritmo della natura. Per la retrospettiva “Franco Fontana Full Color” (fino all’11 gennaio 2015) promossa dalla Regione Lazio nell’ambito del Progetto ABC Arte Bellezza Cultura e organizzata da Civita a Palazzo Incontro di Roma con la curatela di Denis Curti (tappa successiva a quella veneziana alla Casa dei Tre Oci) si parte proprio da quei notissimi paesaggi.
Tanti sono gli aggettivi che nel tempo hanno accompagnato queste ormai celebri fotografie, come “impossibili”, “surreali”, “iperreali”, “lirici”… ma, forse quello più appropriato è “autentici”.
Fontana che muove i suoi primi passi da fotografo nei club amatoriali della sua città, che ha dato i natali ad altri grandi autori coetanei (tra cui Luigi Ghirri, Franco Vaccari, Claudio Parmeggiani e Franco Guerzoni), è da subito attratto dalla sfida del colore.
Con la macchina fotografica al collo gira l’Italia, collezionando con il suo sguardo momenti in cui isola il particolare di un paesaggio che diventa l’unica voce narrante. Ecco La Basilicata, la Puglia, l’Emilia. Poi il grande salto, fuori dell’Italia ed ecco il New Mexico, Ibiza, il Marocco. Ma poi nuovamente l’Emilia, la Basilicata, la Puglia, luoghi dove torna nel tempo, continuando la sua riflessione interiore che rivela un approccio diretto, senza troppe elucubrazioni mentali.
«C’è nel suo procedere un’umanizzazione del paesaggio, una trasformazione che avviene con il colore, vero soggetto di Fontana», scrive Denis Curti nel testo critico del catalogo che accompagna la mostra (Marsilio, 2013). «È nella scelta dell’accostamento cromatico che Fontana dà significato alla sua fotografia e la vitalizza. Si avventura in un percorso creativo che rompe le regole, facendo emergere lati spesso ignorati di una realtà le cui soluzioni interpretative sono sempre variopinte, come le diverse situazioni e stati d’animo della vita. L’armonia della forma di un oggetto o di un paesaggio, allo stesso modo di Giorgio Morandi, è frutto di una meditazione che esplode nella definizione di una mappatura tonale che non rappresenta l’oggetto in sé, ma contiene e visualizza una narrazione che è la risultanza della sua esperienza e sguardo sul mondo. Spessissimo le persone sono assenti dall’inquadratura, estranee: si tratta di città abitate, ma deserte».
Percorrendo le varie sezioni della mostra – dagli asfalti ai nudi femminili in piscina, passando per i paesaggi urbani e le suggestioni a stelle e strisce – è evidente quanto la costruzione di Fontana proceda per associazioni, svelando ciò che è intuibile.
Anche negli asfalti, come nel modo di trattare lo spazio architettonico, e perfino nei corpi femminili – in tutta la loro carnalità – i segni diventano spesso pattern. In Luci americane le persone hanno la rigidità dei manichini, mentre l’ombra (nella sezione “presenza assenza”) diventa anch’essa un momento della composizione.
Insomma – per usare le parole di Susan Sontag – anche per Franco Fontana: «Una fotografia è insieme una pseudo presenza e l’indicazione di un’assenza».