Frida, Diego e gli altri

di - 3 Marzo 2017
Se si dovesse riassumere la figura di Frida Kahlo in poche parole, queste sarebbero: “Viva la vida”. È questo il mantra, l’insegnamento che si trae dopo essere entrati in contatto con una figura imprescindibile della storia dell’arte del XX secolo.
La mostra ospitata a Palazzo Albergati fino al 26 marzo non racconta solo di lei, tuttavia è inevitabile non catalizzare la propria attenzione su questa donna, alla quale è dedicato l’intero primo piano. Bologna accoglie la Collezione Gelman, importante raccolta di opere di arte messicana, all’interno della quale spiccano nomi come Siqueiros, Zàrraga, Isquierdo, Tamayo e, ovviamente, opere di una delle coppie più turbolente del secolo scorso, Diego Rivera e Frida Kahlo.
Al piano terra, prima di immergersi nel clima della Rivoluzione Messicana, vengono presentate le mani operanti che hanno messo in piedi questa grande collezione: i Gelman. Jacques Gelman si arricchì attraverso la produzione di film comici interpretati da Mario Moreno. Stabilitosi in Messico a causa dello scoppio del secondo conflitto mondiale, conobbe qui Natasha Zahalkaha, una donna bellissima, ritratta da Rivera in posa seducente tra gigantesche calle bianche, fiore che ritorna nelle sue opere, la cui forma e colore richiamano quella del suo elegante vestito.
Anche Frida ritrae la coniuge Gelman: dipinge un primo piano di modeste dimensioni, la donna è seria e con lo sguardo concentrato. Confrontando rapidamente le due opere si possono evincere già due personalità che si attrarranno e respingeranno per una vita intera, senza riuscire mai a dividersi come due magneti: sono i coniugi Rivera, lei libera, indipendente è perdutamente innamorata del suo Diego, lui la ammira ma ama anche tante altre donne e la farà soffrire molto.
Diego Rivera, vero e proprio bambino prodigio di Città del Messico e attivista politico, sarà definito da Frida uno dei due più gravi incidenti della propria vita; il primo fu uno scontro in tram che le provocò un numero altissimo di ossa rotte, incidente che le impedirà per sempre di diventare madre. La mostra intreccia in maniera chiara ed avvincente le vicende biografiche di questi due artisti, non tralasciando le loro vicende sentimentali. Rivera prova una fortissima ammirazione per la sua giovane sposa, che ritrae numerose volte in quadri e murales, Frida, pur essendo un simbolo di femminilità forte ed esuberante, quando si tratta di Diego segue solamente il cuore. La curatela alterna sapientemente la disposizione di fotografie e di opere rendendo la storia raccontata molto più vicina e reale, soprattutto per quanto riguarda i soggetti ritratti da Frida: onirici o marcatamente tradizionali. Diego Rivera è vicino al popolo e ai suoi strati umili, al lavoro della terra, come dimostra il grande olio Venditrici di calle.
Il marito di Frida è un bambino indifeso tra le sue braccia e la madre Terra suggella la loro unione in un abbraccio universale, questa immagine dai tratti fortemente surrealisti è L’abbraccio amorevole dell’universo, la terra, (il Messico), Diego, io e il signor Xolotl del 1949, una delle opere che permette di comprendere al meglio il tipo di sentimento che unisce Kahlo a Rivera.
Per buona parte della sua vita Frida è solamente la signora Rivera, che osserva il marito che miete successi, soprattutto in America con importanti commissioni, ma grazie ad Andrè Breton nel 1939 è lei che espone le sue opere a Parigi, in virtù della vena surrealista che ha concepito lontano dall’Europa la sua carriera conosce una svolta.
Nonostante i numerosi viaggi è il Messico con i suoi colori e gli ambienti caldi che esce con una carica a tratti violenta dalle sue tele, dai suoi autoritratti, è qui in esposizione il celebre Autoritratto con scimmie. Frida si circonda di un alto numero di animali, dalle scimmie alle galline, è una delle caratteristiche che la rende più simile ad una apparizione mistica che ad una donna in carne ed ossa, complice anche il suo abbigliamento di costumi tradizionali. Gli abiti ampi e sgargianti dalle gonne vaporose non costruiscono solamente l’immagine che renderà immortale la Kahlo, ma nascondono i segni sulle gambe e il busto che è costretta a portare da quando lo scontro con il tram cambiò per sempre la sua vita, dietro i colori luminosi e vivaci si cela in verità una ferita insanabile.
La carica passionale, spesso erotica della Kahlo, emerge nelle fotografie a colori di Nickolas Muray, americano di origini ungheresi che rimarrà a lei sentimentalmente legato per quasi trent’anni, immagini iconiche e ormai assai famose che hanno contribuito a radicare nella memoria visiva del pubblico i folti capelli neri acconciati con fiori, i pendagli da azteca, l’abbigliamento tradizionale. Al mito iconico è dedicata una delle ultime stanze che ricrea la camera dell’artista, con il celebre specchio montato sulla copertura del letto a baldacchino per potersi ritrarre durante la costrizione nello stesso causata dall’incidente e successivamente un ambiente che la omaggia con creazioni di celebri case di moda quali Valentino e Galliano.
Termina la mostra Autoritratto come Tehuana o Diego nei miei pensieri o Pensando a Diego (1943), un olio su fibra dura che domina la stanza. Frida si ritrae con uno dei costumi tipici che più piacevano al marito, proveniente da Tehuantepec, città dove regna ancora oggi una società di tipo matriarcale, sono le donne a dirigere i mercati. Accanto alla femminilità forte,  ecco che non può mancare il perno della vita dell’artista: Diego è ritratto sulla sua fronte, Frida pensa a Diego, ogni filamento del suo essere è teso a raggiungerlo e lo spettatore è guidato al centro del dipinto dai capelli e dai fili del costume tesi in diagonale.
Palazzo Albergati restituisce uno spaccato di storia messicana del XX secolo, ma soprattutto ripercorre una delle storie artistiche maggiormente piene di amore e sofferenza allo stesso tempo, dimostrando che le difficoltà della vita non scalfiscono l’ispirazione.
Chiara Tonelli

È laureata in Italianistica e Scienze Linguistiche all'Università di Bologna. Cofondatrice del magazine online Comò Mag. Attualmente lavora alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia.

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