Fumetti contro il pregiudizio

di - 17 Aprile 2018
Ad Reinhardt, insegnante di arte e religioni orientali e giornalista, nonché uno dei maggiori artisti americani del Novecento, arriva a Modena non con la sua pittura, le tele monocrome che lo hanno reso celebre in tutto il mondo alla pari di Mark Rothko e Barnett Newman, ma con un aspetto inedito della sua produzione artistica e divulgativa: i fumetti.
Alla Galleria Civica Reinhardt, con le sue vignette, è protagonista della mostra che inaugura ufficialmente le attività della Fondazione Modena Arti Visive, con un percorso per immagini coinvolgente e divertente, ispirante e ispirato, che coniuga la tradizione fumettistica della città con l’aspetto pedagogico e didattico che sta a cuore alla direttrice Diana Baldon, curatrice della mostra.
A Palazzo Santa Margherita, sede principale della Civica, sono esposte le pagine, le bozze e ingrandimenti della serie How To Look, strisce e vignette pubblicate fra il 1946 e il 1947 sul quotidiano americano PM. Qui è protagonista indiscussa l’arte contemporanea, che viene spiegata, raccontata, a volte giocosamente presa in giro, con ironici diagrammi che definiscono gli artisti, i movimenti e le avanguardie, ma anche come diventare dei grandi come Picasso. Prende ispirazione dai suoi contemporanei, ruba idee ai predecessori, con una particolare predilezione per le incisioni di Düher, crea collage di schizzi a mano libera, ritagli di giornali e libri, scrive testi, e dà vita a una serie di vignette anche sul mercato dell’arte che si fanno via via più pungenti.
Ad Reinhardt, Arte Satira, vista della mostra, foto di Dario Lasagni
È differente ma complementare il percorso espositivo alla Palazzina dei Giardini, dove un enorme mandala centrale accoglie il visitatore. È un grande giardino, l’immaginario punto d’arrivo della didattica dell’arte secondo Ad Reinhardt. È qui che si intrecciano tutti gli aspetti più o meno nobili del mondo delle arti, che inevitabilmente deve intrecciarsi con la politica, l’economia, ma anche la natura e, soprattutto, l’educazione. Ed è qui che l’artista dimostra l’impossibilità di essere eremita: si deve appartenere, e si appartiene a un sistema.
Il percorso qui continua con i fumetti di satira socio-politica, pubblicate, negli anni, sul quotidiano PM, per cui produceva ogni giorno centinaia di immagini che sostituivano le foto, ma anche su Glamour e libri per bambini. Esplicitamente uomo di sinistra, antimilitarista, sostenitore delle pari opportunità e del ruolo di cittadino che hanno le donne, pubblicava le sue illustrazioni anche sul giornale del Partito Comunista americano e per questo venne posto sotto sorveglianza da parte dell’FBI. Nelle bozze delle vignette, mescola stili artistici come il cubismo e l’espressionismo in buffi collage di scritte, schizzi e immagini incollate, oltre agli appunti per il tipografo che le avrebbe impaginate sul giornale. Il suo impegno politico si ritrova anche nelle illustrazioni presenti nel volumetto The races of mankind, creato dal governo americano durante la Seconda Guerra Mondiale per sensibilizzare su ciò che era il nazismo e il fascismo e preparare mentalmente i soldati su cosa avrebbe significato trovarsi in Europa fra il 1942 e il 1945.
Ad Reinhardt, Arte Satira, vista della mostra, foto di Dario Lasagni
La mostra si conclude con le fotografie di Reinhardt in quello che, ancora una volta, è un lavoro sull’arte, più che d’arte. Durante tutta la sua vita ha viaggiato moltissimo e negli anni ha raccolto circa 12mila diapositive di luoghi, monumenti, dettagli apparentemente insignificanti che gli sarebbero state utili durante le sue lezioni. Quando negli anni ‘50, esplodono i generi della performance e dell’happening, decide di organizzare l’antihappening, insegnando ciò che voleva. Quella proiettata a Modena è l’unica sequenza rimasta, focalizzata sulle contrapposizioni e le somiglianze che possiamo trovare ovunque intorno a noi.
Spiegare l’arte a chi non la conosce, suscitare interesse e spingere ad approfondire prendendosi tutto il tempo necessario: è questo il suo fine ultimo, così semplice, quasi banale, sia nel linguaggio sia nel suo tentativo di operare, ed è proprio questa la sua forza. E la sua indiscutibile attualità.
Ilaria Sita

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