Gemme americane di un inedito Impressionismo

di - 8 Novembre 2013

«Sono pittori che amano il loro tempo […] Cercano prima di tutto di penetrare il senso esatto delle cose. Le loro opere sono vive perché le hanno prese nella vita e le hanno dipinte con tutto l’amore che provano per i soggetti moderni».
In questo modo Émile Zola riassume l’essenza del più celebre e noto movimento storico artistico, padre di tutte le avanguardie del Novecento. I pittori moderni, come si suole definire gli Impressionisti, sono tali proprio perchè fautori di un nuovo linguaggio pittorico, narrante la vita quotidiana della seconda metà del XIX secolo, con la sua storia, i suoi eventi, le sue caratteristiche, le sue realtà. Macchie, virgole, pennellate vaporose e veloci, immagini spesso poco definite, colori vivaci, brillanti e puri rappresentano l’innovativo gergo con cui essi si esprimono.
Frutto di un coinvolgente gemellaggio tra Roma e Washington, la novità di questa mostra risiede nel suo dispiegarsi sulle collezioni dei grandi mecenati statunitensi, in particolare della famiglia Mellon, fondatrice della National Gallery of Art di Washington. Esponente del capitalismo statunitense, Andrew Mellon fu anche un grande mecenate d’arte la cui fervente passione portò, tra il 1937 e il 1941, alla fondazione, su avallo del Presidente Franklin D. Roosevelt, della National Gallery, destinata alla valorizzazione del grande patrimonio artistico americano e progressivamente incrementata con i lasciti di altri collezionisti e benefattori della nazione. Questa struttura venne ulteriormente allargata tra il 1971 e il 1978 per favorire la collocazione del lascito dei figli di Andrew Mellon, Paul e Alisa Mellon, perpetuatori dell’attività collezionistica del padre e finanziatori dell’acquisizione di molti capolavori della National Gallery, facendo di quest’ultima uno dei musei più importanti al mondo.

Risultato di un rapporto diretto con la National Gallery di Washington, l’esposizione  “Gemme dell’Impressionismo. Dipinti della National Gallery of Art di Washington. Da Monet a Renoir, da Van Gogh a Bonnard” (fino al 23 febbraio) riflette, attraverso un’atmosfera intima e raccolta ricreata all’interno di uno dei più importanti spazi civici espositivi della Capitale: l’Ara Pacis Augustae, il gusto di coloro che hanno generosamente voluto devolvere le proprie collezioni alla pubblica fruizione e valorizzazione. Un Impressionismo inedito, meno noto, che coglie atteggiamenti familiari, scene d’interni, momenti di vita quotidiana rubati dal pennello dell’artista, come dimostra la tela Madame Monet e suo figlio di Auguste Renoir. All’origine dell’operazione c’è il “Dream of Rome”, progetto di interscambio culturale tra l’Italia e gli Stati Uniti, che ha reso possibile, per la prima volta, l’uscita di 68 capolavori Impressionisti e Post–Impressionisti dalle sale della National Gallery di Washington, decretando l’Ara Pacis di Roma unica sede europea di questa storica esposizione.
La mostra elabora lo sviluppo e l’evoluzione della corrente Impressionista, dalle trasformazioni della tradizione artistica del XIX secolo fino alla dimostrazione dell’enorme influenza operata dal movimento sulle prime avanguardie del XX secolo, attraverso un percorso tematico articolato in cinque sezioni: la pittura “En Plain Air”, Ritratti e Autoritratti, Donne – Amiche e Modelle, la Natura Morta, Vuillard e Bonnard, l’Eredità dell’Impressionismo.

Punta di diamante dell’esposizione è l’accento posto su Eugène Boudin, precursore del movimento e maestro di Claude Monet, a cui si deve il merito di aver osato svelare pittoricamente la vita mondana della borghesia francese dell’Ottocento. Attraverso composizioni eseguite “en plain air”, ovvero all’aperto e a contatto con luce, ambienti e soggetti reali, Boudin è riuscito a trasferire su tela le sensazioni percepite al momento dell’esecuzione, regalandole allo spettatore e consentendogli di assaporare uno spaccato di vita della “Belle Époque”. Nel XIX secolo il ruolo sociale dell’artista cambia: egli non pone più le sue capacità al servizio dei committenti bensì, attraverso l’arte del pennello, racconta la storia del suo tempo. Ritratti e autoritratti non rappresentano per gli Impressionisti un motivo di celebrazione del personaggio, bensì ne colgono le sfumature caratteriali e psicologiche, come si può ammirare nel celebre Autoritratto dedicato a Carrière di Paul Gaguin.
Uno dei temi privilegiati dagli Impressionisti è senza dubbio quello dell’universo femminile e del ruolo sociale della donna. Non più personaggi mitologici o eroine leggendarie, bensì pittrici, lavandaie, prostitute, sarte, modelle, ballerine, impegnate in attività quotidiane. Cavallo di battaglia è Berthe Morisot, presenza femminile centrale nel gruppo Impressionista e interprete della attitudini delle donne nella vita moderna.

Altrettanto interessante è la sezione riservata al genere della Natura Morta, un soggetto tipicamente classico ma che gli Impressionisti hanno sapientemente reinterpretato in chiave moderna, attraverso la giustapposizione di macchie di colore puro che, compenetrandosi in un solo colpo d’occhio, ricreano la forma degli oggetti, come dimostra l’opera Natura Morta con Ostriche di Édouard Manet.
L’ultima sezione illustra il preziosissimo apporto che la corrente Impressionista ha operato sulla concezione artistica che le ha fatto seguito, esemplificata da artisti del calibro di Van Gogh, Toulouse-Lautrec, Seurat e, in particolare, dalla coppia Pierre BonnardÉdouard Vuillard. Fondatori del gruppo dei “Nabis”, Bonnard e Vuillard sono stati fautori di un superamento della pittura retinica dell’Impressionismo a vantaggio di un’arte filtrata dal ricordo e dall’immaginazione, caratterizzata da larghe macchie di colori squillanti e vivaci. Con una carrellata di nomi altisonanti e significativi, questa mostra, unica e innovativa per l’accento posto sul mecenatismo americano e l’attenzione da esso riservata al mercato europeo, ripercorre  esaustivamente i temi e i tratti salienti della corrente Impressionista, alfabeto base per la comprensione della contemporaneità, a cui si deve la cesura con la tradizione e l’inizio dell’avanguardia.

Nata a Roma nel 1989 studia Storia dell'Arte presso l’Università degli Studi di Roma La Sapienza, oltre ad approfondire le dinamiche e il funzionamento del mercato artistico contemporaneo. Ha svolto tirocini presso la casa d'aste Dorotheum in materia di ricerca bibliografica e recupero di materiale per l'attribuzione di opere d'arte, lavorando contestualmente all'accoglienza del MAXXI - Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo. Dal 2013 scrive per Exibart, a cui seguono altre collaborazioni con riviste di settore.

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