Giappone mon amour

di - 19 Novembre 2013
Il Giappone e Parigi: un legame fortissimo che sconfina nella moda (japonisme), lanciata dai fratelli de Goncourt nella seconda metà del XIX secolo e consacrata dall’Esposizione Universale di Parigi del 1900. In quell’occasione fu costruito anche il Grand Palais che da tre anni ospita Paris Photo, la più importante fiera internazionale di fotografia. Diretta da Julien Frydman anche la 17° edizione, che si è appena conclusa (14-18 novembre): annoverava tra le presenze storiche tre importanti gallerie di Tokyo (Taka Ishii, MEM e Taro Nasu), a cui si aggiunge la The Third Gallery Aya di Osaka.
Ancora più nutrita la presenza delle case editrici, tra l’altro ben due titoli della AKAAKA di Tokyo – Rasen Kaigan di Lieko Shuga e Surrendered Myself to the Chair of Life di Jin Ohashi – sono stati selezionati tra i dieci del PhotoBook of the Year del Paris Photo-Aperure Foundation Photobook Awards, vinto poi dall’artista brasiliana Rosângela Rennó.
Di un autore cult come Daido Moriyama molti libri sono stati prodotti anche da case editrici internazionali, come la newyorkese Aperture Foundation e la messicana RM, entrambe presenti a Parigi. Alla poetica di questo straordinario interprete della street photography si ricollega anche il lavoro di due fotografi che appartengono a generazioni diverse, Miyako Ishiuchi e Jun Abe, a cui la The Third Gallery Aya dedica il progetto speciale “Two Aspects”. Un Giappone spontaneo, “dark” e pieno di contraddizioni, quello che ritroviamo negli scatti in bianco e nero di Abe, che non ha mai smesso di fotografare la sua città Osaka, dalla fine degli anni ’70. È l’imprevedibilità di un gesto, di un movimento che ritroviamo anche nel suo lavoro sulla danza butoh: dal 1994 è il fotografo ufficiale della compagnia Byakko-sha che ha seguito nelle varie tournée mondiali, da Bali a Berlino passando per Gerusalemme.
Di Miyako Ishiuchi oltre ad alcuni vintage delle sue prime serie fotografiche – Yokosuka Story (1976-77), Apartment (1977-78) e Endless Night (1978-79), scatti veloci e sgranati “alla Moriyama” – è esposta una parte del suo nuovo lavoro realizzato nel febbraio 2012 su invito del Museo Frida Kahlo di Città del Messico. Ishiuchi fotografa a colori gli anelli, il busto, gli abiti folk ed altri oggetti appartenuti alla pittrice messicana, come precedentemente aveva fatto in Hiroshima: strings of time (2008) con gli indumenti e gli oggetti del Museo della Pace di Hiroshima. «Un tipo di memoria diversa. Lì gli oggetti sono appartenuti a persone anonime, nella Casa Azul invece ho fotografato quelli di un’artista famosa che chiunque conosce», afferma la fotografa.
Incentrato sulla memoria, ma come implicito atto d’accusa, è l’ultimo libro di Tomoki Imai Semicirle Law (2013), presentato nel bookshop di Match and Company. Il fotografo di Hiroshima inizia a scattare il 21 aprile 2011, immortalando il paesaggio che circonda l’impianto nucleare di Fukushima entro un raggio di 30 chilometri, un’area off limits che il governo giapponese ha dichiarato “zona da evacuare” a causa delle radiazioni. Il libro si ferma alla fine del 2012, ma lui continua a fotografare la natura che sembra incontaminata e che, malgrado l’apparenza, è piena di radiazioni.
Alla natura è dedicato anche il progetto di un altro giovane fotografo Yu Yamauchi: il suo libro Dawn (2012) è stato presentato allo stand di AKAAKA. Un viaggio esistenziale quello di Yamauchi che trascorre oltre seicento giorni sulla vetta del Monte Fuji, celebre icona giapponese. Il paesaggio sempre diverso fotografato con la pellicola (prevalentemente a colori) diventa anche l’occasione per riconciliarsi con se stesso e con il mondo.
Un’inquietudine sottile attraversa, invece, la bellissima fotografia di Rinko Kawauchi della serie Ametsuchi (2012) presentata per la prima volta in Europa dalla galleria Priska Pasquer di Colonia (pubblicata nell’omonimo libro dell’Aperture Foundation) dove si perde il confine tra l’esperienza reale e quella onirica.
L’uso magistrale della luce con un approccio morfologico attraversa tutto il lavoro di Keiichi Tahara, che dal 1972 ha vissuto per trent’anni in Francia, tra gli autori presentati nello stand della galleria Taka Ishii, in buona compagnia con i grandi nomi della fotografia giapponese della seconda metà del Novecento. È emozionante poter osservare fotografie che fanno parte delle più importanti collezioni museali del mondo. Non capita spesso, infatti, di trovarsi di fronte ai vintage della serie Embrace (1969) di Eikoh Hosoe, autore anche dei celeberrimi scatti di Mishima considerati il testamento spirituale del grande scrittore. Il bianco e nero esalta la dimensione metaforica delle inquadrature: un inno alla sessualità. Immagini che contengono l’irruenza di un giovane che viveva in pieno la sua epoca (gli anni Sessanta) periodo storico, anche in Giappone, di contestazione al conformismo. Il dialogo è serrato con le immagini riconoscibili firmate da Nobuyoshi Araki, quanto a Shomei Tomatsu (scomparso nel 2012) le sue serie Gum and Chocolate, Yokosuka (1959) e Pencil of the Sun (1973) introducono ad una visione assolutamente innovativa in cui le emozioni sono urlate. Non è casuale che il suo libro Okinawa, Okinawa, Okinawa (1969), faccia parte anche della mostra The Protest Photobook 1956-2013, curata da Martin Parr nell’ambito di Paris Photo: tra i libri della collezione del fotografo inglese figurano anche altri titoli giapponesi, tra cui Teikoh/Resistance (1965) e Sanrizuka 1969-71 (1971) di Kazuo Kitai.
In altri spazi della fiera troviamo anche Hiroshi Sugimoto (di cui è in corso la mostra Accelerated Buddha alla Fondation Pierre Bergé – Yves Saint Laurent fino al 26 gennaio 2014) con due opere degli anni Settanta della serie Theaters dedicata ai cinema storici (Simi Valley Drive-in e V.A. Little Neck, New York) nello stand della Danziger gallery di New York. È recentissimo, tra l’altro, l’annuncio che il fotografo giapponese che vive tra Tokyo e New York ha fatto a Firenze, in occasione della manifestazione Schermo dell’Arte Film Festival, di voler riprendere il progetto Theaters, proprio grazie al fascino del cinema Odeon.
Da East Wing di Doha e Dubai è esposto Kazan (che dà il titolo anche alla sua prima pubblicazione editoriale) della giovane fotografa di Kyoto Mayumi Hosokura: un delicato dialogo sul rapporto uomo/natura. Appartiene alla stessa generazione di Hosokura, Tomoko Sawada di cui la galleria MEM di Tokyo presenta sia le prime fotografie in bianco e nero, una serie di autoritratti (Early Days 31) e un’intera parete dedicata alla mostarda gialla della Heinz, ditta americana che ha reso celebre nel mondo la città di Pittsburgh quanto l’aver dato i natali a Andy Warhol (nonché sede dell’Andy Warhol Museum). Il lavoro di Sawada è stato realizzato proprio durante una residenza presso il museo dedicato al padre della Pop Art: 56 foto di Sign/Yellow Mustard che propongono altrettante scritte in lingue diverse: la fotografia come strumento per esplorare il confine tra la realtà e la sua rappresentazione. L’omaggio a Andy Warhol è dichiarato, quanto è implicito – nello stesso stand – il riferimento ad un altro grande artista del secolo scorso, Man Ray, nelle bellissime fotografie solarizzate di Osamu Shiihara, stampe vintage degli anni Trenta.

Nata a Roma nel 1966, è storica e critica d’arte, giornalista e curatrice indipendente. Con Postcart ha pubblicato A tu per tu con i grandi fotografi - Vol. I (2011), A tu per tu con i grandi fotografi e videoartisti - Vol. II (2012); A tu per tu con gli artisti che usano la fotografia - Vol. III (2013); A tu per tu – Fotografi a confronto – Vol. IV (2017); Cake. La cultura del dessert tra tradizione Araba e Occidente (2013), progetto a sostegno di Bait al Karama Women Center, Nablus (Palestina). E’ autrice anche Taccuino Sannita. Ricette molisane degli anni Venti (ali&no, 2015) e Isernia. L’altra memoria – Dall’archivio privato della famiglia De Leonardis alla Biblioteca comunale “Michele Romano” (Volturnia, 2017).

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