Si terrà martedì, 30 maggio, a partire dalle 17:30, nella sede RUFA Pastificio Cerere in via degli Ausoni 7, nel cuore del quartiere San Lorenzo di Roma, la mostra “Girare il caffè in senso antiorario”: un progetto firmato da Abel Gonzáles, Alejandro Guzmán, Maria Rodellas Monje e Julia Sepùlveda Llorente, studenti della Escuela Universitaria de Artes TAI di Madrid, curata dall’artista e docente RUFA Simone Cametti all’interno del Consorzio Body Sound DiVision (BsdV), composto da RUFA, Saint Louis College of Music, Accademia Nazionale di Danza e ISIA ROMA Design.
Il percorso espositivo restituisce due mesi di scambi tra gli studenti delle istituzioni del Consorzio. Un’esperienza che accomuna rimandi sul corpo umano in una poetica dell’affrancamento sviluppata attraverso performance, installazione e video. «Il corpo è materia sensibilizzante che rende permeabile, impressionabile, vulnerabile. Un “quid pro quo” programmato il cui regalo più grande è poter appartenere ad altro, ad un altro, a tanto. È il paradosso del corpo agito. Un chiasmo da schianto, ma di uno schianto senza botto, insomma uno scambio a ghigliottina. Lamellare. Volersi in qualche modo schermare, avanzando a pancia all’aria, in posizione eretta. Se tutti i corpi sono agiti, cosa agisce sui corpi? Non resta che infilarsi in qualche parrucca altrui. E poi trovare in una faccia amica la maschera perfetta. L’adotto come un pargolo, come caretaker o anche solo come taker. Probabilmente l’importante è impiantarsi un dettaglio che non c’appartiene, cosí da disconoscersi, così da rivelare solo ciò di cui umanamente sappiamo riconoscere, processi carnali da coadiuvare», scrive Giorgia Papucci ne suo testo critico.
“Plié-Gué” di Abel Gonzàles indaga il corpo come indossatore, volgendo al dialogo ed al conflitto tra stratificazioni, proprie ed espropriate. Un richiamo volto all’osservazione di una nuova pelle che stride tra le pieghe del corpo per mezzo di microfoni a contatto che ne agevolano l’indagine.
Maria Rodellas Monje gestisce la propria intimità in due dimensioni. Per mezzo della fotografia analogica, struttura un legame con gli elementi facendoli reagire. Fissa un concetto chiaro: definire il proprio sguardo. Poi lo modifica alla radice. Due installazioni per istantanee rimodulate come lembi di pelle, una composizione d’artigiana, un vecchio abito per un nuovo corpo.
“Carta di Identità” di Alejandro Guzmàn porta in scena il percorso dell’artista verso l’ottenimento della carta d’identità italiana, richiamando alla propria genealogia confermando il cambio generazionale come rivoluzione del passato stesso.
Julia Sepulveda scava nell’invisibile. Frequenze invisibili riportate alla luce ci raccontano un duello tra due cavalieri archetipici. Una sparatoria oltre la ferita, un conflitto che invoca il materiale corporeo invece che il corpo nel suo complesso.
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