Nel 1916, negli scavi dell’archeologo Giulio Quirino Giglioli al Santuario di Portonaccio, a Veio, fu ritrovata quasi integra una splendida scultura in terracotta dipinta: l’Apollo rappresentava in maniera vivida la raffinatezza raggiunta dalla cultura etrusca. Quella scoperta diede avvio a un periodo conosciuto come “rinascenza etrusca”, durante il quale dovevano fiorire studi, convegni, dibattiti, dedicati all’antico, misterioso e affascinante popolo italico, le cui testimonianze iniziarono a ispirare intellettuali, artisti, designer, stilisti, orafi, che cercavano un linguaggio anti-classico, alternativo ai canoni greco-romani. Oggi, il Mart di Rovereto e la Fondazione Luigi Rovati di Milano presentano un grande progetto espositivo dedicato alla fortuna e all’influenza esercitata dalla cultura etrusca sui moderni e sui contemporanei.
«Abbiamo accettato con entusiasmo questa collaborazione con il Mart che consolida la nostra costante ricerca di dialoghi fra il mondo etrusco e gli artisti che nel tempo ad essa si sono ispirati», ha dichiarato Giovanna Forlanelli, Presidente della Fondazione Luigi Rovati.
Curata da tre storiche dell’arte – Lucia Mannini, Accademia delle Belle Arti di Firenze, Presidente Museo Stibbert, Anna Mazzanti, Politecnico di Milano, Alessandra Tiddia, Mart di Rovereto – e da un etruscologo, Giulio Paolucci, Fondazione Luigi Rovati, direttore Museo dell’Accademia Etrusca di Cortona, la mostra farà tappa nelle due città : dal 7 dicembre 2024 al 16 marzo 2025 a Rovereto, dal 2 aprile al 3 agosto 2025 a Milano. Così, le due istituzioni trovano un punto di convergenza nel valorizzare il legame tra l’arte contemporanea e le civiltà antiche, confermando il loro impegno a esplorare le intersezioni culturali.
Se la cultura di fine Ottocento, erede della tradizione simbolista, si incuriosì di questo popolo che emergeva dalle tombe dell’Etruria, nel secondo Novecento due celebri esposizioni amplificheranno la portata del fenomeno anche all’estero, raggiungendo artisti del calibro di Alberto Giacometti, Pablo Picasso, Andy Warhol o registi come Alfred Hitchcock. Si tratta della Mostra dell’arte e della civiltà etrusca, allestita da Luciano Baldessari a Palazzo Reale a Milano nel 1955, e di Civiltà degli Etruschi, organizzata nel 1985 nell’ambito del Progetto Etruschi, promosso dalla città di Firenze e dalla Regione Toscana.
Oltre 200 le opere esposte, tra grandi capolavori dell’arte moderna e reperti archeologici, a cui si aggiungono decine di documenti, libri, fotografie, riviste. Al Mart, la mostra si inserisce in un filone di progetti che indagano i rapporti tra epoche storiche diverse, rispecchiando la vocazione del museo nel preservare il patrimonio artistico italiano del XX secolo. Tra i protagonisti della mostra figurano autori come Massimo Campigli, Marino Marini, Pablo Picasso e Mario Schifano, le cui opere si intrecciano con reperti archeologici provenienti da importanti musei italiani e internazionali, come la Galleria Nazionale di Roma, la Peggy Guggenheim Collection di Venezia, lo Stedelijk Museum di Amsterdam e il Musée Picasso di Parigi, il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, il Museo Archeologico Nazionale di Firenze, l’Accademia Etrusca di Cortona.
A Milano, invece, la Fondazione Luigi Rovati prosegue la sua ricerca di connessioni tra passato e presente, partendo dalla propria collezione di arte etrusca per esplorare come questa abbia influenzato artisti del Novecento e contemporanei. Qui la mostra si sviluppa in entrambi i piani espositivi: accanto alla collezione permanente, i capolavori esposti seguono il percorso tematico della prima tappa al Mart, con la scelta a Milano di proporre solo artisti italiani.
Nelle due mostre, l’arte visiva si intreccia con le arti applicate e grafiche, creando un dialogo tra pittura, oreficeria e scultura, e mettendo in luce il ritorno di forme, tecniche e materiali tipici dell’antichità etrusca, come la terracotta dipinta, i metalli, la pittura parietale e vascolare, e il bucchero, la caratteristica ceramica nera usata per realizzare vasi. I confronti tra il mondo antico e quello moderno vengono esaminati in modo approfondito grazie a riproduzioni fotografiche, pubblicazioni e una preziosa selezione di eccezionali reperti archeologici.
«Tutto il Novecento è percorso da una “febbre etrusca” che va da Martini a Serafini e che indica un percorso non classico, ma espressionistico, deformante dell’arte del Novecento, una vera e propria estetica della deformazione senza tempo», ha commentato Vittorio Sgarbi, presidente del Mart.
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