Gli oggetti-non oggetti di Vittorio Corsini |

di - 16 Settembre 2015
I progetti espositivi di Vittorio Corsini hanno la capacità di attivare gli spazi che abitano, trasformandoli in contenitori di tracce di presenze invisibili costituite dagli echi di gesti, parole, suoni, relazioni intercorse tra persone, spostamenti e migrazioni di concetti e fatti. Ogni azione, ogni gesto, ogni dialogo produce un effetto e gli effetti dei comportamenti, delle attitudini sono ciò che si manifesta, anche nella mostra “Il peso del carrello e altre storie”( fino al 20 settembre presso la galleria Cardi di Pietrasanta), secondo una variante selezionata di materiali: marmo, acciaio, cristallo, vetro, tempera, carta.
Tutta la mostra si pone come una sequenza di improvvise agglomerazioni e successive liquefazioni, alternanze di trasparenze, riflessioni, pesantezze e leggerezze; una sequenza di gravità e levità che generano ossimori. Determinanti per il dipanarsi di una storia e tante storie. Il cristallo è denso e più materiale dell’acciaio, che a sua volta si fa specchio. Il marmo è più lieve del vetro che è reso più visibile del marmo attraverso l’inserimento di piccoli bigliettini di carta bianca, più materia del marmo e con una funzione maggiormente strutturale. La pittura, l’acquarello, steso sulla carta e ritagliato, reso mosso da un’azione aggressiva, che dilata il gesto e lo spazio.
L’ossimoro, con l’antitesi che comporta, è ciò che costringe a rimettere in gioco i termini della percezione: costringe continuamente a riprogrammare i termini di trasmissione visiva tra occhio e cervello. Costringe a rivedere le informazioni che transitano da immagini (oggetti) ad alta valenza estetica divenendo informazioni che la nostra mente elabora.

Le immagini di partenza – e gli oggetti – sono definitivamente quotidiani: la casa, gli strumenti di lavoro, le città. Perfino i souvenir, simbolo delle città, mete più ambite dal turismo di massa, sono tutti parte di un immaginario domestico, semplice nella sua individuazione. Ciò che trasforma questi oggetti in dispositivi è un misterioso universo delle relazioni umane, delle attitudini e dei comportamenti, delle azioni, degli spostamenti che questi oggetti sottendono. Sono le tracce di azioni e comportamenti di cui essi sono echi e cassa di risonanza insieme e che reclamano un dislocamento: dal mondo degli oggetti al mondo delle idee passando attraverso la conoscenza fisica (il martello, la pala si usano, la casa si abita, il souvenir si desidera come memoria di una presenza, di un “essere stato”) che rimanda ad una condizione della mente.
Souvenir è un carrello di acciaio specchiante che trasporta souvenir in cristallo: l’Arco di Trionfo, un mulino a vento, il Colosseo, il Partenone, la Sirenetta, Palazzo Vecchio, la Cattedrale di San Basilio. Parigi, l’Olanda, Roma, Atene, Copenaghen, Firenze, Mosca. Città europee riassunte in un oggetto simbolico, un ricordo. Città che visitiamo prendendo metro, treni, aerei, attraversando spazi, condensando il tempo, cercando di impiegarne il meno tempo possibile per spostarsi da un luogo all’altro. Aggiudicandosi una memoria, un souvenir che si fa garante della visita e dispositivo per il ricordo. Tra le città spazi non percorsi, persone non incontrate, relazioni non attivate. Una non memoria.

I souvenir sono di cristallo. Trasparenti, sono oggetti-non oggetti, lasciano che lo sguardo li attraversi, diventano accessi per il pensiero. Il carrello, d’altronde, non si muove. Rimane quasi arpionato al suolo, in posizione statica, agganciato ad un luogo e portatore, tuttavia, di tanti luoghi.
Così come chiara, trasparente ma rosa è l’acqua su cui si fondano gli agglomerati urbani di River City, grattacieli, abitazioni di acciaio specchiante arroccate su recipienti di cristallo che contengono l’acqua colorata. Ciascuno designa uno spazio, insieme i quattro elementi in mostra sono le emergenze di un fluire incessante, di un’acqua che sentiamo essere continua e non puntiforme quale si mostra di fronte a noi. L’uomo abita, vive, si muove in uno spazio che, talvolta, è percepito non continuo; lo sguardo si posa su porzioni di paesaggio, la nostra vita si svolge in luoghi vissuti a singhiozzi secondo tempi che non sono, prevalentemente, quelli della natura ma sono quelli della necessità. Tuttavia, in modo obliquo, avvertiamo la forzatura dei nostri comportamenti, lo scollamento tra tempo e spazio.  
Di cristallo sono anche i Tools: serie di pale, martelli, attrezzi riuniti per famiglie in teche di acciaio specchiante. Oggetti i cui modelli provengono da parti diverse del mondo dove si utilizzano per gli stessi scopi e con gli stessi gesti. Gesti che rendono concrete volontà, progettualità, pensiero. Dunque strumenti che sono estensioni del corpo ma che, al contempo e tramite la loro morfologia e il loro utilizzo, contribuiscono ad “allargare la mente”. La loro realizzazione in cristallo ne fa oggetti dileguati che, nella loro sparizione, ci rendono manifesta la ricchezza di quanto – soprattutto di immateriale – ci hanno donato. Alle pareti grandi fogli raccolgono altre serie di attrezzi: martelli, strumenti per lavorare il vetro realizzati con tratti rosa all’acquarello.

Ogni attrezzo designa una modalità. Nella carta, a sollevare alcune parti del foglio, sono stati praticati tagli che rialzano parti dei manici, rendono spessi i vuoti delle impugnature, segnano curve. Il disegno come pratica indagativa, progettuale, conoscitiva, al servizio di pittura e scultura così come parte della storia dell’arte ce lo ha consegnato, reclama qui, oltre a una propria autonomia, lo spazio per l’azione. La pratica di conoscenza avviene, di nuovo attraverso il gesto: i tagli si aprono sulla possibilità del corpo di impugnare, utilizzare, “allargare la mente” – cito Corsini – attraverso il loro utilizzo”. Con i tagli – essi stessi spazio – gli oggetti disegnati acquistano corpo, diventano presenti traslocando dal mondo delle idee, dalla mente, allo spazio delle azioni delineando un rapporto fondante tra mente e oggetto.
Lo spazio della scultura è quello della relazione. L’opera vive non nel fatto di essere contemplata ma per le attivazioni dei percorsi mentali, è tridimensionale perché sottende una relazione con il corpo e con la mente.
Corpi, presenze, che animano le piccole case di vetro chiaro e trasparente. Corpi non incarnati, ma evocati in assenza da piccoli biglietti con scritti nomi di persone. Gli arredi, anch’essi di vetro, talvolta disegnati sui piccoli pezzi di carta, sono talvolta scompaginati nello spazio della casa ribaltata (Come un inizio), nelle due casette affiancate (Twin House, Single House) talvolta assenti (Security). Le case, di volta in volta, poggiano su blocchi di marmo bianco, ne vengono schiacciate, vengono protette, incassate nel blocco che le contiene a mo’ di scatola. Il marmo offre alla vista, protegge, incombe.
La casa come luogo principe per l’espressione di identità, come amplificatore delle relazioni, ma anche come luogo dell’intimità, spazio che manifesta l’indole più sincera nella relazione dell’individuo con altri individui. Individui la cui nominazione occupa fisicamente lo spazio, diventa presenza costitutiva e fondante, dà peso agli arredi trasparenti e senza peso, dà corpo alle sculture che lo sguardo trapassa.
Ilaria Mariotti

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