Grandissimo Bosch!

di - 23 Febbraio 2016
È uno dei pittori più misteriosi di tutti i tempi, capace di creare un mondo di immagini simboliche e mostruose inimitabili, rimanendo tutta la vita in una piccola cittadina nel cuore dell’Olanda, senza mai spostarsi. Parliamo del grande ed enigmatico Jheronimus Bosch (1450-1516) , protagonista dell’eccezionale retrospettiva aperta fino all’8 maggio al Noordbrabants Museum di s’Hertogenbosch, la sua città natale, in occasione dei 500 anni dalla sua morte e curata da Mathijs Ilsink, Jos Koldeweeij e Charles de Mooij.
Inutile dire che si tratta di una mostra imperdibile, prima di tutto per i venti dipinti riuniti per la prima volta in un unico museo (le opere attribuite all’artista sono in tutto 34) , accompagnati da 19 disegni autografi. Ma non solo: la rassegna è l’occasione per ammirare il Sant’Antonio , ritrovato nei depositi del museo Nelson-Atkins di Kansas City, che le analisi effettuate dal Bosch Research and Conservation Project hanno definitivamente attribuito al nostro Jheronimus. Una straordinaria novità che si aggiunge ad un altro inedito, il disegno che raffigura un Paesaggio Infernale, descritto con un tratto molto accurato, proveniente da una collezione privata , che ci indica la straordinaria maestria del Bosch disegnatore, forse la scoperta più sensazionale di questa mostra.

Grazie a questi straordinari fogli, mai esposti prima, possiamo entrare non solo nel cuore del mondo di Bosch, ma addirittura di immaginare il suo metodo di lavoro, che procedeva per associazioni e accumulazioni di idee. E non è poco, visto che la storia è molto avara di notizie su Bosch: si chiamava Van Aken, abitava in una casa affacciata sul lato sud della piazza del mercato e solo quando sposa Aleid van de Meervenne va ad abitare in una casa più grande sul lato nord del Markt. A 38 anni comincia a firmare i suoi quadri con il cognome Bosch, e nel 1504 la sua fama è così forte che il duca di Borgogna Filippo il Bello gli commissiona un Giudizio Finale. Tutto qui. Ma oggi sappiamo molte altre cose: intanto è il primo pittore dei Paesi Bassi di cui ci sono giunti i disegni, e questo significa che non si tratta di semplici schizzi, ma di opere a tutti gli effetti, eseguite con un tratto preciso, senza pentimenti o cancellature. Anzi, qualcosa di più: sono veri e propri repertori di immagini, che l’artista utilizzava per comporre i suoi quadri, proprio come fanno oggi molti artisti contemporanei.
Un’ipotesi azzardata? Consideriamo il Foglio di Studio con Streghe (n.18) conservato al Louvre e il Foglio di Studio con mostri (n.38) proveniente dall’Ashmolean Museum di Oxford: entrambi i fogli sono stati riempiti dall’artista con un campionario estremamente preciso delle figure che troviamo nei dipinti, come se si trattasse di un repertorio di immagini che il maestro assemblava poi sulle tavole, a seconda del soggetto che gli era stato commissionato, quasi sempre legato alla lotta tra il bene e il male. Quasi a voler indicare un possibile cammino per la salvezza ad un’umanità minacciata da mille insidie e pericoli. È addirittura ipotizzabile che Bosch affidasse proprio a questi fogli le invenzioni più azzardate, e lo prova il foglio 37, Scena infernale con mostri, proveniente dallo Staatliche Museum di Berlino, dove sono tracciate, con un segno pallido ma fermo, immagini di creature mostruose che non sono state ritrovate in nessuna opera nota.

Ma c’è dell’altro: nel disegno Il campo ha gli occhi, il bosco le orecchie (n.17), proveniente dallo stesso museo berlinese, Bosch ha scritto di suo pugno : «Miserabile colui che utilizza le idee degli altri e non inventa nulla da solo». Si tratta di una frase legata all’immagine rappresentata, che i curatori della mostra hanno voluto identificare con un autoritratto dell’artista: un albero secco con una civetta al centro, che si staglia davanti ad un boschetto dal quale spuntano due orecchie umane, mentre sul prato in primo piano compaiono sette occhi aperti. Tra le radici dell’albero si intravede un gallo che infila la testa nella tana di una volpe: un riferimento alla prudenza legato al motto dal quale l’opera tra il suo titolo: “Questo campo ha gli occhi, questo bosco ha le orecchie. Voglio guardare, tacere e ascoltare”. «Il modo in cui Bosch ha costruito la scena lascia pensare che si tratti di un gioco tra lui stesso come uomo e come artista, il nome della sua città natale e la sua condotta di vita. Il disegno presenta la stessa composizione dello stemma della città di s’Hertogenbosch, con il grande albero al centro e due piccoli alberi ai lati», spiegano i curatori. «Rappresentandolo così e associandogli la figura della civetta, soprannominata l’uccello dei boschi, ha fabbricato il blasone del suo mestiere di artista».  Che passava, prima di tutto, per il disegno.
Ludovico Pratesi

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