Hans Memling. La signora delle mostre

di - 13 Gennaio 2015
Siamo a Bruges, nel cuore delle Fiandre. La città della Lega Anseatica era un punto di snodo importante con i suoi canali e il mare vicino, e nel ‘400 vi convergevano commercianti e artisti da tutta Europa; uomini d’affari e ricchi personaggi daranno vita a grandi trasformazioni nelle arti. Memling non è da meno, visto che alle Scuderie del Quirinale si mostra anche come la portata della sua pittura abbia segnato artisti come Ghirlandaio, Raffaello, Perugino e Leonardo.
Tanto per avere un’idea si è parlato di lui come l’alter ego di Antonello da Messina, l’altra faccia del Rinascimento italiano, ancora meglio come anticipatore di gusti e scelte compositive fondamentali per il futuro Rinascimento. Erede di Rogier van der Weyden, impara presto i trucchi del mestiere e diventa in breve tempo il pittore più importante e più ricco della città. Mescolando elementi originali e di più antica tradizione, Hans Memling arriva a superare talvolta i grandi maestri del passato (Petrus, van der Weyden, van Eyck).
La retrospettiva in corso alla Scuderie del Quirinale è in assoluto la più importante realizzata nel nostro Paese e mette in luce le più eccelse qualità di questo protagonista del disegno e della pittura a olio. Sono 26 le opere del Maestro, tra cui alcuni polittici smembrati che proprio per l’occasione sono stati ricomposti qui per la prima volta. Prestiti importanti, con l’inglese National Trust e la celebre Frick Collection di New York che hanno aderito con entusiasmo, scommettendo sul grande valore del progetto espositivo.
Non aveva tutti i torti Franco Bernabé (cda del Palaexpo) quando parlando di una mostra «di rara bellezza» inaugurava l’evento a ottobre. Ma siamo a gennaio e molte cose sono cambiate: alcune tele sono partite per Torino, per non parlare di tutta la bagarre scatenata dalla promessa del prestito del Trittico di Danzica (rubato persino dai pirati) ma poi smentito e mai arrivato.

Ad ogni modo, ancora per qualche giorno, si possono ammirare – nonostante le assenze – opere eccezionali.  La mostra ha il prestigio della curatela del più grande esperto dell’opera di Memling, Borchert che insieme a Federica Veratelli (Université de Valenciennes) ha curato catalogo e testi, e ha tenuto insieme a Francesca Cappelletti e Giovanni C. F. Villa la serie di incontri al Palazzo delle Esposizioni.
La rassegna offre il vantaggio di fare incursione nella vita dell’artista, dei suoi legami coi committenti e il territorio, ed è qui che si spiega cosa c’è oltre la tela. Il giro inizia con una tavola: è il Ritratto di donna che porta l’hennin (copricapo delle nobildonne fiamminghe) del 1480-85. Ammaliante, e strano, è ritratta senza mani. I bordi del supporto ligneo sono stati tagliati, naso e velo pesantemente ritoccati, ma resta un’impalpabile leggerezza tecnica che ritroviamo nel Trittico di Jan Crabbe. Qui è da notare l’azzurro berillo, tipo ghiaccio, nello sfondo, e la Vergine che si ritrae di fronte al dolore sovrumano della morte di un figlio, stemperato forse, dal fiabesco dei lontani castelli e torri, con altissime guglie a punta. Un panorama tutto nordico che non si vedeva da tempo a Roma. Il polittico, smembrato per essere venduto separatamente, oggi è stato eccezionalmente ricomposto proprio in occasione della mostra alle Scuderie.
Dagli Uffizi arriva il Compianto sul Cristo morto opera di Roger van der Weyden, il Maestro, è quasi certo, di Hans Memling, con un Cristo quasi in piedi e non riverso. Come logo della mostra c’è invece il Ritratto di uomo con una moneta romana, probabilmente Bernardo Bembo. Che ci fa il padre di Pietro Bembo a Bruges? Documenti attestano che si trovava nelle Fiandre perché al servizio di Carlo il Temerario: era infatti l’ambasciatore veneziano alla corte di Borgogna tra 1471-74. Uno dei tanti italiani all’estero nel 400.
La sezione dei ritratti offre una serie di personaggi che, per la prima volta, forse, non sono messi di profilo. E non è poco. La nuova modalità di 3/4 sembra sia stata proprio una delle conquiste della pittura di Memling. I personaggi affacciati da una balaustra stanno davanti a una finta cornice, non direttamente nel paesaggio. È noto, voltare il viso era una strategia compositiva del tempo, che serviva per ridurre lo spazio tra spettatore e personaggio. In un vortice di occhi è curioso notare come tutti guardino verso destra. E c’è una ragione. Il destro era il lato più importante nell’ottica araldica, non dimentichiamo infatti che ‹‹Farsi fare un ritratto da Memling era considerato uno status symbol›› precisa Borchert.
Il Ritratto di giovane con collo di pelliccia, del 1475, presenta una chioma che ricalca quella di un albero. E quindi è più che mai immerso nel paesaggio, ma pur sempre da dietro una cornice, mentre nel Ritratto di giovane uomo  addirittura è la mano che esce dal quadro. Ma non è Caravaggio,  siamo nel 1480. Forse Memling suggerisce anche questo al ‘600 italiano? Una cosa è certa, il Ritratto di Benedetto Portinari sarà un modello di riferimento in Italia, non solo a Leonardo per la Monna Lisa ma anche a Raffaello nella Dama col liocorno della Borghese.

Protetto dentro una vetrina, il Trittico Morel  gioca con l’osservatore con un ritmo altalenante. A piccoli personaggi, si alternano figure a grandezza naturale che sovrastano la composizione. È il caso di Santa Barbara. Nel comparto di destra, una schiera di fanciulle in scala: sono le numerose figlie del committente che ottiene il privilegio di costruire un altare in una chiesa di Bruges dopo essere stato accusato e imprigionato. La storia raccontata nella mostra è anche spunto per riflettere su cos’altro succedeva in Italia negli anni di Memling. E allora si spiega la presenza di Bernardino Luini o del Beato Angelico, con le Storie di San Nicola che arriva dai Musei Vaticani. Ci sono inoltre, Gaspare Sacchi, con le Scene di vita di Cristo e anche altri maestri, come Andrea della Costa.
Con uno spaccato apocalittico Memling apre sul Trittico della Crocefissione dove il paesaggio è spaventoso: luna e sole stanno insieme sotto lo stesso cielo plumbeo. Ma a Memling non interessa tanto il simbolismo religioso quanto piuttosto sperimentare nuove tecniche, che qui sono la continuità della narrazione e la mescolanza luce-buio, elementi buoni a segnare lo scorrere del tempo. Il Trittico Pagagnotti, dulcis in fundo, fino al  XIX secolo era d’incerta attribuzione. Dai documenti non risulta un Benedetto Pagagnotti a Bruges, e si suppone abbia commissionato il dipinto tramite un mediatore. Forse è questa la ragione per cui non c’è lui inginocchiato (come è solito in questi casi) tra il Bambino, i due angeli e la bellissima Vergine. Però lo splendido lavoro nasconde ancora qualche verità. Le gru che si trovano sul retro degli scomparti rappresentano lo stemma gentilizio della famiglia, che così certifica il committente e l’autore. La gru, è nota per portare sempre con sé una pietra nella zampa in modo da custodire i suoi piccoli e svegliarsi se cade addormentata. Uno splendido omaggio al committente lontano.

Una mostra che ci svela non solo quanto la bottega di Memling sia stata prolifica e  anticipatrice sulle modalità di funzionamento di queste attività (per esempio inizia a distinguere  i ruoli tra supervisore e assistenti), non solo che Bruges sia stato un vero carrefour artistico e fulcro di immagini e idee poi diffuse ovunque in Europa, ma anzitutto ci racconta quanto la pittura di Hans Memling abbia offerto pregevoli modelli imitativi per l’arte in Italia proprio attraverso i suoi marchi di fabbrica: l’uso dell’olio, il fondo neutro e l’eliminazione del profilo. E anche se Memling era più attratto dalla perfezione tecnica che non dalla profondità religiosa, la sua bravura non ha mai raggiunto prima un livello così alto di realismo. Il trucco c’è e si vede: è il pigmento nel colore a olio.

Critica, storica dell’arte e redattrice per prestigiose riviste di settore (Exibart,Art e Dossier, Finestre sull’arte) ha all’attivo numerosi articoli e interviste a galleristi (Fabio Sargentini), direttori di Musei (Anna Coliva) curatori (Alberto Fiz), vertici di società di mostre (Iole Siena, Arthemisia Group e Renato Saporito, Cose Belle d’Italia). Da tempo collabora con la Direzione della Galleria Borghese con la quale dopo aver prodotto una ricerca inedita sul gusto egizio ha svolto un lungo periodo di formazione. Nel 2015 fonda Artpressagency la sua agenzia di ufficio stampa, comunicazione, critica d’arte e di editing che sta espandendo e che ha visto collaborazioni notevoli con colleghi e musei, istituzioni su tutto il territorio nazionale (MaXXi di Roma, Biennale di Venezia, Zanfini Press, Rivista Segno, ecc.). Lavora come editor per Paola Valori e in qualità di addetta stampa scrive per le mostre di Studio Esseci, Arthemisia, Zetema, Mondomostre, ecc. Tra le pubblicazioni più importanti: “Margini di un altrove”, catalogo della mostra svoltasi  nel 2016 a Siracusa in occasione delle rappresentazioni classiche, “History is mine _ Breve resoconto femminile ”: unico capitolo dedicato al genere femminile pubblicato nel libro “Rome. Nome plurale di città” di Fabio Benincasa e Giorgio de Finis, “La verità, vi prego, sulle donne romane”, indagine archeologica e figurativa sull’assenza nei luoghi delle donne nella Roma antica, per FEMM(E)-MAAM ARTISTE. Al momento, oltre all’aggiornamento di Report Kalabria, indagine sulle contaminazioni artistiche contemporanee nei luoghi archeologici in Calabria, si sta occupando di promuovere un progetto originale degli artisti Francesco Bartoli e Massimiliano Moro, anche dei linguaggi multimediali applicati a eventi espositivi.   Gli articoli di Anna su Exibart.com

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