Prima – venerdì scorso – l’incontro-scontro tra Giorgia Meloni e il direttore dell’Egizio Christian Greco, sul portone del museo, dove si è accusata l’istituzione di essere anti-italiana, per l’iniziativa (della durata trimestrale) del biglietto scontato per chi parla arabo. Poi, nella giornata di domenica, l’arringa di “Fratelli d’Italia” con il “cacceremo il direttore se governeremo l’Italia” che è stata prontamente smentita dal partito nella giornata di lunedì, tacciata come una fake news montata dalla stampa.
In mezzo il plauso di Franceschini e Renzi, che hanno apertamente supportato l’operato di Greco. Sullo sfondo lui, il Museo Egizio di Torino. Che oggi vorremmo raccontarvi nella sua identità, ovvero come ente che configura il panorama culturale della città sabauda, e ospita una delle collezioni di antichità egizie più prestigiose al mondo, seconda solo dopo quella del Cairo.
Inaugurato ufficialmente il 1 aprile 2015 sotto la direzione di Christian Greco, il nuovo percorso espositivo è una vera e propria esperienza immersiva alla riscoperta delle storie del Museo, dell’antica civiltà egizia, delle vicissitudini collezionistiche e archeologiche e dei suoi protagonisti, che si intrecciano lungo i quattro piani del palazzo barocco del Collegio dei Nobili. L’ingresso ipogeo introduce alle origini del Museo delle Antichità Egizie con La Mensa Isiaca (I sec. d.C.), il primo manufatto di ispirazione egizia acquistato da Carlo Emanuele I di Savoia nel 1630, punto di partenza fondamentale per comprendere le ragioni della presenza di questo patrimonio nel capoluogo piemontese. E poi, fra i tanti nomi importanti, spiccano quelli del console piemontese Bernardino Drovetti dal quale, nel 1823, Carlo Felice acquistò il nucleo principale della collezione fondando, così, il Regio Museo delle Antichità Egizie, rendendo Torino un prestigioso polo internazionale per lo studio di questa civiltà, con il contributo di personalità quali Jean Francois Champoillon e di Ernesto Schiaparelli che orientarono l’attività del museo verso un approccio sempre più scientifico e archeologico piuttosto che unicamente collezionistico. Una collezione che trova nel passato le sue ragioni profonde, indissolubilmente legate alla dinastia dei Savoia, e costituisce nel presente una realtà partecipe della vita quotidiana del fervore culturale della città.
Christian Greco, Direttore del Museo Egizio
A riprova di ciò, proprio nella scorsa settimana dell’arte contemporanea torinese, il Direttore Christian Greco ha confermato la partecipazione del Museo Egizio con un percorso espositivo nell’ambito della mostra “Come una falena alla fiamma” allestita alle OGR, in collaborazione con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, mediante le vetrine delle Gallerie della Cultura Materiale, e ospitando nell’atrio del Museo l’opera Unfired clay torso dell’artista Mark Manders della Collezione della Sandretto Re Rebaudengo. L’apertura al contemporaneo da parte del Museo contribuisce all’intento della mostra stessa di restituire un ritratto della città attraverso le collezioni sul territorio. Le attività del Museo, a partire proprio dall’intervento di rifunzionalizzazione e di ripensamento del progetto scientifico, sottendono necessariamente la ridefinizione contestualizzata del dialogo tra collezione e pubblico, della ricezione dell’antico attraverso la ricerca.
Come afferma Christian Greco, «La mission è che il Museo non può che essere un centro di ricerca, costituito dalla collezione ma anche dal Museo inteso come uomini e donne che fanno ricerca rendendo il Museo luogo di incontro e di dialogo attraverso il quale riconnettere il patrimonio al territorio». Oltre all’anima collezionistica emerge anche quella archeologica – confortata dalla recente partecipazione all’attività di scavo durante la spedizione nei pressi di Saqquara – e l’intenso lavoro scientifico del Direttore condotto sulla biografia degli oggetti, al quale si ricollegherà la mostra temporanea “Anche le statue muoiono”, annunciata per l’8 marzo. E la tecnologia gioca un ruolo fondamentale quando è sinonimo di ricerca, strumento inteso dal Direttore come «Valore aggiunto all’interno di un Museo, come tecnica di indagine e tecniche archeometriche per le attività di diagnostica […] strumenti fondamentali per estrapolare informazioni che permettono di entrare nell’oggetto per renderlo fruibile e conoscerne la biografia avvicinando il pubblico alla cultura materiale […] perché il traguardo è quello di far passare una modalità di fruizione nuova attraverso la ricerca, partendo da un oggetto per far scoprire ciò che non è visibile a occhio nudo».
L’apertura della ricerca al pubblico si coglie lungo tutto il percorso espositivo, mediante approfondimenti che interrogano e soddisfano le curiosità del visitatore ma, soprattutto, rendendo alcuni depositi e laboratori di restauro visibili e parte integrante di un percorso di visita avulso da qualsiasi spettacolarizzazione e fascinazione indotte dalle tecnologie digitali e dalla realtà aumentata. Il pubblico si avvicina alla cultura materiale mediante un percorso di progressiva “esplorazione stratigrafica al contrario” per conoscere la civiltà egizia dall’Epoca Predinastica fino all’Epoca Romana e Tardo Antica, concludendo con la Galleria dei Re, allestita dallo scenografo Dante Ferretti, che custodisce le sculture monumentali di faraoni, regine, divinità e sfingi.
In costante dialogo e in continuità con la sua storia e con un’attenzione sempre attuale sul presente, il Museo ha rinnovato l’interesse del pubblico per le collezioni- come dimostrano i dati statistici che lo collocano tra le prime istituzioni più visitate in Italia – divenendo una sorta di finestra aperta su un mondo sempre affascinante che continua a far parlare di sé. Ben oltre la diatriba politica.
Manuela Santoro