Quando l’esigenza di chiudere col passato diventa irrevocabile la decisione presa non può essere rimandata neppure dall’imminenza della guerra. Siamo nel nord Europa, tra Monaco, Vienna e Praga: mentre intorno soffiano venti bellici quattro giovani ribelli spazzano via secoli di tradizione con una rivolta che ha il sapore di una lotta. Ed è sfidando l’egemonia del potere delle Accademie che i ribelli vanno contro i dettami della cultura vigente e si battono contro il predominio delle cosiddette arti maggiori. Ma il percorso per arrivare a una rivincita e innovare concetti e tecniche pratiche è assai lungo e accidentato, se a Vienna ancora alla metà degli anni ‘90 dell’800 proprio la secessione locale non dà seguito all’idea di fare una mostra su Gauguin. Sono ancora tempi duri per i Secessionisti perché devono sopportare non solo le polemiche più accese dei critici ma far fronte anche a problemi più intestini. All’interno delle consorterie dei rivoltosi alcuni focolai remano contro ogni istanza di novità, e non sempre tutto fila liscio, numerosi sono i detrattori, anche se poi loro stessi diventeranno gli ammiratori più appassionati. Oltre a combattere contro i pregiudizi e le mode artistiche imperanti, sono proprio gli artisti e i pensatori più liberi, in un’epoca percorsa da forti inquietudini solo in parte mitigate da istituzioni o monarchie che a stento forniscono un’apparente stabilità, a prefigurare l’ecatombe mondiale. Nelle loro opere e negli scritti quella rottura, segno di un equilibrio precario tra gli Stati d’Europa, era già presente. Un’aria minacciosa incombe in opere significative come quelle che sono in mostra a Rovigo, sotto la curatela di Francesco Parisi. Di questi avversi presentimenti Lucifero o Medusa (un pastello del 1892) sono tra le opere più rappresentative. L’artista è Von Stuck la cui pericolosità rabdomantica, da vero preveggente instilla i primi dubbi, insinuando veleno tra i fiori. E dopo di lui (e dopo Baudelaire) verranno i fiori del male nella pittura: allora ecco Heine con i suoi Die Bluemen Bosen. E ancora Parsifal di Putz, un quadro che rappresenta le letali fanciulle-fiore di wagneriana memoria, o Maria di Strathmann, un’opera altamente decorativa con chiare influenze bizantine.
Gustav Klimt, Manifesto per la prima mostra della Secessione Viennese (26.03.1898-‐20.06.1898), 1898, litografia a colori su carta © Klimt Foundation, Wien
Ma c’è ancora l’acquaforte di Jettmar Pescatori e Ondine con una lugubre ambientazione notturna e l’olio di Klimt Le sorelle un singolare doppio ritratto muliebre che assieme a Sommer di Moser simboleggia il potere sensuale da sempre attribuito alla donna, importante in un momento in cui Freud avanzava con i suoi studi sull’inconscio in relazione alla sfera sessuale. Tutta l’arte è in subbuglio poco prima del conflitto mondiale e subito dopo le scoperte della psicologia. Quando arrivano i Secessionisti non fanno che continuare su questa scia e non possono che stravolgere regole e diktat imposti prima. Finalmente le arti minori o applicate e la decorazione avranno un posto accanto alla grande pittura e alla scultura. La spaccatura che si era aperta in seno alle Accademie delle città europee era stata anticipata o forse inaugurata dall’ampio clima di tolleranza e apertura dei Salon agli artisti stranieri. Forse questa sedimentazione è stata la causa scatenante che ha dato origine ai movimenti secessionisti. La mostra con numerosissimi prestiti, fa un resoconto lucido di questi fatti e presentimenti o atti coraggiosi che allo scadere del 19esimo e all’inizio del 20esimo secolo hanno cambiato lo status quo dell’arte. Tenendo anche conto di ciò che accadeva in Italia, l’esposizione accanto ai grandi nomi dei secessionisti stranieri come, appunto, Klimt, Vachal, Moser e lo scultore Klinger, ha esibito anche grandi figure di italiani come Casorati, Ferrazzi e Innocenti.
Anna de Fazio Siciliano
Critica, storica dell’arte e redattrice per prestigiose riviste di settore (Exibart,Art e Dossier, Finestre sull’arte) ha all’attivo numerosi articoli e interviste a galleristi (Fabio Sargentini), direttori di Musei (Anna Coliva) curatori (Alberto Fiz), vertici di società di mostre (Iole Siena, Arthemisia Group e Renato Saporito, Cose Belle d’Italia). Da tempo collabora con la Direzione della Galleria Borghese con la quale dopo aver prodotto una ricerca inedita sul gusto egizio ha svolto un lungo periodo di formazione. Nel 2015 fonda Artpressagency la sua agenzia di ufficio stampa, comunicazione, critica d’arte e di editing che sta espandendo e che ha visto collaborazioni notevoli con colleghi e musei, istituzioni su tutto il territorio nazionale (MaXXi di Roma, Biennale di Venezia, Zanfini Press, Rivista Segno, ecc.). Lavora come editor per Paola Valori e in qualità di addetta stampa scrive per le mostre di Studio Esseci, Arthemisia, Zetema, Mondomostre, ecc. Tra le pubblicazioni più importanti: “Margini di un altrove”, catalogo della mostra svoltasi nel 2016 a Siracusa in occasione delle rappresentazioni classiche, “History is mine _ Breve resoconto femminile ”: unico capitolo dedicato al genere femminile pubblicato nel libro “Rome. Nome plurale di città” di Fabio Benincasa e Giorgio de Finis, “La verità, vi prego, sulle donne romane”, indagine archeologica e figurativa sull’assenza nei luoghi delle donne nella Roma antica, per FEMM(E)-MAAM ARTISTE. Al momento, oltre all’aggiornamento di Report Kalabria, indagine sulle contaminazioni artistiche contemporanee nei luoghi archeologici in Calabria, si sta occupando di promuovere un progetto originale degli artisti Francesco Bartoli e Massimiliano Moro, anche dei linguaggi multimediali applicati a eventi espositivi. Gli articoli di Anna su Exibart.com