Il fuoco brucia, ma non gli artisti

di - 26 Gennaio 2016
Si è da poco spenta la Focara, monumentale pira di fascine accesa ogni 16 gennaio in onore di Sant’Antonio abate a Novoli, piccolo centro dell’alto Salento. Un rito antico radicato nella tradizione agreste, che nella dimensione collettiva di una città in festa si ripete con cadenza annuale richiamando folle di visitatori.
Non solo religione e tradizione, è anche arte, contemporanea soprattutto. Nel rinnovarsi della festa, il mito si combina al presente attraverso l’operato di artisti di fama internazionale invitati di anno in anno dalla Fondazione Focara, gemellata, a partire dall’edizione corrente, con la Fondazione Notte della Taranta, a capo dell’altra manifestazione salentina di notorietà internazionale. Anche quest’anno – forse più dei precedenti – il calendario di eventi è stato quanto mai ricco, tanto più sorprendente se lo si relaziona ai tempi ristretti di operato, dovuti al cambio di vertice della Fondazione presieduta da appena un semestre dal neosindaco Gianmaria Greco.
È dunque tempo di bilanci. Molti gli eventi promossi e gli artisti coinvolti, poche le sedi interessate, veri e propri punti nevralgici di una macchina culturale diffusa e complessa. Primo in ordine di tempo il Teatro Comunale, dove, in un convincente ensemble di arte e musica, sono andati in scena prima ConiglioViola, poi i Masbedo. Accomunati da un fare sperimentale ed eclettico, i duo si sono esibiti in performance convincenti, a tratti ipnotiche, i primi come autori delle scenografie dello spettacolo di Antonella Ruggiero, in un’opera d’arte totale incentrata sul tema della morte, i secondi in coppia con i Marlene Kuntz, in un parallelo tra sonorità acute e collage visuali, quest’ultimi composti da frammenti di vita sovrapposti ad immagini dipinte, con interventi pittorici e manipolazioni multimediali. Muovendosi sul banco di proiezione come fosse una consolle sulla quale mixare le immagini anziché i suoni, i Masbedo hanno esibito in videoarte, tra icone stranianti ed elementi verbali fuori contesto, l’estetica del particolare surrettizio carico di significati e reminescenze.

Spazio esclusivamente dedicato alle arti visive è il Palazzo Baronale, a pochi passi dal teatro, notevole esempio di architettura settecentesca da poco restaurato, impreziosito al piano nobile da “Sentinelle” di Jannis Kounellis, installazione permanente realizzata in occasione della Focara 2015. Nelle sale adiacenti si dispiega la mostra di Regina Josè Galindo e Gianfranco Baruchello (fino al 31 gennaio), a cura di Giacomo Zaza. L’artista guatemalteca esibisce in anteprima mondiale l’opera-video Nadie atraviersa la región sin ensuciarse, tratta dalla performance eseguita l’anno scorso all’Art Center South Florida di Miami. La sua esile fisionomia è totalmente immersa nel fango e i visitatori, per fruire dell’opera, sono stati obbligati ad attraversare la palude. Da questa spiazzante immagine deriva una sottile riflessione sulle insidie della terra, luogo della condivisione e dell’identità nazionale, ma anche di malefatte e discriminazione. Ciascun individuo è indotto ad entrare in relazione con essa, ad apprezzarne le virtù, a verificarne le insidie e ad assumerne i mali. Nella verticalità del rapporto, il corpo dell’artista funge da mediatore tra il portato memoriale del suolo e i legami sociali che s’instaurano su di esso. A Baruchello si devono invece Beaufort del 1970 e Colpi a vuoto del 2002, lavori-video distanti cronologicamente ma vicini sul piano concettuale, posti uno di fronte all’altro. Nel primo, l’artista toscano assume la scala di Beaufort, misura empirica dell’intensità del vento basata sullo stato del mare, come parametro per la verifica sperimentale dell’esistenza; allo stesso modo in “colpi a vuoto” utilizza le esplosioni di cariche a salve del cannone del Gianicolo di Roma come improvvise irruzioni spazio-temporali attraverso cui ristabilire il contatto con la realtà. Completano il percorso espositivo la personale “Il sacro, il fuoco” della pittrice Francesca Mele, direttrice artistica di FocarArte, e la mostra “Spazi della rivelazione” di Paola Mattioli, premio Focara per la Fotografia 2015.

Non solo opere video ma anche performance e installazioni per i due nomi di punta della Focara 2016, sempre con la direzione di Giacomo Zaza. Due interventi altamente simbolici volti a caricare il grande falò novolese di nuovi ed inediti significati senza però intaccarne l’ultracentenaria struttura. Baruchello, autore del manifesto d’autore tirato in sole 40 copie, ha immaginato la Focara come un baluardo di pace e unità, origine di riscatto per un mondo diviso che nel fuoco purificatore trova la forza per rinascere su nuove e più solide basi. Testimonianza oggettuale del pensiero dell’artista è il vessillo composto da 196 bandiere di tutto il pianeta, replicata in ottanta copie, portate in corteo e innestate sulla Focara. Un simbolo per la riconciliazione, per il superamento delle divisioni e il rispetto reciproco.
Regina Josè Galindo, invece, ha dedicato alla Focara una nuova, intensa azione performativa. Legata ad un palo ed eretta su una base di pietre simile ad una costruzione rurale, l’artista recupera il rito antoniano facendosi ricoprire di fascine. La performance, svoltasi in un podere rurale tra Novoli e Campi Salentina, rievoca i soprusi e le persecuzioni contro le donne. L’artista diviene fuoco che arde e purifica mentre le fascine, lungi dall’offendere, la proteggono dall’ostilità esterna, corazza naturale di un ritrovato eroismo.
Carmelo Cipriani

Nato a Terlizzi nel 1980, è giornalista, critico d’arte e curatore indipendente. Dopo la laurea in Conservazione dei Beni Culturali presso l'Università degli Studi di Lecce, si perfeziona sull'Arte del Novecento all'Università degli Studi di Bari. Già cultore della materia in Museologia presso l’Università degli Studi della Calabria e docente a contratto presso l’Accademia di Belle Arti di Vibo Valentia, ha condotto studi specialistici e curato mostre per Soprintendenze, istituzioni e musei.  

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