Carrara in occasione della consueta manifestazione Marble weeks ha presentato un panorama ampio e variegato di mostre e artisti contemporanei. Per più di due mesi (24 giugno – 11 settembre) la città è costellata di esposizioni e installazioni; anche quest’anno Parkour, la disciplina metropolitana nata in Francia all’inizio degli anni Novanta, è stata riproposta con successo così che una serie di gallerie, fondi commerciali sfitti hanno ospitato una ventina di mostre coinvolgendo artisti di vario genere compresi gli allievi dell’Accademia di Belle Arti.
Luciano Massari, curatore artistico di Marble weeks, al di là di queste proposte – per la maggior parte dedicate ad artisti giovani o meno giovani, ma comunque tutti quanti poco conosciuti che vale la pena sicuramente vedere – ha coinvolto artisti di altro genere per realizzare mostre e installazioni in luoghi cardine del tessuto cittadino.
Se il marmo è la materia principe per Carrara, Prasto, ovvero l’artista georgiano Vazha Mikaberidze da anni residente a Pietrasanta, interrompe questa tradizione e pone in piazza Alberica Monstrum, una enorme scultura in ferro e acciaio lucidato che ben si inserisce nella singolare e composta architettura dello spazio cuore del centro cittadino.
Remo Salvadori (1947) propone invece un vero e proprio tour per la città alla scoperta delle sue opere. Sulla porta della sconsacrata chiesa delle Lacrime in via Carriona l’artista interviene con un’opera site-specific di rara eleganza, essenziale e composta basata sulla forma geometrica del quadrato che ruotata di 90° e compressa si addensa a formare una sorta di struttura verticale posta al centro del portone principale della chiesa. Un’opera di difficile appeal ma coinvolgente ed enigmatica: vista da dentro è la luce che materializza l’opera, vista da fuori è il buio che la rende visibile, c’è insomma una sorta di ribaltamento. La tappa successiva per scoprire le opere di Salvadori è in piazza Duomo dove alla base della fontana del Gigante ha posto Continuo infinito presente, un intreccio circolare di fili d’acciaio che circoscrivono lo spazio della fontana – opera degli anni Ottanta replicata più volte e adattata ai luoghi in cui viene installata – mentre poco più in là si trova Non si volta chi a stella è fisso: parallelepipedi di marmo bianco composti in modo tale da formare una stella a otto punte. Salvadori ritorna sul tema del quadrato, che poi sta a significare l’elemento terra, in Nel momento, un grande pannello in piombo e rame con forme geometriche regolari, posta in un locale difronte alla fiancata del duomo. Infine nel cortile dell’Accademia di Belle Arti è possibile vedere Seme, ultima opera proposta dall’artista toscano.
Qui, nell’aula magna, è esposto anche L’ombelico del mondo di Daniel Spoerri. La grande installazione rianima la figura dell’unicorno e segna l’inizio del percorso all’aperto delle opere dell’artista francese protagonista del Nouveau Réalisme poste lungo l’asse di via Verdi – le altre sono La colonna democratica e La morte falciante – preludio per la grande mostra Daniel Spoerri. Una dura scelta a cura di Luciano Massari allestita al CAP (Centro Arti Plastiche).
L’esposizione propone una quarantina di opere che attraversano tutta la produzione dell’artista. Se l’assemblage è la cifra distintiva di Spoerri, qui sono esposti diversi tableaux- pièges (quadri-trappola), in sostanze le classiche tavole apparecchiate con gli avanzi di un pranzo, oppure gli oggetti di uso quotidiano, fissati sul loro supporto di base. Composizioni cristallizzate e ribaltate nell’orientamento che hanno caratterizzato tutta la sua produzione sin dagli anni Sessanta. Di assemblage si può parlare anche con La catena genetica del mercato delle pulci, un’opera del 2000, nella quale Spoerri crea una lunga composizione con una serie di oggetti acquistati nei mercatini delle pulci di tutto il mondo. Si tratta di oggetti molto diversi tra loro dalle scarpe usate alle maschere etniche, dai cappelli ai fiori secchi alle lampadine. Oggetti incongrui elevati a opera d’arte un attimo prima di arrivare al loro fine ultimo, cioè prima di essere dismessi e cestinati.
Clou della mostra sono però le quattordici tavole dell’ultima cena; qui Spoerri propone una serie di “lapidi” in marmo trattate con ossidi di ferro raffiguranti una tavola con i resti dell’ultima cena di alcuni personaggi storici di tutti i tempi: da Socrate a Duchamp, da Annibale a Proust, da Otzi a Goethe, da Rasputin a Freud. Su tutte spicca la cena di Gesù dove sono rappresentati il pane e i pesci.
L’aula magna del liceo artistico accoglie invece una suggestiva installazione di Maura Banfo (1969); l’ampio spazio a forma ottagonale lineare e squadrato contrasta le forme rotondeggianti e accoglienti de Il tempo dei luoghi, una sorta di grande nido in resina e zinco. L’artista con quest’opera realizzata site-specific porta avanti un discorso avviato già da un po’ di tempo che ha al centro il tema della casa, dell’intimità, evocando un luogo sicuro e protettivo.
Enrica Ravenni