Resta aperta fino al 25 giugno la mostra “Costruire il Novecento. Capolavori della Collezione Giovanardi” ospitata a Bologna nella prestigiosa cornice di Palazzo Fava – Palazzo delle Esposizioni, promossa da Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna e Genus Bononiae – Musei nella Città e curata da Silvia Evangelisti. L’appuntamento rinnova il taglio alto che l’Istituzione Bologna Musei ha inteso intraprendere: “Ospitare nelle splendide sale del piano nobile di Palazzo Fava (opere) che ben si addicono al profilo del Palazzo” nelle parole di Fabio Roversi-Monaco.
L’esposizione presenta l’intero nucleo della Collezione Augusto e Francesca Giovanardi, esposta per intero solo altre due volte, come affermano Paola Giovanardi Rossi e Cristiana Curti Aspesi. La collezione è costituita da novanta importanti opere dell’arte italiana realizzate a cavallo tra le Guerre, acquisite dall’illustre scienziato e docente di Igiene presso l’Università di Milano Augusto Giovanardi. La collezione è oggi vincolata dalla Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Un appuntamento da non perdere, essendo questa certamente una delle collezioni private più coerenti per nucleo tematico e raffinatezza stilistica.
Il principio curatoriale scelto fonda il suo volano nell’individuazione di tre macro-temi: Licini e Morandi. Un rapporto controverso, La pittura costruttiva del Novecento italiano: Campigli, Carrà, Sironi, Oltre la forma: il sogno e la terra. Una quarta sezione – Scultura lingua viva – fa da pendant alla mostra.
La prima sala è dedicata al confronto dei due artisti formatisi alla medesima Accademia di Bologna: Osvaldo Licini e Giorgio Morandi. Conosciutisi ai tempi degli studi accademici e insieme alla memorabile esposizione all’Hotel Baglioni, i due, dopo un primo periodo di affinità stilistiche si discostano nei linguaggi. In collezione Giovanardi questo stacco è ben rappresentato e ammirabile in tutta la sua sottile complessità. Se Morandi simula la densa materia atmosferica attraverso una connotazione spirituale, in Licini la tela vibra con accessi colori primari, in un’astrazione delle forme brutale e sperimentatrice. Mentre le rese cromatiche e le coordinate stilistiche di Morandi restano sostanzialmente invariate a cavallo degli anni Trenta, Licini subisce il fascino di Fausto Melotti e Lucio Fontana che lo porterà in quegli anni ad associarsi alla galleria milanese Il Milione, reinterpretando le istanze concettuali e cubiste attraverso una composizione più ardita.
E di densi cromatismi e intenti costruttivi è carico anche il pavese Mario Sironi, che apre la seconda sezione dedicata alla pittura costruttiva del Novecento.
Con la sua potente pennellata, saturo di un pastoso macadam, tratteggia corpi drammatici dai toni bituminosi, teatralmente posti in preghiera. Sironi traccia un poderoso richiamo ad una fede pittorica necessaria quanto difficile, tutta italiana. Possente nella superficie bidimensionale del dipinto rende il plasticismo dei corpi con ieratico rigore formale.
Carlo Carrà il secondo protagonista di questa sezione è qui presentato con alcune opere di oggettivo valore formale, che appartengono ad una produzione che segna cronologicamente il punto più alto della sua riflessione teorica: ogni opera è un cielo del cuore che attrae lo spettatore all’interno dei volumi solidi che pian piano perdono forza connotativa – evidente nei volti – in favore di un più alto vigore nella gestione delle geometrie compositive.
Superbi e quasi commoventi i Massimo Campigli in mostra in cui ben si coglie l’influsso etrusco delle stanze di Villa Giulia, l’arte bizantina e romana, cui l’artista subì il fascino. Adattatati a linguaggio pittorico più moderno qui trapassano nei drappeggi e nelle pose, nei figurini dai toni porpora, in una singolarità delle espressioni raffinatissima e davvero delicata.
La sezione Oltre la forma: il sogno e la terra presenta invece opere di Arturo Tosi, artista tra i primi ad entrare nel gruppo del Novecento le nature morte e i soggetti strapaesani di Ottone Rosai, le atmosfere vernacolari di Mario Mafai e le istanze metafisiche temperate da un accento lirico e tragico di Filippo De Pisis per arrivare alle discendenze chiariste di Pio Semeghini e al simbolismo Nabis di Cesare Breveglieri fino agli spartiti cromatici di Mauro Reggiani.
A latere della mostra la sezione Scultura lingua viva presenta un accenno all’arte plastica nei tre decenni nei quali si collocano le opere della collezione Giovanardi, provenienti dalle raccolte di Genus Bononiae: Arturo Martini, una rara scultura di Lucio Fontana oltre a opere di Fausto Melotti e Giacomo Manzù.
Nel complesso risulta assonante il profilo della collezione con i punti nevralgici che segnarono la storia dell’arte in Italia e che fanno della collezione Giovanardi un virtuoso esempio di mecenatismo, un aion culturale, un capitale spiccatamente solido.
Paola Pluchino