Un’occasione perduta per Luca Guadagnino, regista dotato di indubbio talento e sensibilità, autore del film Chiamami col tuo nome, in corsa per gli Oscar con 4 nomination. L’impresa di portare sullo schermo l’omonimo romanzo dello scrittore americano di origine egiziana Andrè Aciman, uscito nel 2007 e pubblicato in Italia da Guanda, era ardua e necessitava di una sensibilità cinematografica che pochi registi hanno (Luchino Visconti su tutti ma anche James Ivory e più di recente Ang Lee o Xavier Dolan). L’opera di Aciman, letta due mesi fa, è una sottile riflessione sulla passione del diciassettenne ebreo Elio Perlman, figlio di un professore universitario, per Oliver, il ventiquattrenne americano dottorando in lettere ospitato dal padre di Elio nella villa di famiglia sulla Riviera ligure. Oliver è bello e seduttore, e conquista il piccolo mondo che ruota intorno ad Elio: la madre, i domestici, alcune ragazze del paese intorpidito dalla calda estate del 1983. Suggestioni letterarie e filosofiche, i versi dei lirici greci e la musica suonata al pianoforte da Elio, enfant prodige dai molti talenti, animano giornate trascorse tra lunghe nuotate diurne e notturne, passeggiate tra gli olivi dove Claude Monet si ritirava a dipingere il paesaggio marino o sugli scogli frequentati da Shelley e Byron.
Una cornice intellettuale ideale per sconvolgere Elio, diviso tra i primi rapporti col mondo femminile e la passione per Oliver, apparentemente lontano e scostante, che fa da detonatore per speculazioni mentali e goffe esperienze fisiche. Finchè l’angelo-demone cede e condivide con Elio, sotto l’occhio per nulla turbato e quasi compiacente dei genitori, gli ultimi giorni d’estate, prima sulla Riviera e poi in un breve ma travolgente viaggio a Roma, dove Elio visita la città e prende contatto col mondo intellettuale degli adulti, in una serata tra salotti e piazze di una Capitale ancora animata da scrittori e registi d’avanguardia. Si lasciano per rivedersi molti anni dopo, entrambi adulti e professori universitari (Oliver si è sposato con una donna) col rimpianto di ciò che poteva essere e non è stato. Fin qui Aciman. E Guadagnino? L’Italia della riviera è stata sostituita dalla provincia lombarda (Crema e dintorni) dove Monet non venne mai e nemmeno Byron, e la villa affacciata sul mare è un casalone un po’ decrepito, dove vive una improbabile famiglia di universitari che non hanno quasi mai discussioni intellettuali ma piuttosto politiche (in una trasmissione televisiva compare perfino il giovane comico Beppe Grillo). Atmosfere dunque del tutto diverse: Oliver è un ragazzone americano bello ma insignificante, che sembra uscito dalle pellicole porno-gay del regista Lucas Kazan: il suo Hotel Italia può costituire un interessante paragone, con le scene di paesaggi e le musiche d’opera per riempire vuoti di dialoghi di una povertà imbarazzante rispetto alle sofisticate (anche se a tratti un po’ pesanti) elucubrazioni del romanzo di Aciman, trasferito a forza dal regista in un contesto diverso e assai meno evocativo. Qui il “posto” prediletto da Elio, dove bacia per la prima volta Oliver non è la collina dove Monet dipingeva gli scorci della Riviera ma un grande stagno di nessun fascino della “bassa” lombarda.
Il viaggio a Roma, così importante per il primo contatto di Elio con il mondo intellettuale dell’Italia dei primi anni Ottanta è sostituito da una gita a Bergamo, per passeggiare in montagna e vagare tra chiese e vicoli della Città Alta, dove Elio ed Oliver si incontrano con una coppia di fricchettoni dell’epoca. Peccato dunque che, nonostante il cast di buoni attori (Timothée Chamalet nei panni di Elio è veramente da Oscar) , Guadagnino abbia voluto semplificare troppo la storia tra i due ragazzi, privandola della componente intellettuale che la rendeva interessante, per andare verso un realismo facile, invaso da citazioni prese dai Maestri del nostro cinema (Visconti in primis ma anche Bertolucci e Scola). Non era facile trasferire sul grande schermo le atmosfere evocate da Aciman e in buona parte legate alla visione fiabesca e sognante dell’Italia colta dallo sguardo degli americani colti, ma l’eccessiva volontà di semplificare la storia per andare incontro ai gusti del pubblico ha reso il film un prodotto di qualità formale ma povero di contenuti di valore artistico in termini assoluti. Probabilmente un maggior rispetto della trama del romanzo avrebbe conferito al film un respiro più alto, avvicinandolo davvero ad un capolavoro. Così è un’opera di spicco considerando il livello medio del cinema italiano, senza però raggiungere i picchi di film come Loveless, Corpo e anima o Tre Manifesti ad Ebbing, Missouri.
Ludovico Pratesi