È raro vedere la mostra personale di un artista italiano in uno spazio museale basata su un’assonanza perfetta tra le opere e gli ambienti che le ospitano. Vittorio Corsini, protagonista della mostra “Tra voci, carte, rovi e notturni” alla Palazzina dei Giardini di Modena, è riuscito in questo intento, attraverso la costruzione di un percorso espositivo puntuale e rarefatto, ispirato al tema dell’interpretazione del paesaggio, centrale all’interno della sua ricerca.
Attraverso un costante dialogo con Marco Pierini, direttore della Galleria Civica e curatore dell’esposizione, l’artista presenta un gruppo di opere che scandiscono la visita come il pentagramma musicale di una sinfonia, passando da adagi a allegri senza soluzioni di continuità. L’ouverture è affidata a Risaia, un’installazione realizzata nel 1990 per la galleria l’Attico a Roma, ma mai esposta fino ad oggi.
Si tratta di un tracciato metallico appoggiato al pavimento che sorregge una serie di ciuffi di sottilissime barrette di vetro verde e nero, a ricordare una risaia aguzza e tagliente, sapientemente illuminata dal basso per far risaltare le cromie delicate degli steli traslucidi. Un esordio sintetico e minimale che precede altre due opere ispirate da elementi vegetali: Eros 10.5 ed Eros 10.7, intese come porzioni di natura che custodiscono scritte di neon colorato legate a momenti erotici, in grado di conferire alle foglie metalliche di macchie e canneti una luce artificiale, fredda e inquietante come allucinanti paesaggi virtuali.
La mostra prosegue con Paesaggio, uno dei lavori più rappresentativi degli ultimi felici esiti della ricerca di Corsini: si tratta di un grande disegno a parete con il profilo delle colline modenesi punteggiato da targhe con i nomi propri delle persone che abitano le rare abitazioni presenti sul territorio. Arricchisce l’opera la voce registrata dello scrittore Paolo Nori, che legge un testo redatto per l’occasione, improntato sulla solitudine dell’uomo nella città contemporanea. In una saletta buia, una lampada illumina dall’alto Geografia 2 una scultura-fontana di piccole dimensioni che raffigura una montagna aguzza in metallo, dalla quale scendono rivoli di inchiostro per raccogliersi in una vaschetta sottostante:un’opera sussurrata, alla quale avrebbe giovato una sostituzione del volume metallico con una struttura più leggera, in carta o tessuto.
Nell’altra ala della palazzina il pavimento della prima sala è occupato da Geografia, uno strato di segatura sul quale l’artista ha tracciato le linee di livello di un profilo montuoso, che vengono ridisegnate dai passi dei visitatori fino a scomparire del tutto, quasi a sottolineare la precarietà della nostra condizione di esseri umani che si confrontano con un ambiente naturale sempre più imprevedibile. «Mentre stabiliamo il contatto con il territorio e impariamo a conoscerlo, inevitabilmente cominciamo a trasformarlo», puntualizza Marco Pierini. Un contatto che si ammanta di una dimensione più intima, quasi poetica, nell’ultima sala, occupata da quattro dipinti della serie Sul finire dell’occhio, dove i monocromi vengono animati da un costola di luce colorata, uno spiraglio che ne rompe la profondità per suggerire la possibilità di instaurare una relazione emozionale con le rarefatte cromie proposte da Corsini.
È l’ultimo capitolo di una mostra armoniosa e felice, che sottolinea la capacità dell’artista di abitare lo spazio senza contraddirlo, ma esaltandone i volumi articolati e misurati, interpretati in questa occasione con rara maestria.