Il respiro dell’arte, in azienda

di - 11 Ottobre 2016
Elica è nata da un’intuizione: nel 1970 Ermanno Casoli, a Fabriano, costruì un modello di cappa aspirante per il piano cottura. Da quel momento in poi la storia è nota, e l’azienda  marchigiana è tuttora leader nel mondo nel settore dell’aspirazione, e continua non solo a raccogliere fumi per reimmeterli purificati nell’ambiente, ma sta anche insegnando a mezzo mondo come “respirare” meglio nelle proprie case.
E con successo, visti i risultati: mentre il mercato globale perde il 5 per cento, Elica è cresciuta del 26 per cento, stando alle analisi di mercato che ci racconta il Presidente Francesco Casoli.
Un’azienda leader nel settore, che negli anni si è posizionata dapprima come “terzista”, ovvero che ha fatto del B2B il suo punto di forza (la sigla che sta per “Business-to-Business”, ovvero che lavora per le attività di sviluppo di un prodotto commissionato da altre imprese, collocate in punti diversi della filiera produttiva), ma che oggi sta aprendo sempre di più alle dinamiche del B2C, ovvero il “Business-to-Consumer”, le relazioni che un’impresa commerciale detiene con i suoi clienti, in maniera diretta.
Perché questa premessa molto specifica? Perché nella sua specificità, Elica, occupandosi di “aria”, si occupa silenziosamente – visto che mai ci si pensa – non solo dell’ambiente in cui viviamo, ma di quell’elemento che permette la sussistenza ottimale della conservazione, del benessere; come hanno riportato alcuni slogan, Elica ha a che fare con l’AIRchitettura, ricordandoci che “Noi siamo quel che respiriamo”.

Così l’azienda produce un’aria ad arte, fatta da know how, di lunga esperienza, di ricerca, di domotica, di connettività. L’arte, invece, da sempre produce respiro sul mondo. Da questo presupposto, negli ultimi anni, il Premio Ermanno Casoli – nato per ricordare la figura dell’imprenditore – si è messo a servizio di aziende e imprese, in una mission diventata “sociale” senza le ombre dei social, ma coinvolgendo imprenditori, operai, famiglie, non tanto per ottimizzarne il lavoro ma per creare “spirito” di condivisione, di appartenenza, di squadra: per indicare, tramite l’aiuto degli artisti, un’altra via al lavoro. Senza dimenticare, però, che sempre di realtà aziendali si tratta, e che l’arte è utile per aumentare la produttività, utilizzando altre strade.
Mattia Molestini, Responsabile delle Risorse Umane di Farmaceutici Angelini, di Ancona, ricorda: «Se un individuo si sente parte integrante del suo gruppo di lavoro, elemento indispensabile per l’azienda, si riducono i livelli di stress, e il fenomeno dell’assenteismo viene ridimensionato di un terzo». Insomma si lavora di più, ma soprattutto si lavora meglio, in un’altra aria appunto.
Angelini, non a caso, è infatti l’azienda che quest’anno ha ospitato il vincitore della XVI edizione del Premio Ermanno Casoli, Andrea Mastrovito, sotto la supervisione del direttore artistico della Fondazione Casoli, Marcello Smarrelli.

L’artista, nato a Bergamo nel 1978, è stato scelto per la sua linea progettuale, e per la capacità di leggere i contesti, trasformando il pubblico in parte attiva alla realizzazione dell’opera d’arte.
E così Fondazione Casoli, con la società M&D che da anni è partner di numerose iniziative, è sbarcata alla Farmaceutica, per un workshop molto speciale che ha coinvolto più di 100 dipendenti dell’azienda, diventate le mani per la realizzazione di “Vitriol”, progetto sul quale si sono confrontati con artista, curatore e trainer dalla gestazione alla messa a punto di quelli che sono  sette interventi murali, realizzati proprio su una serie di pareti interne ed esterne nella “base” della ditta marchigiana.
Vitriol, acronimo che sta per “Visita Inferiora Terrae Rectificandoque Invenies Occultum Lapidem”, ovvero “Penetra nelle viscere della Terra e, percorrendo il retto sentiero, scopri la pietra che si cela ai tuoi occhi”, legato all’alchimia, ma anche alla massoneria, alla medicina e dunque alla farmacia, è nato proprio dalla volontà dell’artista di indagare poeticamente il processo chimico, ripercorrendo – disegnando, anzi, grattando e incidendo sui muri – miti, formule, personificazioni di quella immensa tradizione che ha come oggetto il “pharmakon” (φάρμακον), che in greco antico significa pianta curativa, veleno o droga.

Un’opera pubblica realizzata con la stessa “pelle” dell’ambiente che ospita l’intervento; un tatuaggio, «un’archeologia del luogo», come ricorda Marcello Smarrelli, o un processo scultoreo che libera la materia in un nuovo respiro. E, non in ultimo, una “scultura sociale” seppur realizzata con una comunità ridotta che ha preso infinitamente a cuore la causa, costituendo un “team building” che ora ha di fronte a sé, quotidianamente, il risultato di un nuovo affiatamento. «Mi è bastato disegnare il campo da gioco, le aree, i “fuori” e i “dentro” e poi gettare il pallone in mezzo al campo: lì i dipendenti di Angelini hanno giocato liberamente, restituendomi un risultato a dir poco incredibile considerando le difficoltà estreme di certe pareti», ricorda con metafora calcistica il grande tifoso atalantino Mastrovito.
L’arte così, ancora una volta, entra nella cultura dell’azienda, e non lo fa scardinando ruoli, rivoluzionando competenze, ma instillando – proprio come una medicina – un processo per ridefinire un effettivo stato di salute; una vitamina, un principio attivo utile per trasformare gli input derivanti dai processi creativi in comportamenti utili alle attività aziendali. «È uno strumento didattico di grande impatto perché conduce i partecipanti a creare qualcosa che prima non esisteva e che prende forma attraverso il contributo di tutti: la collaborazione assume così una sua forma specifica che esce dalla sua astrattezza teorica per rivestirsi di significati concreti e tangibili», spiega Piero Tucci, Senior Partner di M&D, trainer che si occupa da tempo della “facilitazione” dei rapporti tra artista e dipendenti.
E così i giochi sono fatti, respirando nuova aria. Sia in azienda che nella definizione dell’arte come strumento di partecipazione.
Matteo Bergamini

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