Il risveglio freddo di Milano

di - 29 Novembre 2013
Al Centro Pecci di Milano “Parole Parole Parole” è un bel guazzabuglio, nel senso buono del termine. È una mostra i cui 40 lavori proposti, che indagano le lettere nell’arte di oggi (e anche un po’ di ieri, visto che si parte da un decollage di Rotella del 1959), sono ottimi incontri con autori che sul linguaggio, nel senso lato del termine, hanno costruito un intenso percorso. Eppure ho qualche problema a stabilire il perché oggi si possa mettere in scena una mostra del genere: molti pezzi sono piccoli, piccolissimi, destinati a perdersi nel bellissimo spazio, divorati dal neon MIND® di Maurizio Nannucci, e da Lawrence Weiner che ci informa di Water with salt + water without salt, oltre ad Allan Kaprow, Leonardo Project, del 1999 e all’installazione di Guido Peruz. Ma ecco che mentre seguo con gli occhi proprio l’equazione di Weiner, inciampo in pieno in una lapide quadrata di marmo, messa a terra, che mi accoglie dicendomi Idiota. È un vecchio lavoro di Salvo, che in qualche modo è una rivelazione. Racconta che di fronte all’arte del lingua, probabilmente, siamo inadeguati. Studiamo l’arte perché vogliamo capire, seguiamo le opere per feeling con la parte buia del mondo, ma l’inciampo è continuo. Specie quando si pensa di conoscere, raggirati dal linguaggio.
Forse è per questo che da OttoZoo la Collezione di dubbi d’artista di Serena Vestrucci, riportati su un angolo della zona del magazzino della galleria, è a sua volta un progetto che dischiude lo spazio (e anche il tempo) delle parole. Che scadenza ha un dubbio? Cresce nel tempo, o viene estinto? Il fenomeno può aiutare a dissipare una domanda, a scioglierla nell’acqua di Weiner? Anche qui, nella personale della giovane artista “I eat lunch between two highways” Strappo alla regola, tela di 90 metri quadri e cielo stellato appeso al soffitto, è frutto di una sorta di misunderstanding guidato. Con oltre 300 bandiere dell’Unione Europea di forma e toni di blu differenti, completamente smembrate e riassemblate, Vestrucci ricostruisce un “disegno” che vive grazie a uno spostamento minimo, e nei registri di un altro linguaggio. Dunque l’altro linguaggio è quello dell’arte. Penso a una parola emblematica: alien. Straniero, immigrato, e anche heideggerianamente “bastardo”. Da Massimo De Carlo Steven Claydon, artista in scena anche a nella torinese Palazzo Cavour, una delle sedi di One Torino, con le sue Grid & Spike, tenta di racchiudere qualsiasi forma scibile della realtà in comparti precisi (come un vocabolario?) ma dei risultati ne avevamo già parlato durante Artissima, mentre Matt Mullican, con il grande progetto Stone video rubbing wire è decisamente impattante: una serie di lastre di marmo nero, incise, che fungono da matrice per la stampa, come in un antico processo calcografico, dei corrispettivi positivi su tela, appesi al muro.
L’odore di inchiostro è in effetti ampiamente percepibile, e anche qui si è vicini ad una sorta di raccolta di un vocabolario -a proposito!- personale dell’artista, dove una miriade di forme e simboli costituiscono l’insieme di regole, proibizioni, norme, gesti, attitudini, movimenti e tutti gli altri aspetti della vita umana racchiusi qui, più che in parole, in diagrammi di senso talvolta astrusi da decifrare. Cosa manca per chiudere? I vincitori di questa piccola parata milanese di una sola sera: Ida Pisani, che propone il dialogo tra Santiago Sierra e Jannis Kounellis, e che fa il pieno in galleria.
I protagonisti sono due pianoforti, il Nabucco (Kounellis) e la Marsigliese (Sierra). Accoppiata vincente, con l’artista spagnolo che “opera” in vetrina, mentre il grande Maestro greco-italiano che occulta dentro un immenso cubo di ferro e carbone un pianista in carne ed ossa, che ad una certa ora esce dalla struttura, lasciando tutto intorno un pienone vagamente stordito per una mostra che sfrutta un altro linguaggio per parlare di quella contemporaneità che mai come oggi sembra “solcare” l’Italia, con la caduta (come in un’opera, o una tragedia) di chi mai avrebbe avuto, in un Paese senza difficoltà di linguaggio, la possibilità di scalare tutti i vertici possibili.
Jana Sterbak, dopo l’incontro con le lettere, le immagini, i simboli e la musica, è il quinto tassello che parla la lingua di un corpo nelle declinazioni più scomode, dal gender all’assoggettamento a condizioni innaturali, e che diventa protagonista di un quotidiano che si riflette in Chair Apollinaire, poltrona del 1996 composta da una serie di fette di carne essiccate, sullo stile dell’abito che l’artista aveva proposto addosso a sé, negli stessi anni: Flesh-Dress. Una mostra asciutta e dirompente la personale dell’artista ceca, nata nel 1955 a Praga e di casa in Canada, da Raffaella Cortese. Che rafforza ancora una volta l’attenzione della galleria verso le “bad-woman” internazionali, in un percorso decisamente lirico e in grado di resistere all’attacco del tempo.
Dimentichiamo qualcosa? Si, Raffaello. Un’unica, immensa, grande tela alla Sala Alessi di Palazzo Marino, proveniente dai Musei Vaticani: la Madonna di Foligno.
Siamo impazziti? No, semplicemente se il fulcro deve essere Milano è forse bene sapere che tra le acque si agitano anche bellezze -minime in fatto di quantità- che mai si sarebbe creduto. E il famoso “regalo di Natale” di Eni alla metropoli, che ieri ha fatto sperticare Pisapia e l’Assessore Del Corno in conferenza stampa, è quantomai emblematico per raccontare la situazione di una città che, ancora una volta, sembra radunare eccellenze di tutti i linguaggi, dal Maestro del 500 al giovanissimo artista, passando per le Avanguardie, l’internazionale e i grandi Maestri contemporanei. Ma quel che ancora una volta sembra passare, però, è la sordina. Quasi ci si fosse abituati a tutto questo, quasi che i pochi che affollano davvero gli spazi dell’arte meneghini, soprattutto privati, bastino al proprio sostentamento. A ben guardare chi si lamenta dell’offerta attuale di Milano potrebbe essere tranquillamente tacciato dell’appellativo che mi ha riservato Salvo mentre urtavo la sua predella, ma sarà il freddo o sarà la mancanza d’abitudine (o forse davvero sono i troppi eventi concatenati?), Milano sembra essere congelata. Sappiamo che non è così, ma chi lo sa, insieme a noi?

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