Il sesso in una stanza

di - 19 Gennaio 2015
Quando la Venere di Urbino di Tiziano approdò a Firenze a seguito del matrimonio intercorso tra i Della Rovere e i Medici, venne collocata nella Tribuna degli Uffizi e coperta da un drappo per essere svelata solo agli occhi di pochi eletti. Il dipinto citato ancora nell’800 come osceno e volgare, poteva essere “consumato” dalla vista solo in circostanze privilegiate e intime. Ai limiti tra la pornografia e l’erotismo, la storia di questo quadro ci racconta il modo in cui l’arte si rapportava alle rappresentazioni sessuali: come una questione privata. Ancora, quando Giulio Romano realizzò la serie di disegni pornografici Modi, l’artista si mise in salvo a Mantova poiché ritenuto perseguibile dall’entourage romano. In ambedue i casi l’oscenità delle immagini rappresentate era controllata, se non addirittura proibita.
Oggi gli atteggiamenti sono cambiati e la facilità con cui si può accedere a materiale pornografico rende la tematica meno sconcertante. Tuttavia, la pornografia rimane sempre un fatto intimo, privato, individuale. L’arte – in questa mostra “Peonie” (progetto indipendente iniziato giovedì 14 e che si è concluso ieri, lunedì 19 gennaio), più che mai – è capace di trasformarla in un’esperienza visiva da condividere in pubblico e senza imbarazzo. Anzi, essa diventa il punto di partenza per affrontare tematiche culturali di vario genere: la mitologia, l’iconologia sacra, il rapporto tra sesso e potere e anche la storia del luogo che ospita la mostra, la cui scoperta ha generato tutto il progetto espositivo curato da Alessandro Cicoria, Giuseppe Garrera e Claire De Rien.
Le Scuderie di Viale Tor di Quinto a Roma sono state fin dall’800 il posto deputato allo scambio di posta dei cavalli e poi, dagli anni ‘70, un complesso dotato di vari ambienti per incontri proibiti a luci rosse. Quest’ultimo aspetto lo scopriamo nel lavoro di Alessandro Cicoria Le Scuderie, una sorta di reportage fotografico che svela “gli indizi” probatori ritrovati durante il sopralluogo negli spazi della mostra: una valigia e il suo contenuto fatto di oggetti da utilizzare per autoerotismo e libidini da condividere, falli plastici di varie fogge e colori. Tutti gli ambienti sono rimasti intatti nell’arredamento: stanze rivestite da soffici moquette rosse o blu cobalto, letti sovrastati da coperte e cuscini leopardati, pareti con specchi e boiserie, bajour dalle luci calde e soffuse, palmette sempre verdi. Un luogo che dì per sé evoca scenografie sessuali e che riesce ad accogliere naturalmente un corpus di opere di artisti diversi per generazione e linguaggio –Werner Buttner, Julie de La Mettrie , Giuseppe Desiato, Alessandro D’Ottavio, Flavio Favelli, Goldschmied & Chiari, Wade Guyton, Otto Muehl, Pierre Molinier, New Gentlemen’s Club, Albert Oehlen, Luigi Ontani, Giorgio Orbi, Fabio Paleari, Giuseppe Pietroniro, Daniele Puppi, Max Renkel, Mario Schifano, Aurel Schmidt, Fritz Schwegler, Timm Ulrichs, Louisa Van Leer, Lawrence Weiner– uniti nella tematica della pornografia, senza scadere nel blasfemo o nel volgare.

Paradossalmente, entrando nello spazio si avverte un’aura di sacralità che induce al silenzio o ai toni bassi. Prima tra tutte, la stanza dedicata ai lavori di Luigi Ontani è territorio atavico che mostra la pornografia vissuta dall’artista come atto performativo e rituale. Alcuni lavori fotografico-pittorici inediti svelano l’interpretazione di iconografie mitologiche dove la componente del gesto carnale o auto-erotico narra la ratio ancestrale di manie sessuali. La sacralità è presente in forma esplicita nell’opera di Giuseppe Pietroniro Estasi di Santa Teresa o in Giuseppe Desiato Napoli: in ambedue gli artisti non c’è volontà di blasfemia, piuttosto c’è il desiderio di sublimazione dell’atto sessuale attraverso il potere delle immagini della tradizione iconografica cristiana. Ed ecco che la pornografia diventa argomento di confronto, di indagine culturale in cui gli artisti indicano affinità e provocazioni riguardo ad una tematica tanto proibita, quanto universale.
Se nella serie di disegni di Julie de La Mettrie (pseudonimo di un misterioso artista) l’atto sessuale viene esplicato come una sorta di istruzione descrittiva per immagini, in tutti i lavori dove è presente la fotografia la carnalità dell’argomento arriva con più forza e immediatezza, lasciando poco spazio alla fantasia. Nelle polaroid – già di per sé oggetto intimo e istantaneo- di Mario Schifano c’è la sensazione di assistere ad una rivelazione in diretta; nelle immagini di Timm Ulrichs il “test” visivo è disarmante. Da che cosa è attratto l’occhio? Non certamente dalla riproduzione del quadro di Vincent Van Gogh, nome quest’ultimo che si può leggere nel titolo del lavoro, facendo vedere finalmente il quadro oltre alla coppia lesbo.

Queste immagini si possono sfogliare sui mobili sormontati da specchi, altre invece seduti su un divano alla luce di una bajour come la serie di foto di Daniele Puppi, materiale d’archivio che rivela l’aspetto chirurgico del lavoro audio-video-installativo Flesh, opera che sfocia nella ricerca plastica della sessualità femminile. Fino a qui si è data voce agli artisti uomini (in questo genere di mostra una valutazione sul sesso degli artisti è di particolare interesse) che ci hanno condotto nel percorso espositivo attraverso una narrazione a tratti poetica e a volte descrittiva o provocatoria, ma mai ironica. Con sottile sarcasmo, invece, il lavoro del duo al femminile Goldschmied & Chiari chiude questa disamine sull’eros con il lavoro Installation des Objects Du Dèsir dove la derisione sul fallo maschile lascia mettere in discussione le ragioni della pornografia.
Giuliana Benassi

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