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19
febbraio 2019
Illuminare la cronaca
Progetti e iniziative
Può la forza mirabile e espressiva dell’arte arginare gli errori dei “cuori di tenebra”? Prova a raccontarlo una mostra che porta un po’ di Castello di Rivoli alle OGR di Torino
Il progetto Cuore di Tenebra Castello di Rivoli@OGR.1. Può l’arte prevenire gli errori? ospitato presso il secondo binario elle Officine Grandi Riparazioni nasce da un’accurata riflessione sulla collezione della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT e dalla collaborazione di due istituzioni come Castello di Rivoli Museo per l’Arte Contemporanea e le OGR di Torino. La mostra, a cura di Marcella Beccaria, avvalora la forza narrativa di una collezione d’arte moderna e contemporanea come quella della Fondazione CRT al punto da rappresentare un racconto visivo capace di oltrepassare epoche differenti, incline alle mutazioni espressive, ricco di toni foschi e delle complessità del tempo presente. A volte la sinergia tra realtà virtuose porta con se risvolti inaspettati: visioni teoriche che aderisce perfettamente al contesto di un’architettura industriale in cui si cela il lato oscuro, piuttosto tragico della nostra civiltà: un incontrollabile crescendo di crudeltà ispirato al celebre romanzo omonimo di Joseph Conrad.
Installation view Cuore di tenebra, OGR Torino, Photo Andrea Rossetti
Il percorso inizia con l’opera Untitled (Senza Titolo) 1999 di Maurizio Cattelan, che rimanda a una tematizzazione del fallimento, della solitudine e della disperazione. Nel corso della performance inizialmente chiamata A Perfect Day (Un giorno perfetto), Cattelan rivestì di nastro adesivo il suo gallerista Massimo De Carlo, appendendolo al muro come si appende un quadro. L’immagine cruda e spettacolarizzata della condizione umana si presta, come sempre nelle opere di Cattelan, a molteplici livelli d’interpretazione. Il valore politico di un’opera come la Guernica di Picasso è lo specchio di The Nature of The Beast dell’artista polacca Goshka Macuga: un’indagine sulla potenza espressiva di un’immagine estremamente connotata, legata a una chiara fenomenologia del potere e a una serie di eventi fin dalla sua prima esposizione al pubblico, una ricostruzione al dettaglio degli interni della sala della sede delle Nazioni Unite, un busto in bronzo raffigurante Colin Powell nell’atto di dichiarazione di guerra all’Iraq, e sullo sfondo un arazzo che ritrae le foto del 2009 quando la stessa Macuga ottenne in prestito la Guernica per la riapertura della Whitechapel Art gallery. Struggente. La performance del duo americano Allora & Calzadilla. Il duo si alterna nella rappresentazione di una performance in cui il torso dell’artista viene inserito in un foro centrale di un piano Bechstein creando un unico corpo con lo strumento: l’opera diviene abitabile e medium in grado di attivare la memoria: a quel punto l’artista esegue la Sinfonia n.9 di Beethoven, intervallando melodia a percussioni sorde, perché l’oscurità ha bisogno di silenzio, e l’alternanza del gesto e del suono rievoca le immagini dell’olocausto, l’affabilità della nomenclatura nazista verso la musica sinfonica, intanto che Guillermo Calzadilla inizia a girare in tondo nella sala del “Duomo” portando con se il piano, lasciando un’aura brillante che si disperde fra le nicchie scrostate e fin su la capriata di quello che fu una città di acciaio, che ora rigenera l’ideale romantico dell’Inno alla Gioia, in un’esaltazione di bellezza e anacronismo nell’arte.
Installation view Cuore di tenebra, OGR Torino, Photo Andrea Rossetti
Ma vi è un fragore lontano dalla sinfonia e i silenzi del “Duomo”. In effetti è un rumore assordante quello che viaggia sul secondo binario con LAŠ (2008-2018), opera sonora di Roberto Cuoghi che rielabora Šuillakku (opera del 2008), rievocando lo sconquasso provocato dalla caduta della città assira di Ninive e i suoi superstiti in fuga. Ciò nonostante non tutto è ricordo di una passata civiltà. Pedro Neves Marques esplora inquietanti scenari futuri. La sua installazione video riflette sui possibili danni dell’ingegneria genetica riproducendo il dialogo fra un’androide indigena e una coltivazione di granoturco. Massimo Grimaldi riflette sulle differenze economiche e sociali fra popoli, fra l’occidente tecnologico e un Paese con un alto tasso di povertà e mortalità infantile come la Sierra Leone; mentre l’opera di Maria Thereza Alves, affascinante pannello scultura in ceramica, celebra un isperato e pacifico incontro fra culture.
Ritorno alle radici per l’artista libanese Mona Hatoum in Undercurrent (Red) (2008), forse la struttura con il sentimento più antitetico in mostra: un’indagine sull’elemento cardine della sua ricerca ovvero il tappeto, quale artefatto in tessuto nella visione comune, ma che nel suo caso specifico è composto da cavi elettrici nascosti da fili colorati alle cui estremità troviamo lampadine pulsanti. Una pratica singolare la sua, una soluzione che riesce a rendere “in-forma” le numerose accezioni legate all’idea dell’oggetto: quella dell’utilizzo nello spazio domestico, quella nomadica, quella commerciale, quella per la preghiera e quella inospitale circoscritta da luci intermittenti. Teresa Margolles, influenzata dai suoi trascorsi di patologo forense, registra in un’installazione sonora l’audio delle trapanazioni craniche nel corso delle autopsie delle vittime del narcotraffico. Nel caso della filosofa, psicanalista e artista visiva Bracha L. Ettinger la visione teorica sul genocidio nazista si avvale dell’estetica della superficie: la sofferenza dei corpi viene sintetizzata dall’annullamento dell’identità individuale manifesta nella sfuocatura dei profili sommersi da strati di pittura a olio applicati su una matrice fotografica nel corso del tempo. La storia e la crudeltà delle colonizzazioni viene rimodulata da Wael Shawky in Cabaret Crusades: The Secrets of Karbala (2015), opera a conclusione di una trilogia di film ispirati alla storia delle crociate, una revisione delle crociate dal punto di vista degli arabi. Un viaggio a ritroso nella crudeltà umana a testimonianza di come purtroppo alcuni drammi non risparmino neanche il nostro secolo: una visione cinica e narcisistica che si alimenta dell’oblio e della dissolvenza delle cose. Può la forza mirabile e espressiva dell’arte arginare questi errori?
Rino Terracciano