“Il disegno metafisico è quello risultante dal dedicarsi all’esercizio dei segni, come se questi fossero una preghiera”. Per Luciano Fabro il disegno è il fondamento di ogni opera d’arte, tanto da redigere una sorta di classificazione delle sue diverse tipologie, utilizzando modi e tempi dei verbi proprio per la sua assimilazione al racconto scritto, in cui, spiega l’artista, “si può essere brevi o dettagliati”. Un paragone calzante per introdurre “Intenzione Manifesta. Il disegno in tutte le sue forme”, l’interessante collettiva curata da Beatrice Merz e Marianna Vecellio al Castello di Rivoli, che riunisce 170 opere di 61 artisti , in una carrellata rapida e a tratti spericolata: da Pablo Picasso a Robin Rhode. «La pratica del disegnare – spiega Beatrice Merz – sovente in ombra e tenuta nascosta, è in realtà la base comune e condivisa di ogni esperienza artistica: si tratti di schizzo, progetto, oppure opera finita e densa di messaggi». Un assunto dal quale è scaturita l’intera mostra, concepita come un itinerario diacronico che attraversa il Castello, dalle sale dell’ultimo piano -molto adatte alla visione di opere che, per la loro stessa natura, richiedono intimità – fino alla Manica Lunga, dove è preponderante (ma non esclusiva) la presenza di artisti contemporanei, in una panoramica per exempla di notevole qualità e valore.
In primis per l’importanza – a tratti la rarità – dei lavori esposti, come Groma (1984-1989) di Luciano Fabro o My diary in a Shaker Village (1996) di Chen Zhen, frutto dello sguardo dell’artista cinese in un villaggio quacchero, che aveva paragonato alla “rieducazione in campagna” durante la Rivoluzione Culturale in Cina. La selezione dei maestri storici appare consapevole e rigorosa, con punte davvero sensazionali – indimenticabili Controluce (1910) di Boccioni e i due fogli dai tratti incerti e quasi impalpabili di Morandi – arrivando all’esperienza dell’Arte Povera, con una strepitosa parete di volti femminili aggrovigliati e iconici di Marisa Merz insieme ad una serie di 28 rari fogli di Pier Paolo Calzolari datati 1967, senza dimenticare Anselmo, Boetti, Mario Merz e Paolini (tutti egregiamente rappresentati, anche se si nota l’assenza di opere di Giuseppe Penone).
Un picco assoluto è la sala dedicata a William Kentridge, vera e propria summa dell’ intera mostra con tre proiezioni video: 7 fragments for Georges Méliès, accompagnati da Journey to the Moon e Day for Night, tutti prodotti nel 2003. Per Kentridge il disegno è un metodo per concepire animazioni dove la mano si trasforma in uno strumento poetico per dare vita ad un mondo che fonde in maniera mirabile realtà, fantasia e sogno, a differenza del suo conterraneo Robin Rhode, presente in mostra con due opere – la serie fotografica Apparatus (2009) e il wall drawing Paries Pictus-Twisted Cities del 2014 – che guarda al mondo della Street Art statunitense, con una punta di raffinata ironia dal sapore neosurrealista.
Nella Manica Lunga, caratterizzata dalla presenza forte del contemporaneo, spiccano gli inquietanti ritratti di Roberto Cuoghi, le interpretazioni geologiche di Boris Mikhailov e le visioni di Marzia Migliora insieme alle scene tratte da Monte verità di Andrea Salvino, caratterizzate da un tratto morbido e sfumato. Altre piacevoli sorprese? Gli acquarelli visionari e sognanti di Francis Alys, abbinati al film Watercolors (2010), dove vediamo l’artista realizzare un acquarello con le acque del Mar Nero e del Mar Rosso, che dialogano con gli Schizzi per Sculture di Thomas Shutte, sulla stessa linea crudele e dura delle visioni di Rosemarie Trockel, mentre su un versante poetico troviamo i disegni fatti con un laser verde da Mario Airò per cogliere la morbidezza del paesaggio alpino. Una strizzata d’occhio ad un’icona dimenticata della nostra storia politica con i volti di Gramsci tratteggiati da Alfredo Jaar, mentre la lettera di San Teofane Venard scritta a suo padre prima di essere decapitato, ricopiata dal padre di Dahn Vo è una testimonianza del valore della parola e della sua capacità di rimanere nel tempo.
Per concludere, riportiamo una frase di Keith Haring: «I miei disegni vogliono diffondere energia». In un momento difficile come quello che stiamo vivendo, mostre come questa sono una boccata d’aria pura, per farci riflettere su quanti pensieri possano rimanere fissati per sempre su un semplice foglio di carta.
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Bell'articolo, molto esauriente, ma non vengono rese note le date (inizio e fine) della mostra, quantomeno io non le leggo.
Cordiali saluti,
Evelina V.
la mostra termina il prossimo 25 gennaio