Incroci di intenti

di - 13 Gennaio 2019
Raggiungere la Galleria Continua a San Gimignano, al netto della magnificenza del paesaggio toscano e dell’incanto del borgo, presuppone sempre la voglia di quell’incontro unico con l’arte che solo lì può avvenire. Fosse anche solo perché ad ogni serie di mostre – mai, infatti, ne viene inaugurata una soltanto – è offerta la possibilità di esplorare le ricerche di grandissimi nomi, che qui sono di casa come Daniel Buren, Anish Kapoor, Antony Gormley o Michelangelo Pistoletto, e artisti magari meno noti al pubblico italiano, oppure giovani e giovanissimi, diversi per ricerca, percorso e provenienza ma tutti di eccezionale livello.
In galleria si concludono oggi tre mostre che abbracciano idealmente tutto il pianeta per convergere a San Gimignano: dall’Argentina di Jorge Macchi (1963, Buenos Aires) all’India di Shilpa Gupta (1976, Mumbai) fino al Giappone di Hiroshi Sugimoto (1948).
Jorge Macchi – Buried and alive 2018, bricks. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio
La mostra principale, “Suspension Points”, occupa interamente il vecchio cinema in cui ha sede la galleria, è la personale di Jorge Macchi, uno dei maggiori artisti argentini contemporanei: un percorso dal fortissimo impatto visivo e concettuale grazie alla densità degli stimoli che si sommano in ciascuna opera per risolversi in forme pulite, poetiche e a tratti ipnotiche. L’unione di musica, letteratura, cinema e storia innesca un incessante sovrapporsi di punti di tangenza, spesso inediti, tra l’esperienza del reale e una dimensione caratterizzata dall’incessante produzione di nuovi punti di vista e nuove possibilità di lettura e azione. Macchi ci ha accompagnato alla scoperta della sua mostra che si sonda attraverso sculture, dipinti, acquerelli, installazioni e due nuove collaborazioni con il musicista e compositore argentino Edgardo Rudnitzky, con cui l’artista lavora spesso. Una lunga chiacchierata in cui è condensata una vita dedicata alla sperimentazione, da cui vi riportiamo le parole dell’artista sulle due opere che, idealmente, aprono e chiudono il percorso espositivo e racchiudono un universo intero. Nell’approccio di Macchi, basato innanzitutto sull’esperienza diretta, per parlare della sua ricerca, è necessario partire sempre da un’opera. Il primo lavoro esposto è Suspension Points, un dittico che dà il titolo alla mostra e, composto da due acrilici su carta, rappresenta da una parte un edificio con i punti con i colori di base per la stampa e dall’altra una superficie bianca con l’identico numero di punti distribuiti sui quattro lati del foglio, un’opera che diventa occasione per capire il forte legame tra le opere visive e la musica, molto presente nel percorso dell’artista.

Jorge Macchi – Suspension Points installation view Galleria Continua, San Gimignano. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio
«Questo lavoro – ci ha spiegato Macchi – è iniziato dalla mia attrazione per le mappe stampate. Nella prima parte di questo dittico c’è la rappresentazione di una casa, nella seconda c’è la rappresentazione di qualcosa di simile a un’esplosione, ma non tanto della casa, quanto dell’immagine in sé. Qui si cela un elemento molto importante: è possibile descrivere un’immagine, mentre quando è “esplosa” o è stata distrutta viene meno la possibilità di “tradurla” in parole. Qui assume rilevanza la mia relazione con la musica, che è un linguaggio completamente formale e non è, quindi, possibile descriverlo. Credo che questa sia la ragione per cui lavoro spesso con la musica: mi dà la possibilità di lavorare con qualcosa che non può essere tradotto, ma ci si può relazionare solo attraverso l’esperienza diretta». E, in modo fluido, la mostra prosegue con la nuova installazione Waking hours in cui una serie di giradischi si attivano uno alla volta al passaggio del visitatore, producendo solo la parte di una sinfonia affidata ad un singolo strumento, eseguendo così un brano noto, ma completamente decostruito. Si prosegue, passando tra numerose opere, con la grande installazioni La noche de los museos con il tappeto e la lampadine presentata al Museo nacional de Bellas Artes di Buenos Aires nel 2016, che riflette su luce e ombra, c’è poi Buried and Alive, la parete con i mattoni sfasati che la rende una griglia anziché un muro, quindi Video MR, in cui l’aumentare progressivo dei fori su una traccia distrugge la sinfonia prodotta da un carillon. I lavori si basano su continue sfasature che ridefiniscono letture, spiazzano concetti basilari e aprono a nuove idee e nuove possibilità. Tra queste Portal l’opera che, idealmente, conclude la mostra: al centro di una piccola stanza è collocata una cerniera lampo reale, leggermente aperta nella parte superiore, irrigidita in posizione verticale e “alta” quanto una persona adulta. «Questo lavoro – ci ha raccontato Macchi – è nato come un disegno, ma mi interessava farlo diventare reale: c’è un’importante relazione tra l’altezza del lavoro e la statura del visitatore, che è circa la stessa, quindi se fosse permesso si potrebbe passare attraverso la zip. Da un punto di vista visivo l’opera è molto semplice, ma contiene in modo evidente la “possibilità di altro”, di un altro spazio, un’altra dimensione. Amo i lavori in cui si percepisce che l’oggetto o l’immagine sono la chiave per possibilità molto più complesse e articolate».
Shilpa Gupta – Untitled 2017-2018, polymer resin, wood, 135 x 84 x 91,5 cm, Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio
E una nuova dimensione è immediatamente a portata di mano, con le altre due mostre negli imprevedibili spazi della galleria di cui è costellata San Gimignano, dalla “cisterna” dove si trova la mostra di Shilpa Gupta all’ultimo piano di un palazzo, sopra all’hotel Leon Bianco, in cui sono allestiti i lavori di Sugimoto. La mostra di Gupta si articola in tre opere che catturano lo spettatore nella dimensione partecipativa e di dialogo con il pubblico che caratterizza il lavoro dell’artista da oltre vent’anni. La sua poetica che procede attraverso una costante riflessione sulla forza degli apparati repressivi statali, sull’ingannevole idea di consenso pubblico e sulla seduzione dell’omogeneità sociale trovano una potente sintesi nella rivisitazione della seria fotografica dell’artista Do not See Do not Hear Do not Speak: una bianchissima scultura, Untitled, realizzata per la mostra, che ricorda una drammatica reinterpretazione del tema classico della tre Grazie, dove tre busti di donna, in cerchio s’intrecciano, nascondendosi a vicenda occhi, orecchie e bocca.
Hiroshi Sugimoto, The First Encounter – Italy through eyes of Hiroshi Sugimoto and Tensho Embassy installation views Galleria Continua, San Gimignano, Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio
Nella mostra “The First Encounter Italy through eyes of Hiroshi Sugimoto and Tenshō Embassy” si alternano, invece, note fotografie dei teatri di Sugimoto, a quelle di un nuovo progetto fotografico, nato da un’ispirazione giunta all’artista nel 2015, quando al Teatro Olimpico di Vicenza, un dipinto gli ha portato alla mente “Quattro ragazzi di Tenshō Embassy”, la narrazione del viaggio di quattro futuri religiosi giapponesi in Europa nel Sedicesimo secolo. Sugimoto ha voluto ricostruire il percorso fatto in Italia dalla spedizione, fotografando edifici già esistenti quando il viaggio fu compiuto, come la Torre di Pisa, il Patheon di Roma e il Duomo di Siena.
Il 26 gennaio a San Gimignano la galleria Continua muterà nuovamente, con il ritmo incalzante e vulcanico che la contraddistingue, e aprirà lo sguardo dei visitatori su nuovi mondi con quattro nuove mostre: Nikhil Chopra con “Drawing a Lone through Landscape”, Ilya & Emilia Kabakov con “The Eminent Direction of Thoughts”, Giovanni Ozzola con “Octillion” e Nari Ward con “Down Doors”.
Silvia Conta

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