La mostra, a cura di Giampiero Sanguigni, architetto progettista, critico e storico dell’architettura, in collaborazione con l’architetto e docente Marco Brizzi, continua il dialogo che ha visto l’Olanda protagonista nel 1991 e nel 2005 al Centro Luigi Pecci. C’è da augurarsi che l’evento non voglia dichiarare o affermare solo se stesso come esperienza progettuale e formulazione d’intenti a solo uso “accademico” ed espositivo, ma provochi un confronto, anche in Italia, tra la volontà della politica e la progettualità dell’architettura e l’espressività dell’arte visiva.
TRIGGERING REALITY (Innescare realtà), proponendosi con una matrice profetica e sintomatologica, ha il suo fulcro nello sguardo, uno sguardo critico sulla realtà – la società, l’individuo, il quartiere, la città, l’ambiente, l’economia – e riflette sul “da farsi”, sulle potenzialità del già esistente, non limitandosi al valore della funzione di una singola disciplina, riconoscendo al fare creativo il solo non centrarsi sul prodotto, ma anche sull’esperienza.
Il percorso espositivo inizia con un’installazione dello studio Onix che da vita ai propri progetti architettonici utilizzando materiali naturali non trattati, privilegiando soprattutto il legno come tipicità della regione dove si trova a operare, Groningen. Naturing architecture è un intervento che condensa i propositi dello Studio, realizzato con tronchi e radici di alberi lavorati nel rispetto della plasticità della forma originaria, accuratamente scelti durante una passeggiata nel bosco, come recita la memoria scritta di pugno sulle pareti della sala espositiva. Reperti unici e universali di una natura che è madre, madre terra come fonte (in)esauribile(?) che cede il necessario alla vita.
Teoria, concretezza e fantasia per definire Nio Architects, o meglio, Maurice Nio al quale è stato commissionato l’ampliamento del Centro Pecci, i cui lavori termineranno entro l’anno. Capace di far dialogare l’esistente con il nuovo, infettare il soffice con il duro – per dirla con parole sue – il virtuale con il reale, l’intelligenza con la stupidità, partecipa all’evento con una grande installazione di lastre di ferro sulla cui superficie campeggia la frase Walk with me. Presenza visiva significante, esorta a conoscere, a scoprire altri mondi e andare oltre le schematizzazioni acquisite, provando interesse per teorizzazioni estetiche sempre coerenti con il proprio tempo.
I modelli in scala 1:1 realizzati da Dus Architects negli spazi pubblici di città olandesi, sono prototipi architettonici, habitat comunitari di una città percepita come laboratorio sociale. Il Bucky Bar tra lezione costruttivista e concezione situazionista, è ciò che resta dell’esperienza di un padiglione abusivo, temporaneo pertanto, ambientato nel centro di Rotterdam e dotato di bar e DJ set, risultato di una performance collettiva aperta a tutti i cittadini, ha vissuto nel breve spazio di una notte, “condensando” nuovi e diversi rapporti sociali.
Anche per Haas & Hahn la città è il laboratorio sociale dove promuovere il tema del “cambiamento” e lo fanno realizzando dipinti come il progetto Philly Painting presentato in mostra, o pitture murali che conferiscono nuova condizione estetica a scenari metropolitani degradati, coinvolgendo gli abitanti di un quartiere in un’azione che implica indissolubilmente l’ambiente e la soggettività umana che lo vive. Il cambiamento è riorganizzazione, è aspettativa di futuro da un punto di vista mentale, emotivo e relazionale e fa parte dell’esistenza, ma quando ciò non avviene, i dubbi, le paure rendono vulnerabili e l’esser-ci è permanenza senza speranza.
Il contesto del quartiere a luci rosse di Amsterdam è il soggetto della ricerca dello studio Boundary Unlimited (Over the Red Light District). Storia, territorio, interessi economici hanno segnato il percorso di studio che ha dato avvio a due distinte proposte di riqualificazione del quartiere, entrambe convergenti sulla necessità di far coesistere differenti realtà: economiche e abitative, oltre quella già in essere, mono-funzionale, del sesso a pagamento.
Una proiezione multi schermo è Any other Business dell’artista Nicoline Van Harskamp che nei suoi lavori tende a un impegno socio-politico. Operando con la parola, ri-scrive testi di dibattiti, di discorsi, di dichiarazioni, attingendo anche a materiali d’archivio. Nel trascriverli attiva processi di sintesi, costruendo così gli script per i suoi video e le sue performance: realtà inventata e artificio realistico tracciano un lavoro il cui fine è far emergere lo stereotipo nel lessico sia della politica sia delle personalità che hanno un riconoscimento pubblico.
Tra scultura e architettura la monumentale installazione site specific di Wouter Klein Velderman, Ivory and Pride. In sé, la precarietà di un materiale deperibile come il PVC che riveste la forma di una longarina dall’equilibrio instabile, sormontante uno sull’altro dei tavoli con macchine industriali da cucito, sostiene il concetto di un’opera che coniuga cifra personale e memoria collettiva di un luogo, Prato, per conferire all’installazione la funzione di percezione di un vissuto che ormai è storia.
Le installazioni site specific dell’artista Krijn De Koning per le modalità costruttive, si propongono come provvisori luoghi di transito in cui diversi codici si sovrappongono: dal plastico all’architettonico, dal progettuale all’oggettuale. Una continuità significante, come dimostra anche l’intervento al Pecci, 5 spaces. Work for the Pecci Center, che nella fuga delle prospettive indirizza il fruitore a tornare sui suoi passi, a rivedere, a relazionarsi con l’esistente e l’intervento temporaneo.
Anche Anne Holtrop e Bas Princen si confrontano con l’esistente, spesso con allestimenti effimeri insediati in spazi aperti, nel verde, per pochi mesi. Tra loro, competenze diverse che occasionalmente s’incrociano. Artista di architetture Anne Holtrop, artista che opera con la fotografia Bas Princen: tridimensione e bidimensione, modello architettonico e rappresentazione. In mostra tre interventi installativi: A Tower & Temporary Museum (Lake), Batara e Reverse Landscape realizzati con materiali differenti così come differenti risultano i temi affrontati, ma sempre “forme” in dialogo con l’ambiguità dello sguardo fotografico.
Al termine del percorso espositivo la scultura WWI di Atelier Van Lieshout, realizzata in fibra di vetro che condensa in sé arte, architettura e design. Oltre che una vera e propria scultura, l’opera appare come una scenografia, costituita nel suo tutto da due figure umane e da un cannone indissolubilmente uniti tra loro. Cannone come arma che decreta potere a chi ne fa uso, una risorsa per sopravvivere secondo Joep Van Lieshout, perché, come egli afferma, una volta esaurite le scorte, assisteremo ad un inasprimento delle relazioni tra gli uomini e ad un incremento dell’istinto di sopravvivenza. Ciò che potrebbe prospettarsi è una nuova organizzazione tribale, in cui gruppi di persone inizieranno ad autogestirsi come tribù invece che come nazionalità, e chiude la propria riflessione con un interrogativo: questi radicali cambiamenti saranno un bene o un male, porteranno alla violenza o a una società migliore?
Le componenti multiple che caratterizzano la mostra – cinque artisti e sei architetti attivi in Olanda – nel presente dell’evento espositivo, si relazionano e si compenetrano, dando luogo a confronti diretti, ambigui, fondando l’idea che l’esperienza estetica, soprattutto nell’attualità di una profonda crisi economica che mette in discussione il modello capitalista occidentale, potrebbe, sotto l’egida dell’emergenza, far scattare rapporti e riferimenti fino ad oggi non consueti, privilegiando il pensare speculativo e rimediando al distacco tra architettura, arte e società civile.
Più in generale, l’espressione creativa è indispensabile oggi più di quanto non lo sia mai stato nel passato, per creare, attraverso la manipolazione dei significanti, quella tensione giusta per produrre emozione e, magari, anche qualche significato.
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