“Letdown” è una delle numerose mostre che hanno inaugurato durante la frequentatissima art week torinese, la settimana dell’arte che si svolge a novembre e che coinvolge, attorno all’evento centrale della città, Artissima, il vasto circuito di istituzioni, musei, fondazioni e gallerie di Torino.
Accanto a questa personale su Sanya Kantarovsky (Mosca, 1982), la Fondazione Sandretto ha proposto anche un’altra importante mostra realizzata in collaborazione con OGR-Officine Grandi Riparazioni, dal titolo “Come una falena alla fiamma” (Like a Moth to a Flame), un imponente progetto espositivo curato da Tom Eccles, Mark Rappolt e Liam Gillick e che mette in scena opere e oggetti che la città stessa e i suoi residenti hanno da sempre collezionato.
Ma alla Fondazione Sandretto, Kantarovsky (fino al prossimo 25 febbraio) è il vero protagonista. Una mostra asciutta ma potente, poche ma grandi tele dipinte occupano a tutto tondo le pareti della sala espositiva in un sincero dialogo tra le architetture dello spazio e quelle descritte nei dipinti. Queste ultime sono la raffigurazione delle decadenti case popolari della città di Khrushchyovka. Una realtà di cui Sanya testimonia l’emergenza abitativa e la conseguente frettolosità con cui il governo cercò di riparare con il risultato di case poco sicure e in stato pericolante.
Installation view, Letdown, 2017 Fondazione Sandretto Re Rebaudengo
A corredo di questo dialogo tra opere e architettura, un gruppo di tartarughe d’acciaio, le cherepashki, accentuano l’impressione di trovarsi in un contesto cittadino, in uno spazio aperto dove i quadri, come finestre aperte, permettono allo spettatore, in maniera quasi voyeuristica, di scoprire scomode verità domestiche.
Le origini russe del giovane artista si colgono subito osservando le opere esposte: imponenti soggetti figurativi dai toni freddi, a evocazione di un clima, di uno stato interiore angoscioso e sofferente. Sanya è nato a Mosca nel 1982 ed emigrato negli Stati Uniti da bambino, e nelle sue pitture emerge il ricordo di una realtà ormai lontana ma di cui sono vividi, come i colori con cui li descrive, i disvalori, le problematiche e il declino dell’Unione Sovietica.
Ma nei dipinti, oltre agli edifici, ai contesti urbani e paesaggistici, emergono figure umane colte nella loro debolezza, quasi private della loro anima. Sono corpi contorti, deformi, sottomessi, vittime di esperienze dolorose e brutali.
L’opera di Sanya odora di denuncia politica e sociale, e lo si percepisce anche dalla tecnica con cui queste tele sono lavorate. Strati di vernice applicati, cancellati o raschiati, e nella cui materica composizione si discernono scene narrative popolate da figure isolate e sinuose. Nella sua maniera, c’è il brivido e il terrore di un ricordo infantile come l’esigenza e il turbamento di volerlo liberare, di sviscerarlo e tramutarlo in presenza artistica.
Carla Ingrasciotta