Jean-Michel, l’enfant terrible a Parigi

di - 14 Novembre 2018
Jean-Michel Basquiat (New York 1960-1988), approda nella Capitale francese con una magnifica retrospettiva alla Fondation Louis Vuitton fino al 14 gennaio. Presentata in parallelo una mostra di Egon Schiele, a creare una sorta di confronto tra titani che non è tuttavia supportato da uno studio approfondito su eventuali affinità o differenze, tranne per le ricorrenze come il centenario della scomparsa dell’artista austriaco e i trent’anni di quello newyorchese.
Il doppio show ha ovviamente creato polemiche; tra chi sostiene la tesi della strategia di marketing, e chi invece si orienta su “opinabili associazioni”, nonostante un filo conduttore potrebbe dispiegarsi tra l’Espressionismo di Schiele e il Neoespressionismo di Basquiat.
Curate da Suzanne Pagé e Dieter Buchhart, queste due esposizioni seguono comunque percorsi separati, e noi imbocchiamo quello firmato dal radiant child della New York degli anni ’80.
Poesie, disegno, serigrafie e pittura, il lavoro di uno dei più importanti pittori del XX secolo si disloca lungo 2500 metri quadrati nell’edificio ideato da Frank Gehry, ripercorrendo cronologicamente il periodo che va dal 1980 al 1988 con oltre centoventi opere, che vengono dalla Fondation Louis Vuitton, dalla Broad Art Foundation, dall’Art Museum of the Americas, dalla galleria Enrico Navarra, e via dicendo. Inverosimilmente queste rappresentano solo in parte l’opera integrale dell’artista, data la sua incredibile prolificità. Geniale, creativo (e produttivo) faceva dell’improvvisazione, intesa nella sua accezione più contemporanea, uno strumento per ritrarre la realtà tout court, in atelier poi, ma inizialmente in strada – che ben conosce dall’età di quindici anni quando, scappato di casa, ci vive per un breve periodo.

Jean Michel Basquiat Irony of Negro Policeman 1981 c Estate of Jean Michel Basquiat Licensed by Artestar New York

Attraverso misteriosi aforismi firmati Samo© racconta l’America sui muri dell’East Village per spandersi poi a macchia d’olio nell’intera città. Frasi, enumerazioni e poesie che si mischiavano al caotico andirivieni della megalopoli, come The origin of the cotton, che senza attori per interpretarla, senza commentatori per spiegarla, rimanda alle piantagioni di cotone, alla diaspora africana e alla schiavitù, e perché no un clin d’œil al Cotton Club, il noto locale newyorchese che durante il proibizionismo ha visto passare i grandi talenti del jazz, e che vietava l’ingresso al pubblico di colore. L’artista marca la sua città con grafici e parole rievocando la memoria della sua comunità, per parlare della sua esistenza di uomo nero e libero sì, ma in un’America che ha difficoltà ad accettarsi in quanto Paese per eccellenza multiculturale.
“Io non penso all’arte quando lavoro. Io tento di pensare alla vita”, dichiarava l’artista. Partendo da quest’asserzione, si può dire che Basquiat è stato un testimone attento e critico della società. Vedi Defacement (1983), una tela dipinta in risposta alla morte dell’amico Michael Stewart, ucciso da un gruppo di poliziotti mentre disegnava graffiti nella metro newyorchese. Sognatore, provocatorio e progressista, le sue opere rimandano a ideali di non violenza, d’integrazione contro la segregazione e l’oppressione, ma anche contro l’avidità di impresari senza scrupoli, raccontati con St. Joe Louis Surrounded by Snakes (1982), che insieme a Cassius Clay (1982) e Untitled (Sugar Ray Robinson) del 1982, si trova nella sezione dedicata alle figure africane-americane di pugili e combattenti, ovvero gli eroi dell’artista.

Jean Michel Basquiat Untitled 1981 c Douglas M.ParkerStudio Los Angeles c Estate of Jean Michel Basquiat Licensed by Artestar New York

A questi si aggiunge Charlie Parker, tra i fondatori del bebop, che ritroviamo nella parte dedicata alla musica con Charles the First (1982) o CPRKR (1982), ma anche Horn Players (1983), Discography (One) del 1983 e Now’s the Time (1985). Queste opere, come ben altre, riportano corone e aureole, simboli dell’immortalità, l’artista sembra eternizzare e voler riabilitare la memoria dei suoi miti. Grandi e impressionanti sono i personaggi della serie dei profeti, in cui rivoluziona il concetto di ritratto, come nel qui presente Untitled (Prophet I). Si tratta di figure umane dal profondo tratto espressivo e dotate di un forte impatto coloristico, talmente vitali che sembrano bucare la tela. Tra il 1982 e il 1984 i prezzi dei suoi lavori salgono alle stelle, e da allora non sembrano deprezzarsi. Oggi come allora, quando si nomina Basquiat si parla in dollari sonanti.

Jean Michel Basquiat Untitled 1982 c Estate of Jean Michel Basquiat Licensed by Artestar New York

Poco tollerante davanti agli eccessi del mercato dell’arte, l’artista li critica sovente come in Five thousands dollars (1982), una tela che menziona solo il titolo su un fondo nero, dandone così un ipotetico valore di mercato. Nel 2016 avrebbe forse scritto 110,5 milioni di dollari su una tela? Che sono quelli che ci sono voluti al miliardario giapponese, Yusaku Maezawa, per portarsi via Untitled (1982), un magnifico teschio di 1,83 x 1,73 metri, realizzato con olio, acrilico e spray su tela, qui presente nella sezione Heads. Basquiat era uno che di pugni se ne intendeva, da quelli che ha dato a quella parte di parte di pubblico che lo detestava e lo invidiava perché attaccava direttamente le strutture del potere e i disvalori del razzismo, al dipinto Untitled (Boxer) del 1982, che raffigura un pugile nero in primo piano su fondo per lo più bianco riempito di graffiti, venduto fra l’altro per 13,5 milioni di dollari nel 2008, ai guanti da boxe che portava nella bellissima foto con Andy Warhol, locandina del loro duo show organizzato dai galleristi e mercanti d’arte Tony Shafrazi e Bruno Bischofberger nel 1985. Li ritroviamo qui nel ritratto Dos Cabezas del 1982, che segnò l’incontro tra i due artisti e l’inizio della loro breve collaborazione artistica. Figura rappresentativa della sua epoca, la sua energia creativa prendeva d’assalto tutto, dalle tele, ai muri delle strade, agli oggetti di consumo, dal frigorifero alle porte, ai pezzi di carta volanti, lungo i quali scorrevano le sue opinioni, la sua vita professionale e personale, come in un interminabile e fluente diario. Perché le sue opere sono autobiografiche, vedi Untitled (Car Crash) (1980), in cui rievoca l’incidente di cui è stato vittima all’età di sette anni, ma anche Riding with Death (1988), che sembra profetizzare la sua morte, qui nella sezione Unbreakable. L’esposizione raccoglie inoltre opere essenziali o viste raramente come Obnoxious Liberals (1982), In Italian (1983), Offensive Orange (1982) e Untitled (Yellow Tar and Feathers) del 1982, ma anche Arroz con Pollo (1981) che ha segnato la sua partecipazione a Documenta 7. La mostra proseguirà, dal 1 marzo al 15 maggio 2019, alla Brant Foundation che apre un nuovo spazio nell’East Village di New York, il quartiere che lo ha ispirato. Jean Michel muore a soli 27 anni entrando nel Club accanto a Jimi Hendrix, Janis Joplin e Kurt Cobain.
Livia De Leoni

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