La città osservante

di - 17 Giugno 2018
Una trama fitta di nuovi spazi, progetti e mostre proliferano in città attorno all’asse cruciforme che ne traccia il fulcro, oggi epicentro del suo incedere incalzante alla volta del contemporaneo. Fino a qualche anno fa, più che entro la soglia di un giardino planetario, l’arte muoveva per le strade strette dell’intricata struttura araba a cortili e vicoli. Strettoie, queste, di una città che non aveva ancora goduto della riorganizzazione urbanistica che negli ultimi anni le ha restituito bellezza, rendendola più conforme all’idea di giardino che di inesplorato approdo.
Succede a Palermo, tra il cardo e il decumano di un luogo dall’innata capacità di adattamento, che non si è mai del tutto piegato ai postulati di una marginalità geografica rispetto alle ricerche artistiche d’oltremare.
È infatti una città/osservatorio che ha guardato agli assetti “astrologici” del contemporaneo attraverso gli occhi di artisti e realtà atomizzate e indipendenti, che nel tempo hanno cercato di reindirizzare le sorti di una comunità che per indole tende ad affossare nella sua spesso evocata stasi inerme.
Se si parla dell’identità meticcia della città, oggi è davvero il momento in cui Palermo torna a riconfigurarsi come messe inesauribile di espressioni, afferenti non solo da culture mediterranee, ma anche nordeuropee.

Archivio N38E13, a cura di Ennio Pellicanò, N38E13, Palermo, ottobre 2017. “Wall” con opere dei venti artisti in mostra. Foto di Alex Astegiano

A tracciare le coordinate di un possibile spazio per l’arte contemporanea è già a partire dal 2013 N38E13, nato dal desiderio di Ennio Pellicanò di creare un’innovativa rete di ricerca e sperimentazione. Piattaforma di scambio tra artisti locali e internazionali, N38E13 sembra avere un’identità votata alle interconnessioni tra realtà indipendenti e alla collaborazione con istituzioni straniere (recentissima quella con il TOKAS, per una residenza di Alessandro Librio). Tra i molti progetti, DES-ASTRE ha visto Carlos Rivera impegnato nell’esplorazione di alcuni edifici-relitti di Palermo, segnati da un disfacimento che l’artista ha trasfigurato in mitopoiesi architettonica e mnemonica, consacrandone i reperti a trame di costellazioni indecifrabili.
La ricerca legata al suono è la cifra identitaria di VacuaMoenia, duo di artisti (Fabio R. Lattuca e Pietro Bonanno) che conduce uno studio sistematico sull’ambiente acustico dei borghi rurali siciliani abbandonati: casse armoniche naturali mappate nel tentativo di ricostruire una cartografia sonora del dimenticato, e raccolte in un archivio online dall’importanza inestimabile.
Lo stato di abbandono di edifici, paesaggi o lacerti di città, oltre ad alimentare quel certo sentimento “gattopardiano” legato a un’aura di fascinatoria decadenza, ha lasciato anche fermentare il desiderio di cambiamento rispetto alle contraddizioni di una città dalla sintassi scomposta, in cui il tempo sembrava essersi fatalmente arrestato entro i confini di un anacoluto senza prosieguo.
Mosso dall’urgenza di far fronte allo stato d’incuria dell’oratorio di San Mercurio, Adalberto Abbate ha ideato la rassegna Sacrosanctum, che è modello operativo virtuoso per la sensibilizzazione al tema della salvaguardia dei beni monumentali. Esente da circuiti istituzionali, con il solo sostegno dell’Associazione Amici dei Musei Siciliani, da due anni Abbate e Maria Luisa Montaperto curano un ciclo espositivo sul tema del sacro, che ha visto fino ad ora coinvolti ventisei artisti (tra cui Joseba Eskubi, Franko B, Sylvie Fleury, Francesco Simeti, Luigi Presicce). Tale iniziativa ha cercato con tenacia di sollecitare la partecipazione attiva della città e dei visitatori, richiamandoli ad un impegno etico e al dovere di responsabilizzazione nei confronti del patrimonio civico. Il contributo volontario del pubblico è stato infatti impiegato per la realizzazione di restauri e importanti interventi di manutenzione nei monumenti coinvolti.

Giovanni Sortino, Infinito Presente (Essere), installazione DITU, L’Ascensore, Palermo, 2016. Pittura fluorescente su muro e lampade UV. Foto di Fausto Brigantino

Ancora, L’Ascensore, fondato nel 2015 da Alberto Laganà con la collaborazione di Gianluca Concialdi è nato con l’intenzione di dare visibilità a giovani artisti italiani e internazionali. Lontano dagli stilemi di un tradizionale spazio espositivo, gli 8 metriquadri che ne delimitano l’area si presentano come una vetrina che si affaccia su strada per essere centro di approdo e indagine per artisti provenienti da fuori (tra cui Charlotte Herzig, Sarah Buckner, Mirak Jamal, Santiago Taccetti).
La città, che oggi vive una rinascita tangibile, è già da qualche anno nucleo di sperimentazione indipendente, officina di scambi internazionali operati dal basso e sollecitati dalle energie di artisti, curatori e appassionati d’arte. Molte le realtà da citare, spazi poliedrici come il Caffè Internazionale o Minimum, laboratorio, emeroteca, libreria, perimetro espositivo entro il quale far convergere ricerche legate alla fotografia.
Si è parlato, dunque, del proliferare di iniziative indipendenti negli ultimi cinque anni, che prosegue con vigore e ritmo febbrile sotto la spinta propulsiva di Manifesta 12.
DOM è lo spazio espositivo recentemente aperto da ONIBI, con una programmazione volta a promuovere l’attività di artisti locali: dopo la recente personale di Gianluca Concialdi, sarà la volta di Fabio Sgroi, de IL PAVONE e del festival OltreOreto, selezionato come evento collaterale proprio di Manifesta.

Sylvie Fleury, Sacrosanctum#4 (seconda edizione), a cura di Adalberto Abbate e Maria Luisa Montaperto, Oratorio di san Mercurio, Palermo, settembre-ottobre 2017. Foto di Renato Ghiazza/Adalberto Abbate

Approda invece a Palermo Cassata Drone, progetto ideato da G. Olmo Stuppia e curato da Giovanni Rendina. La cassata, assurta a simbolo delle stratificazioni culturali di Palermo, è associata in una crasi estetica all’immagine del drone, fuco e macchina, mezzo di controllo militare che, a discapito della comune percezione, sorvola instancabilmente il cielo siciliano. Cassata Drone ha temperamento composito: una sede espositiva; l’esperienza esplorativo-situazionista nell’area limitrofa alla base militare di Sigonella; i workshop con gli studenti dell’Istituto Commerciale Arenella a partire dalla performance The Party Wall di Corinne Mazzoli. Quest’ultimo costituisce un tentativo lungimirante di calarsi negli interstizi sociali in cui si possono ancora porre le basi per una presa di coscienza di realtà legate al proprio territorio, altrimenti spesso inaccessibili.
Senza volontà di delineare una storia romanzata, l’”arte di arrangiarsi” (per citare il film di Zampa) è la peculiare attitudine che scorre nelle vene di Palermo. Risulta tuttavia necessario parafrasare un’espressione il cui senso è traducibile nella necessità di trovare nuovi modelli di produzione e vie per la sostenibilità di progetti legati all’arte contemporanea (idea che ha animato il gruppo curatoriale artistico DimoraOZ).
Sotto l’usbergo della carenza di risorse economiche che caratterizza la ricerca artistica indipendente italiana, c’è una generazione, in città, che vive l’urgenza del cambiamento, della sostenibilità economica, che è impegnata in una “militanza culturale” cesellata di narrazioni di sopravvivenza, di fuga, a volte di estinzione.
Palermo è da qualche tempo una città che si addentra nel passaggio da uno stato minerale, fossile, a uno stato vegetale. O meglio arboreo. Nessun miglior termine per avvicinarsi al tema della biennale itinerante.
Giuseppina Vara

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