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La cultura produce ricchezza e occupazione. Il caso della Fondazione Federico II
Progetti e iniziative
La cultura non serve, interessa a pochi, è un costo, non rende…Non è così. La cultura dà da mangiare, la gente ama mangiare cultura, con la cultura si mangia. E lo dimostra con cifre, fatti e argomenti alla mano, Patrizia Monterosso, direttrice della Fondazione Federico II di Palermo. L’abbiamo intervistata per conoscere la ricetta della sua “cura” che ha fatto della fondazione del capoluogo siculo una best practice nazionale di management dei beni culturali, restituendo una nuova stagione di splendore al Palazzo Reale, detto anche Palazzo dei Normanni, patrimonio dell’UNESCO, simbolo della stratificata e multiforme identità siciliana.
Quale Fondazione ha ereditato e come l’ha trasformata?
«Non mi piace parlare di quello che ho trovato. Preferisco ripercorrere le azioni che da subito ho voluto mettere in pratica, avendo fissato un obiettivo: esprimere tutto il potenziale della Fondazione Federico II, capace di diventare da semplice gestore museale a propulsore culturale».
Come?
«Costruendo micromondi in grado di espandersi costantemente in chiave locale e globale, “glocal” per usare un termine attuale. Quando penso alla Fondazione Federico II, mi viene in mente il famoso effetto farfalla secondo cui ogni minimo battito d’ali di una farfalla è in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo. Con le piccole azioni quotidiane siamo cresciuti in modo esponenziale. Abbiamo lavorato principalmente in due direzioni: trasformare una semplice visita del Complesso Monumentale di Palazzo Reale in una vera esperienza culturale e interattiva; rendere il palazzo costantemente vivo e pieno di energia grazie a mostre prodotte ex novo e ad eventi, focus con grandi esperti di livello internazionale, inviti alla lettura di libri selezionati. In fondo, questo Palazzo ha rappresentato storicamente la fabbrica delle idee per antonomasia. È doveroso mantenerlo tale».
Come ha trasformato Palazzo Reale, conosciuto anche come Palazzo dei Normanni, da contenitore culturale ad attrattore culturale?
«Non esiste una ricetta predefinita, ma abbiamo sin da subito considerato l’inserimento di Palazzo Reale nel Patrimonio dell’Umanità Unesco come un punto di partenza. Non sempre accade. Abbiamo agito allora su più fronti, partendo da un presupposto fondamentale: ripensare l’accoglienza del visitatore e soprattutto riconsiderarlo quale “cittadino-viaggiatore” che desidera accrescere le proprie cognizioni sul patrimonio culturale italiano. Dobbiamo soddisfare la curiosità stimolandola a ogni passo, questa è la vera sfida. Per fare questo era necessario realizzare l’accoglienza dall’ingresso principale. Per anni il Palazzo ha voltato le spalle alla città e ai visitatori.
Dal 2018, invece, il Palazzo torna a guardare il Cassaro, cuore pulsante della città e asse viario costitutivamente correlato al “Castrum Superius”, ossia Palazzo Reale. Dopo più di cento anni, infatti, è stato riaperto nel giorno dei festeggiamenti della patrona della città, Santa Rosalia, lo storico portone vice regio di Palazzo Reale che insiste su piazza del Parlamento. Con la stessa concezione, abbiamo ripristinato il suggestivo tunnel medievale, grazie alla riapertura del tratto infelicemente murato intorno al 1930. Così i viaggiatori oggi vivono l’emozione di accedere al Cortile Maqueda direttamente dal tunnel, come accadeva nel Medioevo. È possibile, inoltre, attraverso un corridoio, giungere direttamente alle Sale Duca di Montalto che ospitano le mostre.
È stato solo l’inizio. In poco tempo abbiamo riaperto anche gli splendidi Giardini Reali che rappresentano ciò che rimane del cosiddetto Genoardo, il giardino delle meraviglie del periodo arabo-normanno. Abbiamo reso fruibile la magnificente Sala di Re Ruggero nonché l’intera Torre Pisana, compresa la Sala del Trono. Per non parlare della nuova area archeologica».
Tra le azioni che ha impresso, infatti, mi ha molto colpito proprio l’aver riportato alla luce il percorso archeologico in una porzione del Palazzo dove, per un periodo nefasto di Palermo, si svolgevano mere attività logistiche…
«È stato un lungo e duro lavoro che proietta nella storia delle origini puniche di Palermo. Vogliamo offrire uno sguardo d’insieme sul Palazzo che è un complesso di stratificazioni storico-culturali, proponendo un allestimento comprensivo di reperti che sono testimonianza del periodo punico, islamico e normanno svevo. Un segno tangibile delle modalità con cui diverse culture hanno vissuto Palermo e il Palazzo, la cui eredità è la bellezza che abbiamo tutti i giorni sotto gli occhi. Non a caso l’area archeologica si chiama ‘Radici ritrovate’. Palermo svela i suoi misteri sotterranei all’insegna della fruibilità, con una ricca collezione di reperti affiorati proprio da queste fondamenta. A cominciare dalle vestigia puniche della città, risalenti a 25 secoli fa».
Lei ha preferito all’acquisto delle mostre “a pacchetto” blockbuster, progetti espositivi ideati e prodotti internamente in ogni loro fase, catalogo compreso. Qual è il bilancio di questa strategia?
«Io credo che questo sia un prezioso valore aggiunto che ci ha fatto crescere molto. Possiamo dire che l’impegno costante e la serietà dell’obiettivo siano stati ripagati. Sarebbe stato facile comprare una mostra pronta e rivenderla ai nostri ospiti.
Invece abbiamo scelto di dire no al mercimonio delle mostre, al “mostrismo” che gira intorno ai siti culturali e che riduce la cultura in briciole. La mostra è un fatto culturale, ogni messaggio culturale è anche un messaggio sociale. Mi sono ritrovata a dire di no a mostre di arte antica o contemporanea che mi venivano presentate già pronte “in valigia”, che non partivano dalla valorizzazione di un sito come Palazzo Reale. Non essendo concepite con un obiettivo preciso, non narravano neanche l’eventuale grandezza dell’artista che proponevano.
Con questo modello siamo cresciuti passo dopo passo e adesso, ne vado orgogliosa, siamo in grado di dialogare già nella costruzione della mostra con i grandi artisti della scena internazionale».
Dalla sua esperienza gestionale possiamo dire che la cura porta una “cura culturale” ma anche economia concreta con numeri significativi. Quali riforme consiglierebbe al prossimo assessore alla Cultura della Regione per fare della cultura il volano economico dell’isola?
«L’assessore ai Beni Culturali non ha bisogno dei miei consigli. Si dà per scontato che abbia una visione e una strategia sulla proposta culturale e la valorizzazione del patrimonio artistico e monumentale. Senza dubbio, occorre intervenire drasticamente sui servizi aggiuntivi. È il sistema che non funziona. Lo dicono i fatti. C’è un problema di revisione della legge nazionale, ma anche di impostazione dei bandi regionali di affidamento».
Il bookshop di Palazzo Reale fa oggi numeri di fatturato molto importanti rispetto alla media di quelli museali italiani. Possiamo dire che il segreto consiste in innovazione, qualità, continua ricerca?
«Torniamo ai servizi aggiuntivi. Oggi nei bookshop gestiti dai cosiddetti servizi aggiuntivi si trovano spesso gli stessi prodotti, come fossimo all’interno di una catena, di un franchising. Piuttosto slegati dal resto, se non per qualche souvenir. Il bookshop deve respirare l’identità culturale del luogo in cui si trova e cambiare pelle costantemente con un legame forte con le radici del sito e lo sguardo sempre rivolto all’innovazione».
A proposito di innovazione avete da poco aperto inaugurato lo Spazio Meta…
«È uno spazio permanente in cui la tecnologia è al servizio dei beni culturali. I visitatori assistono alla smaterializzazione e materializzazione dei capolavori d’arte originali. È possibile scoprire come avviene la creazione dell’identità dell’opera e portare a casa il risultato di questo processo, ovvero una riproduzione.
Due esempi eccezionali: il Giovinetto di Mozia in una “veste” pop, ecosostenibile, imponente e una straordinaria riproduzione del Satiro danzante di Mazara del Vallo a dimensione reale, sospeso come a librarsi in volo. Abbiamo constatato che molti visitatori, stimolati dalla riproduzione, scelgono poi di andare a vedere l’originale. Rendendosi conto che l’innovazione applicata ai beni culturali non è un concetto astratto, ma sia praticabile e consente di entrare in simbiosi con le opere d’arte. Si tratta di un ulteriore step progettuale nella gestione culturale di Palazzo Reale da parte della Fondazione Federico II.
Del resto il Pon Cultura già dal 2014 lo pone come obiettivo. All’interno dello spazio c’è sempre un’opera d’arte originale. Abbiamo aperto con il ritratto marmoreo originale di Ottaviano Augusto, il più fedele mai rinvenuto in Sicilia del primo imperatore, che dopo 83 anni dal ritrovamento è rientrato nella sua Centuripe dopo essere stato custodito a lungo al Museo Paolo Orsi di Siracusa. L’opera è stata eccezionalmente prestata dal Museo Regionale di Centuripe (Parco Archeologico e Paesaggistico di Catania e della Valle
dell’Aci), grazie alla partnership con l’Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana. È solo la prima di una serie di opere d’arte che giungeranno dai musei di tutta la Sicilia e da collezioni private e pubbliche, alternandosi come “padroni di casa”. La prossima sarà una donna. Per il resto parlano i numeri, ovvero i quasi novecentomila visitatori all’anno registrati a Palazzo Reale e un bilancio solido per affrontare nuove sfide culturali con lo stesso coraggio che ha contraddistinto questi cinque anni».