Perché proporre una mostra su Roma ’60 e non qualcosa
di più angolato sul territorio o di “supercontemporaneo”?
Roma negli anni ’60, in particolare fino al 1967 – perché
il ’68 tradisce lo spirito del beat, del pacifismo, della minigonna, della
gioventù, anticipando i ’70 – quella Roma era davvero un “mito” per noi ragazzi
di provincia.
Vita,
quarantacinque dal Piper e quella Roma è ancora lì, scritta nella storia e
nella mitologia. Più contemporaneo di così!? D’altra parte Andy Warhol,
scomparso nel 1987, è molto più contemporaneo di buona parte dei giovani
artisti attivi oggi.
Quali sono stati i criteri di distribuzione delle varie
sezioni espositive?
Si comincia da Alessandria e dai “maledetti” di piazza del
Popolo (Angeli, Festa e soprattutto Schifano), cui va accostata, per contrasto,
la persistenza del classico di due “vecchi” maestri come de Chirico e Guttuso.
A Novi Ligure ricostruiamo il clima del Piper con tutta la Pop Art romana. A
Tortona va in scena la Dolce Vita, insieme ai paparazzi. A Ovada invece l’omaggio a Pier
Paolo Pasolini, l’altra faccia della Roma di allora, dalle luci di via Veneto
alla durezza della borgata. Quindi a Casale, con una scelta eccellente di
décollage di Mimmo Rotella, tecnica che lui imparò osservando proprio le strade
di Roma. Ad Acqui Terme è una rassegna di scultori, da Marotta a Ceroli,
Uncini, Carrino e Mattiacci. Infine Valenza, con l’antologica di Pino Pascali
disegnatore e pubblicitario. Direi che la sua morte nel settembre 1968, insieme
alla foto del manifestante pistola in pugno a Valle Giulia, decreta la fine
degli anni ’60 e soprattutto la fine di un sogno.
“Pezzi forti”?
Gli Schifano che provengono dalla Fondazione Marconi; i
ritratti fotografici di Elisabetta Catalano; gli abiti delle Sorelle Fontana,
in particolare il rarissimo “pretino” indossato da Ava Gardner che ispirò
Fellini; i disegni del maestro riminese; alcuni scatti inediti di Tazio
Secchiaroli sul set di Accattone di Pasolini; i disegni e i bozzetti di Claudio Cintoli
per l’allestimento del Piper.
Chi finanzia? Quanti sono i fondi a disposizione?
La mostra Roma Sessanta è promossa da Palazzo del
Monferrato ed è stata resa possibile grazie al sostegno della Fondazione Cassa
di Risparmio di Alessandria che, dopo lo scorso anno, ha deciso di investire
ancora sul territorio con un nuovo progetto culturale di ampio respiro.
Dal boom economico alla “rivoluzione” studentesca, i
‘60 hanno segnato un profondo cambiamento. Oggi siamo invece allo “sboom” in
tutti i campi, nonostante i più volte annunciati sintomi di ripresa. Secondo te
il “sistema dell’arte” italiano – a livello commerciale, istituzionale e
creativo – come sta reagendo per uscire dall’impasse? Il peggio è già passato o
deve ancora venire?
Preferisco rispondere a domande sulla mostra. Mi auguro,
anzi sono convinto, che il “sistema Italia” stia uscendo dalla grave crisi globale
che l’ha colpito.
Anni Dieci del nuovo millennio il “sorpasso” nel mercato globale dell’arte?
Dipende da cosa intendi per sorpasso. Spero non
schiantarsi dopo una curva.
Sei nato nel ’61, dunque non hai vissuto quegli anni.
Qual è stato il tuo approccio?
Per me gli anni ’60 si fermano a prima del ’68. Dopo è
buio, fino agli ’80. La nostalgia è per quella meravigliosa età dell’innocenza,
in cui è successo davvero di tutto. Teoria peraltro condivisa da attenti
osservatori di quel periodo, come Edmondo Berselli e Giampero Mughini.
Dopo la Biennale di Venezia, un ritorno all’arte
storicizzata. In che ambito ti senti più a tuo agio?
Non ho mai scisso le due cose. Storia e cronaca. L’ideale
sarebbe trattare la cronaca come storia e la storia come cronaca. Poi detesto
l’iperspecializzazione di molti, che conoscono solo ciò che hanno visto in
presa diretta senza alcuna profondità storicistica. A me piace spaziare dai
Beatles ai Fuck Buttons, da Humprey Bogart a Tom Ford, da Mario Schifano a un
giovane eccellente pittore quale Nicola Samorì. L’unica cosa che rimane uguale
a se stessa è il profilo della Porsche Carrera, a parte alcuni dettagli.
Beatrice, intorno al tuo nome c’è sempre qualche polemica.
Un giochino marzulliano d’anticipo: quale “colpa” potrebbero imputarle
stavolta?
Facile: la negazione del ’68, una prospettiva
revisionista, l’esclusione dell’Arte Povera, un taglio da “critico di destra”.
E ovviamente hanno ragione. O pensavi ad altro?
a cura di anita pepe
dal 19 marzo al 4 luglio 2010
Roma
Sessanta
a cura di Luca Beatrice
Sedi varie – Alessandria e provincia
Orario: da martedì a venerdì ore 15 -19; sabato e
domenica ore 10-13 e 15-19
Ingresso:
intero €
7; ridotto € 4
Catalogo Silvana Editoriale
Info: sistemamusei@comune.alessandria.it
[exibart]
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sinceramente non capisco l'infatuazione di Luca Beatrice per Mughini; e non è la prima volta che manifesta pubblicamente questo feeling; quasi fosse per lui il nume tutelare; uno come Mughini che ha cavalcato da protagonista il 68 nelle file di lotta continua; la fazione opposta a quella di Beatrice!
è vero, all'epoca Beatrice era bambino e Mughini un intellettuale giovanottello di belle speranze che nell'età matura ha cambiato barricata.
per di più, leggendo questa intervista, vengo a sapere che Mughini è un nostalgico di quella "meravigliosa età dell’innocenza, in cui è successo davvero di tutto".
certo è lecito cambiare idea, ravvedersi e arrivare a pensare il contrario di quello in cui si credeva, però, però...son dell'idea che le passioni, specie quelle giovanili, son passioni, perchè rinnegarle così spudoratamente? per professarsi come fa il nobil gobbo dalla candida zazzera, estimatori della dolce vita ? certo, bisognerebbe che quello che Beatrice dice sopra venisse confermato dal diretto interessato; sarò forse ingenuo e sempliciotto, con una visione antiquata delle cose, poichè viviamo un'epoca ricca di revisionismi vari ed eventuali (soprattutto); tutto ciò mi fa storcere un po' il naso.
entrambi della juventus ovvio!
Scandaloso che un ignorante come Beatrice pretenda di dare lezioni sul passato.
Vorrei sapere dove l'ha vista questa foto dei manifestanti con pistole a valle giulia nel 68....
Mamma mia, Beatrice già non è una cima in campo artistico ma quando esce da quello fa peggio ancora.
Mi fa rimpiangere Sgarbi e con questo ho detto tutto