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03
luglio 2015
La dualità tra arte ed errore
Progetti e iniziative
Una nuova puntata di Contemporary Locus porta a scoprire un altro luogo straordinario di Bergamo e i confini mobili tra umano e animale, tra sé e gli altri
Nel cuore del tessuto storico bergamasco torna a rivivere un contenitore dismesso tra i più significativi della città: il monastero di Sant’Agata del Carmine, fondato nel lontano XV secolo. A svelare la magia dell’antico complesso è Contemporary Locus, associazione culturale che dal 2012 è attiva nella realizzazione di progetti espositivi in luoghi nascosti, dimenticati, di particolare interesse storico-artistico. Per l’ottava edizione, tre artisti internazionali Evgeny Antufiev (Kyzyl, 1986), Etienne Chambaud (Mulhhouse, 1980) e Berlinde De Bruyckere (Gent, 1964) e una scultura sociale, l’Atelier dell’Errore – “quattro artisti”, precisa la curatrice Paola Tognon – si relazionano intimamente alla segretezza del luogo con lavori site-specific e opere appositamente scelte. Lo splendore e lo stupore che a prima vista generano i fregi che si scavano tra le pareti, i moniti latini, i camini spenti e i dipinti parietali logorati dall’azione corrosiva del tempo, è subito ricondotto all’ordine da un distanziatore museale realizzato in pelle di pitone di Seba, Contre-Dépouille (Undrcuts), 2012. Attratto, e al tempo stesso distante, il pubblico resta immobile di fronte a quest’opera di Etienne Chambaud, indotto a riflettere sull’identità delle perturbanti presenze articolate efficacemente nei due ampi saloni. La scelta allestitiva non è casuale: il numero due è il simbolo della separazione dell’unità che è per essenza una e unica. Espressione della dualità, il numero due è incarnazione degli opposti che le opere in mostra esprimono: preda / cacciatore, umano / animale, umanità / animalità, appartenenza / differenza. L’ambivalenza di questo numero rende impossibile stabilirne una precisa funzione e il percorso espositivo svela la fragilità del confine fra umano e animale, coinvolti in uno scambio consapevole come quello tra storia e immaginazione che Evgeny Antufiev, servendosi di stoffa e filo, racchiude in una forma senza titolo, che sembra prodotta dal sonno – o forse dal sogno – della ragione (Untitled, 2013 – Courtesy Collezione Maramotti).
Declinando la storia e l’immaginazione in termini lacaniani ci troviamo di fronte alla relazione tra reale e simbolico che Berlinde De Bruyckere mette in scena imprigionando i corpi realizzati in coperte e lana (Animal, 2003) in una continua e dolorosa mutazione. L’artista ambienta la battaglia su una croce di legno, evocativa della dualità tra il dato materiale e quello spirituale, che è disposta innanzi a una finestra da cui si è attratti come naturale punto di fuga. Un reticolato si interpone tra l’uomo e l’infinito paesaggio delle valli bergamasche, scrutato nella sua più intima essenza alla ricerca di qualcosa su cui proiettare inquietudini, desideri, contrasti irrisolti per liberare la propria istintività.
Se l’equazione tra istintività e animalità è acquisita, è però l’animalità a essere protagonista nel salone interamente dedicato all’Atelier dell’Errore, il progetto artistico relazionale di Luca Santiago Morra al servizio della Neuropsichiatria di Reggio Emilia. Nato nel 2002, l’Atelier è un ambiente in cui i bambini, da tredici anni, disegnano sempre e solo animali. Tre esemplari della specie fantastica e antropofaga, disegnati su carta con tecnica mista, prendono forma sulle mura del complesso rivelando, nel loro apparente aspetto minaccioso e feroce, il peso delle problematicità avvertito dai ragazzi-autori. Accanto ai custodi di questi disagi, superficialmente discriminatori di una diversità che è in realtà comune a tutti gli essere umani, sulla parete di fondo dal taglio netto, accanto all’accennato dipinto del Portatore della Croce, è proiettato The Fairy Queen (2015), un filmato HD realizzato per l’occasione dai ragazzi di Atelier dell’Errore BIG – scuola di specializzazione e di formazione al lavoro con sede all’interno della Collezione Maramotti di Reggio Emilia a cui accedono gli ex frequentanti dell’Atelier per continuare a coltivare il loro talento artistico.
Il ritmo ipnotico del video catalizza le energie liberate dagli animali fantastici lasciando intuire un secondo punto di fuga, questa volta non naturale ma creato dalla capacità di superare, quasi sfondare, i limiti che le convenzioni sociali impongono. Due saloni, due punti di fuga, due modi di stare nello spazio e nel tempo. L’uno identitario, l’altro relazionale. Il confine, apparentemente netto, è così fragile da rendere ogni individuo, che si definisce tale attraverso i concetti di appartenenza e differenza, inconsapevole di essere altro, come direbbe Arthur Rimbaud, e incapace di rispondere a chi appartenga e da chi sia diverso.
Elsa Barbieri