Nonostante abbia ottenuto l’indipendenza il 7 agosto 1960, nell’ottobre del 1985 il governo ivoriano ha ufficialmente chiesto che il Paese fosse conosciuto, nel mondo, come Côte d’Ivoire. Secondo la legge nazionale, infatti, riprendendo l’interessante concetto sociopolitico di “ivoirité”, il nome del Paese non può essere tradotto dal francese.
Attualmente nel Paese ci sono ben 62 gruppi etnici, raggruppabili in cinque grandi ceppi accomunati da caratteristiche socio-culturali o etno-linguistiche. Nell’ultima biennale d’arte di Venezia, nel Padiglione nazionale hanno esposto artisti come Aboudia, Armand Boua, Frédéric Bruly Bouabré, Aron Demetz, Yeanzi e Laetitia Ky che hanno raccontato, con le loro opere, le tradizioni e l’innovazione della società africana, cercando di dare una forma espressiva al futuro del loro Paese. Laetitia Ky, in particolare, l’unica artista donna rappresentante del Padiglione, è in mostra alla Fondazione Made in Cloister di Napoli con una bipersonale, prodotta da Black Tarantella, in dialogo con l’artista napoletana Assunta Saulle.
Ne “Lo sguardo di Medusa”, Ky ripercorre quella che è diventata la sua missione, la denuncia, attraverso la metamorfosi del corpo, delle condizioni umane contemporanee. Dal 2016 ha iniziato a realizzare sculture con i suoi capelli, integrando vari materiali come fili, appendini, cera ed extension. La sua «Scultura capillifera – come la definisce il curatore Alessandro Romanini – nasce dallo stato di insoddisfazione per le condizioni in cui versano i diritti delle donne nel suo paese e la necessità di esprimersi in modo da rivendicare la propria identità e fierezza».
L’idea è nata quando la giovane artista ha visto delle foto risalenti all’epoca precoloniale, sui social network. Le acconciature elaborate delle donne dell’epoca, simbolo di potere, status symbol, sono diventate per lei fonte di rivendicazione sociale per la comunità africana. Ky è una sostenitrice non solo dei diritti delle donne considerate TERF (femministe, radicali, trans esclusive) ma anche del concetto di “Sorority”. L’artista, attraverso le sue opere, ispira se stessa e altre donne a combattere gli abusi, le molestie, le discriminazioni e a mantenere il comune senso di solidarietà tra donne, anche quando le opinioni divergono. «In Costa d’Avorio, quando una donna ha un figlio, tutte le altre donne della comunità hanno la possibilità di considerarlo come loro. Se la madre non è in grado, per vari motivi, di prendersi cura del proprio figlio, non deve preoccuparsi perché subentrano le donne della comunità».
L’8 marzo ha pubblicato il suo libro “Amore e giustizia” che tratta proprio della lotta contro la i dettami imposti dalla società patriarcale. «Sono stata chiamata TERF quando ho detto che noi donne abbiamo ragione ad avere tutti i ruoli che vogliamo nella società, abbiamo il diritto di non mettere in atto stereotipi di genere ed essere comunque considerate donne. Avere il diritto di essere libere e noi stesse ed essere ancora donne. Nessuna acconciatura, modo di vestire, gusto, modo di vivere deve convalidare o invalidare la nostra femminilità. Apparentemente è odioso non definire la femminilità con ruoli sociali stereotipati. Abbiamo dimenticato che le femministe di tutto il mondo hanno lottato per anni per abolire quei ruoli in modo che le donne possano essere libere».
Da Made in Cloister, le opere di Ky sono in dialogo con quelle di Assunta Saulle, giovane artista napoletana che omaggia Giordano Bruno e il suo pensiero illuminato espresso nel terzo dialogo filosofico “De l’infinito, universo e mondi” del 1584.
Il progetto artistico “Universi & Mondi” celebra l’universo immaginato da Bruno attraverso sei installazioni che, attraverso la poliedricità dei materiali usati, tra vetro, acciaio, ceramica, legno di recupero, abbracciano infiniti mondi popolati da una moltitudine di creature. Di formazione restauratrice, Saulle è interessata al tema dello scorrere del tempo non solo dal punto di vista tecnico ma anche visivo e questo aspetto è ben visibile nell’installazione fotografica e specchi Continenti. Il corpo è un fantasma in cui solo il viso riesce ad essere presenza, diventando mito e narrazione sensibile. La luce è un altro elemento essenziale, perché creando un chiaroscuro è contenuta nell’assenza di una misteriosa intimità.
«Le finzioni autentiche di Assunta – dice il curatore Simon Njami – si possono paragonare a una poesia del vivente. Forse in questa poesia si annida il vero potere dell’arte, ossia quello della trasformazione. Vestale della memoria, l’artista tenta di abolire il tempo e ridurlo alla volontà del suo sguardo». Nei tondi fotodinamici, la circolarità si moltiplica con le sfere in vetro di murano, che rivelano il messaggio alchemico e prezioso che è racchiuso nei misteri della creazione, allusione preannunciata a inizio percorso dall’opera Albero di luce.
Tra le opere esposte nella sala al primo piano della Fondazione Made in Cloister, si incontrano due donne che parlano del proprio universo, due linguaggi diversi ma presenze affini, per potenza e intensità artistica.
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