La moda italiana è sempre di moda

di - 11 Gennaio 2016
Il nuovo, nell’ambito della progettazione del sistema moda, incomincia con gli anni’90, quando nell’epoca web, connessa e globalizzata, cambiano la comunicazione, l’approccio e quindi i paradigmi metodologici dall’ideazione alla produzione di prodotti e progetti. Come i marchi, designers e stilisti italiani degli ultimi vent’anni hanno reagito alla crisi del 2008, interpretando, rinnovando la tradizione tessile, la cultura e l’evoluzione tecnologica di un settore in forte crescita imprenditoriale, considerato un pilastro dell’economia italiana.
La moda è il sismografo dei cambiamenti culturali, economici e sociali di ieri e di oggi, come dimostra la mostra ospitata alla Triennale, intitolata “Il Nuovo Vocabolario della Moda Italiana” (fino al 6 marzo) a cura di Paola Bertola e Vittorio Linfante, dedicata a Elio Fiorucci. Dal 1998 a oggi il linguaggio moda italiana, che viaggia su Instagram, Facebook, blog e i social network, è sempre più contaminato e si declina in molteplici settori come prêt à porter, sweetwer, calzature, occhiali, borse, accessori, bijoux, cappelli, fotografia, illustrazione e comunicazione. L’esposizione, unica nel suo genere per l’approccio scientifico e di analisi del sistema moda, raccoglie oltre cento realtà tra le più importanti del panorama contemporaneo ed è strutturata in un percorso scandito da lemmi: Archetipo, Costruzione, Dettaglio, Laboratorio, Materia, Ornamento, Superficie, Uniforme, ognuno dei quali è stato declinato in installazioni ambientali, stanze per identificare i codici della moda italiana contemporanea. Tutti i prodotti esposti raccontano il processo creativo dalle origini alla loro realizzazione, puntando su un allestimento architettonico davvero originale curato dall’architetto Martino Berghinz.

Se i materiali sono il corpo della moda e il cuore dell’innovazione, la sapienza di un taglio, di una cucitura, la creazione di un dettaglio artigianale del prodotto industriale, sono gli ingredienti dell’eccellenza tutta Made in Italy polifonica e coloratissima, che vanta il merito di aver saputo preservare la cultura tessile-manifatturiera ricercata all’estero, una differenza da difendere dalla concorrenza. Percorrendo la mostra, stanza dopo stanza, abiti, accessori, borse, occhiali e cappellini, cartamodelli e immagini traducono in un alfabeto visivo e tridimensionale l’evoluzione del gusto in rapporto alla società e alla tecnologia che dagli anni Zero ha radicalmente modificato il nostro modo di guardare il mondo e tutto ciò che produciamo.
In questa” foresta di segni” direbbe Roland Barthes, la moda trasmette nuovi significati e stili di vita, infatti gli oggetti esposti vanno oltre la loro funzione e qui diventano icone della creatività italiana, in cui tradizione, sperimentazione e intuizioni mappano la vitalità del settore, in equilibrio precario tra tutela dell’identità nazionale e la globalizzazione. Un’impresa collettiva composta da tante e diversificate realtà produttive deve fare i conti non soltanto con la crisi del mercato sempre più competitivo, ma anche con il rischio dell’omologazione e dalla velocità della distribuzione delle merci, senza escludere problemi ecologici e di salvaguardia dei diritti dei lavoratori.

Sappiamo che la crisi ha messo tutti con la spalle al muro, ma la moda italiana per sopravvivere ha puntato sulla piccola ma più agile impresa, per garantire la qualità dei prodotti distribuiti sul territorio nazionale ed estero, mantenendo in vita realtà produttive dinamiche che costituiscono il sistema arterioso dell’economia italiana di ieri e di oggi. Una nuova generazione di designer sta portando avanti l’opera dei maestri del prêt à porter degli anni Ottanta e Novanta, i padri del sistema moda, attraverso una ricerca anche di nuovi canali distributivi e il superamento del concetto di stagionalità, orientandosi anche su codici classici dell’eleganza, seppure rivisitati in chiave contemporanea, puntando di più sul bello e ben fatto.
Nella stanza Archetipi, si rielaborano in chiave contemporanea i codici dell’armadio borghese espressi dalla ricerca sartoriale dei settori maschile e femminile anni Cinquanta, con nuovi abiti da pomeriggio, cappotti, cappelli, bluse dalle linee minimaliste e dal taglio impeccabile. Nella stanza della Costruzione alcuni abiti sembrano sculture, quelli nella stanza Laboratorio stupiscono per soluzioni di mix tra la tecnologia con la manualità, dall’impatto decorativo non scontato, altri ancora per la ricercata lavorazione dei materiali. La sezione Ornamento presenta abiti decorati con coralli, cristalli Swarovski, bottoni originalissimi, bracciali “chic and choc”, cappotti in lurex, lane d’angora miste a paillettes, scarpe e borse postmoderne, un abito in tulle di naylon che avrebbe conquistato Moschino, poi scarpe e borse coloratissime con decorazioni “psichedeliche”.  E, non a caso il percorso espositivo della mostra incomincia con la stanza della Materia: termometro dell’innovazione e della ricerca applicata al prodotto moda, specchio di nuove qualità espressive. Per non far torto a qualcuno non citiamo nessuno, anche perché la moda è anche una questione di gusto e ognuno ha il suo.
A Fiorucci sarebbe piaciuta sicuramente per attitudine scientifica al linguaggio del cambiamento per eccellenza, ma forse avrebbe avuto qualche perplessità sull’eccesso di rigore, di ordine classificatorio e razionalista, perché la sua moda ha liberato tutti da modelli prestabiliti, e come la vita è anche disordine, casualità e divertimento.
Jacqueline Ceresoli

Jacqueline Ceresoli (1965) storica e critica dell’arte con specializzazione in Archeologia Industriale. Docente universitaria, curatrice di mostre indipendente.

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