Appena diffusa la notizia si è contraddistinto subito come uno degli eventi più interessanti dell’estate genovese: Tomàs Saraceno (San Miguel de Tucumàn, 1973) a Villa Croce con un progetto creato appositamente. Possibile farsi scappare un artista tanto popolare quanto capace in qualsiasi occasione di stupire il proprio pubblico? Ovvio che no, anche perché ogni sua personale più che una semplice personale è un’esperienza meta-artistica capace di includere molteplici chiavi di lettura. Saraceno è l’artista “plus-valente”, concettuale, razionale, esteta; forse prima d’essere un visionario – definizione molto in voga tra gli addetti ai lavori, e a cui lui pare aver fatto il callo – probabilmente è un quarantenne capace di argomentare con giusto rapporto fatti concreti e ipotesi plausibili, e di farlo tramite lavori formalmente riusciti.
Interamente site specific, incentrata sul mondo dei ragni e con ascendenze cosmiche: questa nuova incursione genovese dell’artista argentino – un paio di mesi successiva all’istallazione dell’Iridescent planet nel cortile di Palazzo Ducale – già da tempo prometteva di essere piuttosto pepata. Ad opening avvenuto “Cosmic Jive: Tomàs Saraceno. The Spider Sessions” (fino al 7 settembre) si conferma tra le mostre da inserire in agenda, d’impatto, coinvolgente e dove ogni “effetto speciale” è stato preventivamente assicurato da una solida impalcatura tecnico-scentifica, come logica Saraceno comanda.
Due livelli, separazione fisica che è innanzitutto divisione crono-consequenziale, in una mostra dove c’è un “pre” da prendere in considerazione prima di entrare nel vivo. Buona cosa è infatti venire precedentemente in contatto con un Saraceno pensiero fatto su studi tematici, e a questo scopo è stato allestito il Cosmic Hive del piano terra, in cui due tavoli ricoperti di fogli tratti da svariate pagine web e testi scritti ad hoc condensano un considerevole numero d’informazioni utili su mondo aracnide e implicazioni cosmiche. Luca Cerizza – curatore della mostra assieme ad Ilaria Bonacossa – precisa come sia «la prima volta che Saraceno presenta l’antefatto del proprio lavoro»; tuttavia ancor prima d’iniziare a circumnavigare i tavoli, difficile non far caso alla cassetta della posta posata in terra, proprio una di quelle che si trovano appese in giro per le città. Ha l’aria del ready made, eppure qui è un oggetto essenziale proprio per la sua funzione d’origine. Con la cassetta, infatti, Saraceno tenta un qualcosa molto più grande di lui, ossia la creazione di una nuova – e imprevedibile – rete di nozioni, una ragnatela metaforica che ogni visitatore può contribuire a produrre prendendo uno o più testi, duplicandoli con la fotocopiatrice in dotazione, timbrandoli e indirizzando il proprio plico a chi desidera. Altrettanto curioso – in quanto involontario – è il valore estetico dei nove quadri che riportano la complessa scansione 3D di una ragnatela, realizzata dallo Studio Saraceno in collaborazione col Dipartimento Pavis dell’Istituto Italiano di Tecnologia, da far impallidire i più attivi produttori d’informale.
Scalone centrale, piano nobile, pronti all’azione. Ora, se il vostro rapporto con i ragni non è propriamente dei migliori, non abbiate timore, poiché in fin dei conti qui sono solo dei fondamentali attori non protagonisti, chiamati ad esprimersi esclusivamente tramite il loro prodotto ingegneristico più famoso, la ragnatela (cui Saraceno ha ritagliato due spazi tutti da godere, ma dei quali sveleremo più avanti). Più che la preoccupazione quindi di trovarsi vis à vis con qualche ragno c’è da mettere in conto la certezza di camminare per buona metà della visita completamente al buio, da ipovedenti proprio come i ragni. Ben quattro sale su sei sono completamente oscurate, con l’unica e fascinosa deroga dei piccoli forellini al posto delle finestre tappate, minimi punti luce concepiti per simulare l’aspetto delle costellazioni che si modificano a seconda della luce esterna; o col semplice spostarsi in un ambiente in cui si vaga a tastoni, aguzzando le orecchie per percepire le variazioni del sottofondo che mixa rumore prodotto da ragni nel pieno delle loro attività e sonorità extraterrestri registrate da satelliti spaziali. L’insieme ricorda molto una casa degli orrori da luna park, cosa niente affatto denigrabile se – come d’abitudine per Saraceno – si vede l’arte contemporanea come un esperienza infinita più che un prodotto chiuso; se quindi si presume che oltre la tenda nera l’artista argentino abbia disposto solo un percorso generico, una base che poi singolarmente ognuno farà diventare il proprio percorso muovendosi alla cieca in balia delle vibrazioni sonore, esperendolo come meglio crede, a patto però di non barare con telefonini e torce varie.
Iniziale recupero della vista – ma molto soft – per osservare una piccola teca contenente la prima delle due ragnatele in mostra, illuminata da un faro che ne mette in risalto trama e riflessi cromatici da finissimo lavoro di oreficeria. Artificiosamente speculare, regolare come una miniaturizzata tendostuttura, disabitata e finita nel suo parallelepipedo di plexiglass appeso al soffitto, prototipo di un’architettura che in quanto prodotto sociale (a scopo più o meno comunitario) istituisce un punto di contatto tra universo aracnide e specie umana.
Cambio di ambiente, ritorno del buio, altro cambio e di nuovo la luce; questa volta però è quella accecante di un faro puntato verso l’ingresso dell’ultima sala, che al contempo illumina una grossa ragnatela inserita in una semplice intelaiatura di metallo, ancora abitata da un solo ragno (specie Cytophora citricola) e quindi liberamente in fieri per tutto il periodo della personale. Imponente quanto fragile, complessa nel suo essere sintesi dei tre differenti gradi di socialità aracnide che l’hanno prodotta. Intricata, spettacolare e mai uguale a sé stessa, da qualsiasi punto la si guardi. Come un perfetto microcosmo.