La scultura e la memoria

di - 7 Settembre 2014
Difficile immaginare relazioni tra il crollo delle Twin Towers di New York e una chiesa rupestre di Matera del X secolo. Semplicemente tendenze trasversali al tempo, con oscillazioni che partono prima dell’anno Mille e  approdano al nuovo millennio, con grande equilibrio, senza strappi o salti. Basta osservare l’opera Ultima Cena Globalizzata di Antonio Paradiso, nell’abside della  Madonna delle Virtù, costruita, ma sarebbe più corretto dire scavata nella roccia  nel cuore di Matera, un luogo che ha invertito anche la logica dello spazio, perché qui tra i sassi costruire vuol dire soprattutto sottrarre, togliere, per creare e far rinascerete. Per Paradiso, uno dei tredici artisti lucani della XXVII edizione delle “Grandi Mostre nei Sassi di Matera. Scultura Lucana Contemporanea”, nelle due chiese Madonna delle Virtù e San Nicola dei Greci,  visitabile fino al 18 ottobre, curata da Beatrice Buscaroli, una delle iniziative volute dal circolo La Scaletta. La cena nasce da venti tonnellate recuperate a New York, un ammasso di ferraglia bruciata, dopo che Paradiso è stato l’unico italiano selezionato tra migliaia di richieste, per raccontare il dramma delle  vittime dell’11 settembre, e portare il grido di speranza per un altro  inizio che non dimentica le origini. Con Paradiso la materia si  tramuta in  drammatica memoria collettiva, con apostoli che sono i simboli di popoli diversi, che raccontano il loro disagio nel nuovo mondo globalizzato.  Ogni artista della mostra segue un percorso individuale, non si registrano particolari contaminazioni stilistiche, ma piuttosto affinità nei temi che partono sempre dalla storia del luogo: «A Matera la scultura non è arte – scrive Beatrice Buscaroli nel catalogo delle edizioni Giuseppe Barile – è parte della storia, di questa storia che si contrae, si apre, si schiude, si svela, si nasconde, parte delle grotte e delle chiese, del tufo morbido che si fa svuotare delle viscere in negativo. Colonne, cripte, case, mangiatoie, palazzi, cantine, depositi: tutto a Matera nasce dal fondo della terra che si offre all’Uomo al contrario. Mondo parallelo. Scultura inconsapevole».  Sono sempre artisti abituati a viaggiare per il mondo come Paradiso, o Marino di Teana, un po’ francese e un po’ sud americano, che rappresentò l’Argentina, Paese dove aveva vissuto per anni, alla Biennale di Venezia dell’82, capace di dialogare tra scultura e architettura, con opere dove intrecci di forme creano un ritmo elegante e mai ripetitivo.
Rocco Molinari invece si è formato tra Napoli e Firenze;  partito dalla terracotta passa con disinvoltura al marmo, al tufo, senza escludere legno e cemento, giocando con plastiche e stoffe, spunti per spaziare tra contemporaneo con forme geometriche essenziali, custodi di una profonda spiritualità, in continui rimandi  tra  origini antiche e nuove sperimentazioni. Donato Linzalata insiste sulla forma totem, con richiami mediterrantemi affronta temi religiosi alla ricerca di purezza e di assoluto, privilegiando come materiale il legno. Salvatore Sebaste spazia tra richiami all’Informale, tra la Lucania moderna e ancora una volta le sue antiche radici.



West Spirit è il titolo dell’installazione di Giulio Orioli, una tavola apparecchiata dove però è difficile sedersi, un’idea di passaggio che si trova  anche in Soglia dell’anima, opera dove il marmo esprime la sua potenza, ma non la sua immobilità, e diventa materia incantata. Il mondo di Domenico Viggiano è popolato da regine, re, personaggi complessi di una commedia dai toni surreali, tra forme antropologiche e contemporanee. Donato Rizzi, ancora  tanti anni passati all’estero, a Parigi, unisce con disinvoltura arte lucana con segni africani e simboli dell’arte araba. Affronta tematiche legate al mondo femminile, al  tipico corsetto, privilegiando il marmo,  seguendo uno stile autonomo con grande padronanza dei materiali, Margherita Serra. Pier Francesco Mastroberti è una figura singolare, medico e artista, scultore di immagine plastiche, fortemente realistiche, piene di note espressioniste.
Anche Francesco Pesce privilegia un costante realismo formale. Parte da simboli archetipici Franco di Pede, densi di poesia, per opere alla ricerca di una semplice armonia, ricche di ironia, capaci di generare suoni, che diventano ancora più spirituali all’interno delle chiese. Anche Dario Carmentano gioca con l’ironia, il più concettuale dei nomi in mostra (anche il più giovane: classe ’60) si concentra sul tema Italia, con un linguaggio diverso dagli altri lucani, con messaggi dissacranti, e con un occhio fortemente critico, acuto e provocatorio insieme, come l’amaca tricolore intitolata L’Italia s’è desta, ma anche con Carmentano, i rimandi tra ambienti antichi e contemporaneo non creano mai note stonate.   Tredici artisti, per percorsi e stili diversi, che  formano il ricco alfabeto di un linguaggio che scorre a ritmo intenso, senza mai esitare, negli spazi densi di memoria di Matera, Un altro passo per far crescere la cittadina in gara per esser scelta come Capitale Europea della Cultura del 2019.

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