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02
aprile 2018
La “spina dorsale” dell’arte italiana
Progetti e iniziative
A Forlì una grande mostra mette in scena pregiudizi e risultati tra Rinascimento e Barocco, raccontando di una “diaspora” che diede il via a un nuovo corso culturale
“L’Eterno e il Tempo tra Michelangelo e Caravaggio” non è solo il titolo di una grande mostra inaugurata da poco a Forlì, è anche la spina dorsale lungo cui si annoda tutta l’arte italiana, la traccia viva di un periodo storico, articolato e controverso che ha improntato con le sue contraddizioni e in modo trasversale tutta l’arte del tempo. E di queste discordanze e dei nodi che via via si intrecciano, la mostra tiene conto, mettendo in risalto e ripercorrendo in un solo respiro tutti gli anni dal Rinascimento più maturo al ‘600: cominciando col Buonarroti, ai primi sintomi del Realismo seicentesco, da Caravaggio ai Manieristi sovvertitori dell’ordine fino alla deflagrazione pittorica e rivoluzionaria dei Carracci.
A Forlì, per questa sontuosa esposizione che riesce anche a mettere a segno diversi restauri (a cominciare dalla sede stessa del San Giacomo), sono arrivati tantissimi prestiti con opere e i nomi più disparati. Ci sono tutti, da Raffaello e Michelangelo, ancora a buon diritto chiamati “preclara lumina” (fari luminosi) agli artisti più indipendenti. Il risultato è una Babele di lingue diverse, che quasi confondono per le loro innumerevoli divergenze estetiche, religiose, espressive. Ecco perché le opere si susseguono implacabili. Accanto al dolente Cristo portacroce proveniente dalla Borghese di Sebastiano del Piombo, ci sono i lavori di un eclettico come Pontormo, ed ecco per il motivo per cui assieme al Cristo di Michelangelo censurato da un perizoma, c’è anche una Cleopatra molle e sensuale come quella di Denys Calvaert.
In quel secolo, insomma non c’è stato solo Daniele da Volterra, “il braghettone” a coprire i nudi della Sistina ma anche, per non citarne che alcuni, appunto Del Piombo investito da un rigoroso fervore religioso, Lorenzo Lotto che ricerca nei suoi lavori una più intima colloquiale espressione formale. Mentre restano più distanti Vasari e Salviati che comunque hanno seguito le orme di Michelangelo, ancora più liberi sono stati artisti come Rosso Fiorentino o Pontormo: quest’ultimo ha guardato a fondo al patetismo delle incisioni di Dürer, mentre artisti come Bronzino si sono staccati completamente da legacci delle imposizioni.
Jan Brueghel, Vaso di fiori con gioiello, moneta e conchiglia, 1606, olio su rame. Milano, Pinacoteca Ambrosiana
In mostra insomma innumerevoli capolavori che provano quali fossero le idee e le scelte fatte in quel momento per esempio dagli Spirituali. Michelangelo aveva strettissimi rapporti con Vittoria Colonna e c’è anche un ritratto di Reginald Pole. Ma si documenta anche, con quadri, sculture e disegni, quali traguardi di libertà espressiva gli artisti avessero raggiunto rispetto ai dogmi della Chiesa. Quanto rispettavano le regole e quanto potevano sganciarsi dalle catene di un’arte necessariamente religiosa. Come potevano rappresentare il nudo? Riescono nonostante i vincoli, i dogmi, i dettami, le proibizioni ad eccellere e a restituirla nella rappresentazione? E come ci riescono in un contesto in cui anche leggere era vietato, come vivono in un periodo storico in cui anche il Laocoonte, pezzo pioniere che ha dato origine alla nascita dei Musei Vaticani, viene “cristianizzato” come nell’opera del Venusti?
Un secolo tormentato insomma da mille dubbi e angustie, un centinaio d’anni, aggredito senza timore da un esperto come Gianfranco Bruanelli, è quello che viene fuori dalla mostra (finanziata dalla Fondazione Cariplo) e che abbraccia tutte le scuole, ed inserisce i “prodotti” dalla diaspora degli artisti, cioè le prime vere opere di un’arte finalmente italiana, quell’arte che nasce dopo il Sacco del 1527, un’arte fuori dall’accentramento di Roma, suo punto propulsore.
Ecco emergere quindi città come Firenze, Bologna, Genova, Mantova ed ecco emergere anche un fatto: la Chiesa, non solo a Roma, con i Papi e il clero giocano un ruolo davvero fondamentale, rappresentano i personaggi chiave intorno a cui ruota tutto: programmi, contenuti e temi. E questo accade nonostante la Chiesa cattolica (anzi, gli artisti servono proprio per risollevarne le sorti), fosse scossa dai venti della Riforma, dai dubbi suscitati dalle eresie (gli Spirituali, l’evangelismo come è evidente in Lorenzo Lotto), dalle nuove tendenze artistiche, dai colpi di coda delle nuove confessioni, da quelli delle guerre. E com’è ovvio a risentirne è soprattutto l’arte, l’architettura, l’urbanistica. Nel giro di pochi anni, quando Paolo III Farnese apre il Concilio di Trento (1545), quando viene fondata l’Inquisizione (1542), pubblicato a Venezia il Beneficio di Cristo (1543) queste premesse si traducono, a volte in modo molto coerente, in precisi programmi iconografici, in piani di riammodernamento delle città, e nel dettato del gusto scultoreo del secolo.
Caravaggio, Fanciullo morso da un ramarro, 1596-97, olio su tela. Firenze, Fondazione di Studi di Storia dell’arte Roberto Longhi
La contesa religiosa tra cattolici e protestanti come anticipato, influenza anche l’architettura, ne sono prova i disegni di Sangallo il Giovane, interprete geniale delle volontà ideologiche e delle pretese gerarchiche della famiglia Farnese. Ma anche il Vignola che dopo la regia della residenza di Caprarola, ha elaborato il prototipo delle chiese contro riformate. Documentate in mostra anche gli influssi della famiglia rivale ai Farnese, i Cesi che finanziano la riedificazione della Chiesa della Vallicella (è presente il modello in legno di Fausto Rughesi). Più tardi con Paolo V si pongono le premesse per la nascita del Barocco, che raggiunge un senso compiuto solo con i Barberini e Urbano VIII. Poi è la volta di Giulio III che recupera i modelli rinascimentali con l’Ammannati (anche a Villa Giulia).
Di seguito, nel volgere di pochi anni la situazione cambia notevolmente, e dal piacere di vivere dei Farnese (non a caso commissionano la Danae di Tiziano, da Capodimonte) si passa a un maggior rigore, quello di Paolo IV Carafa, che non era solo ostile alle arti ma è stato il Papa a cui si deve l’Indice dei libri proibiti stilato nel 1559. Siamo ancora a metà secolo e prima che Caravaggio imponesse il suo stile a Roma e in Italia, un passaggio bisogna ancora segnalare: quello dei Carracci. Qui si chiude cronologicamente la mostra, e si apre il nuovo secolo con una ventata di libertà, “eterno” vessillo di Annibale che nella scelta di decorare la volta della Galleria Farnese non si lascia condizionare dal programma stabilito ma affrescando gli Amori degli dei, rispetto al tema storico, irrompe sulla scena romana e “nazionale” dettando (ora sì) un nuovo corso all’arte del tempo, che anticipa anche le sperimentazioni barocche di Rubens, o il dinamismo vertiginoso di Tintoretto.
Anna de Fazio Siciliano